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Di seguito riportiamo integralmente un articolo a firma del giornalista Massimo Tigani Sava pubblicato su ‘TgCal24’.

Il rumoroso “No” a Gratteri, le nuove minacce di morte, la lotta alla ʹNdrangheta, le domande da porsi

di Massimo Tigani Sava
Il rumoroso “No” del Csm a Gratteri ha scritto un’incomprensibile e inspiegabile pagina nella storia istituzionale e politico-istituzionale dell’Italia. Lo dico subito: io sto dalla parte di Di Matteo e di Ardita, dei loro ragionamenti puntuali sulle condizioni generali, cariche di valori anche simbolici, nelle quali il “Sì” a Gratteri avrebbe rappresentato un segnale importantissimo, positivo, direi strategico e decisivo, nella lotta legale alle mafie, partendo da un’insidiosissima ‘Ndrangheta che si è dimostrata capace, ancor più della mafia siciliana, di inquinare la politica, l’economia, i gangli vitali della società italiana. Lo dimostrano non solo le coraggiosissime inchieste coordinate da Gratteri, ma anche quelle di numerosi suoi autorevoli colleghi, con riscontri positivi ottenuti dal lavoro encomiabile di tanti magistrati giudicanti. La ‘Ndrangheta è un mostro tentacolare, potente non solo perché spara, intimidisce e uccide, ma perché a livello nazionale e internazionale ha costruito alleanze solide con i colletti bianchi collusi, con la politica sporca alla quale fornisce sostegno elettorale e non solo, con l’economia asservita o cointeressata che devasta la meritocrazia e il mercato, che ricicla e garantisce consenso sociale, con la burocrazia deviata. La ‘Ndrangheta e i suoi cinici soci con la cravatta, abili anche a dissimulare, a giocare sporco facendo finta di stare dalla parte giusta, avranno festeggiato nell’apprendere che il “No” a Nicola Gratteri è venuto dallo Stato. Gridiamolo e scriviamolo, perché abbiamo ancora in mente le atmosfere siciliane caratterizzate dal martirio di grandi Eroi della Patria: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, senza voler omettere il lungo elenco di nobili servitori dello Stato immolatisi nella lotta contro la mafia delle stragi che ha avuto esecutori materiali e teste pensanti, che ha unito boss e porzioni marce della Penisola se non anche di contesti più ampi e transnazionali. Allora era la guerra della Repubblica contro la mafia, oggi è la guerra della Repubblica contro la ‘Ndrangheta che, come descrivono tutte (dico tutte!) le relazioni ufficiali più autorevoli e anche tecniche, rappresenta il pericolo più attuale, insidioso, pernicioso rispetto alla tenuta della nostra Democrazia. Sfido chiunque a negare che Nicola Gratteri sia il più autorevole, preparato ed esperto magistrato, anche sul piano internazionale, nella lotta alla ‘Ndrangheta. Così come Falcone e Borsellino, i vessilli più nobili nel Pantheon dei nemici della mafia, Nicola Gratteri è la bandiera dello Stato schierato coerentemente contro la ‘Ndrangheta e i suoi servi (o padroni!) infilati nei settori più corrotti e nauseabondi della politica, dell’economia, della burocrazia, della finanza, degli apparati infedeli.

Ho sempre avuto rispetto per le Istituzioni, come è giusto che sia, e continuo ad averlo. Né cado nel tranello mediatico o dialettico di giudicare il “Sì” a Melillo che avrà modo e tempo per dimostrare il proprio valore anche alla guida della Dna. Mi preoccupa moltissimo, invece, il “No” a Gratteri. Anche alla luce delle recentissime nuove minacce di morte rispetto alle quali gli organismi competenti hanno subito potenziato le misure di sicurezza. Ma quale misura di sicurezza più potente dell’innalzarlo all’autorevole ruolo di coordinatore della Dna? Quale migliore investimento dello Stato, scegliendo Gratteri, nell’acquisire non solo le enormi competenze del magistrato, ma anche e soprattutto nel lanciare un segnale inequivocabile, eloquente, in grado da solo di generare il terrore fra gli ‘ndranghetisti sparsi in tutto il mondo e i loro soci più o meno nascosti? La ‘Ndrangheta non è un problema, è il problema: dalla Calabria al Piemonte, da Roma alle Americhe, da Milano ai Paesi più ricchi d’Europa. Gratteri, come Falcone e Borsellino, non si è limitato a perseguire picciotti e boss, ma ha intercettato (e statene certi che non si arrenderà e continuerà a farlo) gli alleati potenti e i livelli superiori di una ‘Ndrangheta che, come la mafia ai tempi di Falcone e Borsellino, hanno sete di dominio distruggendo le regole della Costituzione. Falcone e Borsellino furono scannati per aver lavorato a fondo su questi segreti, alcuni dei quali sono molto probabilmente rimasti tali ed hanno suggerito l’opzione stragista. Cosa vi dicono le minacce alla vita di Gratteri? Perché qualcuno (certo non dei semplici spacciatori di droga al dettaglio) sta ideando o ha addirittura ordinato la sua morte? Quali aspetti delle tante straordinarie inchieste di Gratteri fanno paura?

Sbaglia chiunque abbia aperto, o posto, una sorta di competizione tra il “No” a Gratteri e il “Sì” a Melillo. Bisogna distinguere i piani e ragionare solo sulle motivazioni del “No” a Gratteri. Quali sono? Perché? Come mai lo Stato si è lasciato sfuggire un’occasione fondamentale, anche alla luce della drammatica storia italiana di sanguinosa lotta ai poteri criminali, di puntare su un simbolo riconosciuto sia in Italia sia all’Estero? Vorremmo una risposta a queste domande e continueremo a porle ragionando con l’opinione pubblica e con l’ampio mondo dell’antimafia militante. Né possiamo omettere di segnalare incoerenze culturali e politiche evidenti tra le decisioni adottate a Roma e le solidarietà dell’oggi. È troppo facile solidarizzare formalmente, ma non essersi esposti, con trasparenza massima e nell’ambito di una vitale dialettica democratica, a favore del “Sì” a Gratteri. Il “Sì” a Gratteri non sarebbe stato un “No” a Melillo o ad altri loro colleghi, ma l’occasione strategica per lanciare una “bomba atomica” contro la ‘Ndrangheta e i suoi maleodoranti amici. Chiedetevi, senza ipocrisie di sorta: secondi voi la ‘Ndrangheta e i suoi maleodoranti amici avranno festeggiato o meno il “No” a Gratteri? Lo avrebbero o no temuto, come la peste bubbonica, alla guida della Dna? Avrebbe saputo o no, Nicola Gratteri, forte della sua esperienza, autorevolezza internazionale, nonché di nuovi potenti mezzi, intensificare la reazione dello Stato contro lo strapotere della ‘Ndrangheta?

Chiudo questo ragionamento dicendo che la magistratura, la stampa e le porzioni più autenticamente antimafia del Paese devono restare unite contro l’invasività dei poteri criminali e mafiosi. Credo che occorra rivedere al più presto le regole che hanno limitato, di fatto, l’approfondimento delle notizie di cronaca giudiziaria. Perché l’opinione pubblica è stata il principale alleato di Falcone e di Borsellino, così come di Gratteri. Credo che un sano e legittimo garantismo non abbia nulla da spartire con il pieno e coerente sostegno alla lotta contro la ‘Ndrangheta e i suoi compari con la cravatta. Il falso garantismo, strumentale e subdolo, è invece un alleato, diretto o indiretto, consapevole o inconsapevole, della ‘Ndrangheta e dei colletti bianchi che la utilizzano o la guidano. “Non tacebo” è il motto che Luigi Firpo, insigne studioso di Tommaso Campanella, peraltro conterraneo di Gratteri, individuò per segnalare il raro esempio di tempra morale del gigante stilese. Non dobbiamo tacere!

Tratto da: tgcal24.it

Foto © Davide de Bari

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