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L’ex magistrato di Palermo: “Quale Stato democratico, quale noi pretendiamo di essere, siamo al punto di partenza”

A trent’anni dalle stragi, i familiari delle vittime di mafia che hanno invocato la verità ancora non l’hanno ottenuta. A dirlo, intervistato da Fillea CGIL Sicilia, è Vittorio Teresi, per anni Procuratore Aggiunto alla DDA di Palermo, PM nel processo sulla Trattativa Stato-Mafia di cui ha coordinato l'inchiesta nonché uno dei punti di riferimento nel contrasto alla criminalità organizzata negli ultimi decenni. “Dopo 30 anni dalle stragi di mafia dico che non mi vorrei trovare tra i familiari delle vittime della mafia perché se c’è una sensazione di amarezza forte è proprio quella di questi familiari, che io faccio mia”, ha aggiunto il magistrato (oggi in pensione). Una verità non raggiunta per “nessuno dei grandi casi irrisolti dello Stato italiano”. “È amaro ma credo vada detto: siamo ancora al punto di partenza, quale stato democratico quale noi pretendiamo di essere”, ha proseguito il magistrato rispondendo alle domande di Alberto Castiglione. Teresi ha quindi tracciato un bilancio di questi 30 anni di contrasto alla criminalità organizzata trascorsi dalle stragi del '92. “Abbiamo potuto constatare che la forza della mafia, ma soprattutto la forza delle sue radici infiltrate nelle istituzioni, alla lunga hanno avuto la meglio”, ha spiegato. E ancora. “Si mettono in discussione quelle leggi che sono state un baluardo sociale del contrasto giudiziario, sociale ed economico alle mafie. Gran parte di quelle leggi sono state pensate e fatte approvare da Giovanni Falcone. Sono state uno strumento di grande efficacia che hanno fatto conquistare la fiducia della gente. Perché - ha spiegato Teresi - i risultati nei primi 5-10 anni sono stati straordinari, come la quantità di mafiosi arrestati e di patrimoni confiscati oltre alla scoperta di questi intrecci tra mafia, imprenditoria, politica e mondo della finanza. Sembrava di poter inaugurare una stagione di rinascita vera”, ha rammentato l’ex procuratore. “Invece dopo 30 anni mi sento nell’orlo del baratro come se ci stessimo ripiombando nel passato più oscuro. Se si mettono in discussione quelle leggi e si consente ai mafiosi condannati all’ergastolo dopo enormi difficoltà processuali di conquistare anche solo una parziale libertà, allora la sconfitta è dello Stato e della gente che ci ha creduto, come quelli che urlavano ai funerali (di Falcone e Borsellino, ndr) ‘fuori la mafia dallo Stato’”.

Vittorio Teresi, nel corso dell’intervista, ha anche messo in guardia la politica e la pubblica amministrazione rispetto alla gestione dei fondi del Pnrr in arrivo dall’Unione nel settore delle opere pubbliche.

Cosa nostra e tutte le mafie italiane hanno avuto sempre una grandissima capacità di captare tutte quelle opportunità che portano a grandi guadagni”, ha affermato. “Abbiamo avuto la dimostrazione nell’arricchimento di alcune ditte nel periodo più acuto della pandemia. Questo Pnrr è figlio di quella emergenza pandemica, un’emergenza che ha completamente distrutto una quantità impressionante di aziende e attività economiche che sono state avvicinate dai mafiosi di turno che capivano che una crisi economica così profonda sarebbe stata un’occasione d’oro per loro per infilarsi e aprire nuove attività reinvestendo quell’enorme capitale di cui continua a disporre la mafia”. “Con il PNRR non sarà da meno - ha spiegato - perché cercherà in tutti i modi di portare avanti imprese mafiose con una catena impressionante di prestanome per cercare di camuffare l’origine criminale di quelle imprese. E io mi auguro - ha concluso Teresi - che lo Stato metta in campo una task force capace di prevenire questo rischio e capire, attraverso una serie di controlli mirati e scientifici, l’origine delle imprese alle quali andranno questi danari”.

Fonte: facebook.com/filleacgilsicilia

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