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L’imprenditore che narcotizzava e stuprava le ragazze a Milano finisce ai domiciliari in comunità. I giudici: “Attenuato il pericolo di ricaduta in delitti simili”

Ma le famiglie delle vittime protestano in attesa del processo

Il predatore sessuale esce dal carcere perché, tra l'altro, ha provato a uccidersi ma lo stesso nega di aver mai voluto suicidarsi. Accade anche questo nelle storie che a Milano si intrecciano sui diversi molestatori seriali che agiscono con l'uso di droghe e farmaci per colpire le vittime, riducendole a bambole di pezza prive di difese e, l'indomani, di memoria. Dopo Alberto Genovese, che aveva illuminato le cronache con gli scempi a Terrazza Sentimento, anche Antonio Di Fazio (in foto), l'imprenditore farmaceutico accusato di abusi sessuali su sei donne narcotizzandole in casa con benzodiazepine, finisce ai domiciliari nelle comunità terapeutiche Crest. Ma la scelta solleva le critiche delle parti offese.

«Forte legame con il figlio»

Il gip di Milano Anna Magelli ha fatto uscire Di Fazio dal carcere di San Vittore per un percorso curativo in una clinica specializzata, su parere favorevole della procura. Ma è giusto che dopo otto mesi quest'uomo debba lasciare il carcere, seppure abbia al polso un braccialetto elettronico per impedirne la fuga? La decisione spetta ovviamente ai giudici e va rispettata ma ha suscitato non poca sorpresa che tra i motivi a sostegno della decisione abbia pesato il «forte legame con il figlio che lo avrebbe fatto desistere dal serio tentativo suicidario per impiccagione intentato il 29 settembre scorso». In particolare, il giudice valorizza il percorso psicoterapeutico avviato perché, scrive, «lo ha portato a prendere coscienza della estrema gravità delle condotte tenute e delle conseguenze della sua carcerazione che possono essere determinate a pregiudizio dell'equilibrio emotivo e psicologico del figlio minore; presa di coscienza che lo ha condotto a un certo punto ad intentare un serio tentativo di suicidio per impiccagione, il che porta a ritenere il pericolo di ricaduta in delitti della stessa natura come apprezzabilmente attenuato».
Agli atti però si trova un documento che sembra smentire l'episodio stesso. È una dichiarazione, su carta intestata dell'ufficio di polizia giudiziaria della penitenziaria del carcere, davanti al vice sovrintendente Daniele Zago, firmata dallo stesso Di Fazio, risalente al primo pomeriggio del 30 settembre, ovvero il giorno dopo il presunto drammatico episodio. L'imprenditore nega con forza qualsiasi intento autodistruttivo: «Come già riferito al comandante, nego di aver posto in essere un gesto suicidario e altresì alla visita effettuata dal medico al locale pronto soccorso non ho riferito di averlo posto. Ho solo detto che avevo un umore deflesso che mi portava ad avere una condizione psicologica molto fragile ed altresì che questa condizione mi portava ad avere frequenti pianti. Né ieri né mai durante la mia fase processuale ho pensato di suicidarmi o farmi del male. Probabilmente una frase da me pronunciata al medico è stata male interpretata. Non ho manifestato intenti suicidari».

I punti da chiarire
Ma allora cosa è accaduto? In attesa dell'udienza del rito abbreviato emergono anche altri punti da chiarire. Nella richiesta di mandare il loro assistito in comunità, i difensori del Di Fazio sottolineano anche che tale scelta andrebbe a completare il processo che lo ha portato a una rilettura critica della propria personalità e delle proprie problematiche. E su questo pare che ancora una parte significativa del percorso vada di certo compiuta. Basta rileggere le relazioni all'autorità giudiziaria degli psicologi sugli incontri recenti con il figlio in cui, oltre a momenti di apprezzato recupero della genitorialità, si evidenziano atteggiamenti che tanto ricordano il passato quando Di Fazio per l'accusa si imponeva sulle donne abusate. «Non sono mancate però le descrizioni sensazionalistiche di eventi occorsi in carcere (aggressioni tra detenuti, malesseri propri e dei suoi compagni, condizioni igienico-sanitarie estreme) - si legge ne documento - e le narrazioni di rapporti quotidiani improntati su un registro poco credibile di grandiosità (intimità e complicità con le guardie carcerarie; attività di aiuto, sostegno e guida a detenuti descritti come totalmente inetti; supervisione e formazione da parte sua del personale medico del carcere incompetente in materia di farmaci e terapie; "proposte di matrimonio" da parte di varie donne tra un'udienza e l'altra).
Si è notata, soprattutto nel terzo incontro, l'intrusione di temi incongrui e non pertinenti alla relazione padre-figlio (dettagli su questioni finanziarie e lavorative, inutili risvolti mediatici, vicende investigative e processuali, personaggi famosi citati fuori luogo, rapporti confidenziali e poco credibili con donne influenti che lo circondano in questo periodo) che attengono ancora una volta al proprio registro di funzionamento. Talvolta le figure femminili sono apparse svalutate: «Solo P. è stata una donna con la D maiuscola... con tutte le altre (fidanzate) ci laviamo i pavimenti...».
Per queste vicende, la scelta di far uscire Di Fazio dal carcere provoca l'indignazione di alcune parti offese e dei loro difensori. C'è chi sta valutando se partecipare ancora al dibattimento, chi invece ha trovato insuperabile la serie di menzogne rifilate dal Di Fazio persino nell'interrogatorio del dicembre scorso quando, ad esempio, affermava che Chiara, l'ultima vittima, studentessa alla Bocconi, si era avvicinata a lui con l'intento di baciarlo: «C'era uno stato di ebbrezza molto elevato in quel momento perché erano già partiti due giri pesanti di, ripeto, spritz Campari e Tanqueray ed una bottiglia di Amarone della Valpolicella». Peccato che gli esami sull'alcolemia della ragazza al pronto soccorso fossero incompatibili con quegli alcolici, mentre le benzodiazepine erano a livello assai superiore al grado di tossicità.

Foto © Imagoeconomica

Tratto da: La Stampa

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