Dal contrasto alle lobby in Parlamento all’elezione del Capo dello Stato: l’ex big del M5S racconta le sue battaglie
“Non c’è nulla di più importante oggi per il nostro Paese di una legge sul conflitto di interessi”. È la battaglia che oggi Alessandro Di Battista, da attivista fuori dal palazzo, vuole riportare al centro dell’agenda politica. Non necessariamente del Movimento 5 Stelle. “Oggi vi è una sfiducia totale nei confronti della politica, quindi è sbagliato pensare di fondare un nuovo movimento andando dal notaio e aggredendo uno spazio, come dicevano i politici nel passato”. Per Di Battista, oggi, fare politica significa creare un movimento culturale e di aggregazione per coinvolgere i cittadini sui temi caldi del Paese. Uno di questi è il nodo irrisolto del conflitto di interessi, una questione di cui si discute da più di trent’anni e che sia il centrodestra che il centrosinistra si sono dimenticati di regolamentare in modo serio. Da un lato infatti vi era da tutelare il gigantesco impero televisivo berlusconiano e dall’altro il rapporto opaco tra alcuni istituti di credito ed esponenti di primo piano del centrosinistra. Ed è proprio da qui che, secondo Di Battista, si deve ripartire. “Permetterebbe di contrastare il malaffare e ripulire le istituzioni. Vi è poi il problema delle lobby. Io sono stato nel palazzo e mi ricordo delle pressioni da parte di lobbisti durante l’approvazione della legge finanziaria. Vi erano imprenditori che finanziavano la campagna elettorale di un certo candidato e poi, una volta eletto, chiedevano di approvare un determinato emendamento che li favoriva. Oppure politici che inserivano nella legge di bilancio quelli che noi chiamavamo ‘emendamenti localisti’, cioè provvedimenti mirati alla zona dove quel parlamentare aveva preso più voti. All’epoca non eravamo intransigenti, di più”. L’intransigenza è il valore che il M5S deve riscoprire anche in vista dell’elezione del nuovo Capo dello Stato. Sfida in cui era in campo, fino a pochi giorni fa, anche Silvio Berlusconi, il leader di Forza Italia bollato da Giuseppe Conte come divisivo poiché “candidato di bandiera del centrodestra”. Proprio sull’assalto del Cavaliere al Colle, Di Battista rivela un retroscena inedito: “Ho criticato Conte per queste frasi poiché avrebbe dovuto dire cose diverse, ad esempio che Berlusconi è divisivo perché è un frodatore del fisco ed un finanziatore di Cosa Nostra. Sulla candidatura di Berlusconi, però, posso dare per certo che Conte si sia opposto duramente. Non ha ceduto e questo gli va riconosciuto”. Così come aver contrastato l’elezione del premier Mario Draghi alla Presidenza della Repubblica. “Si è opposto più Conte che qualsiasi altro grillino di vecchia data”. Nemmeno quindi uno dei candidati al Quirinale (dopo Berlusconi) più antitetici per la storia del Movimento 5 Stelle è stato capace di rinsaldare il fronte intransigente grillino in Parlamento ed è uno degli aspetti più indicativi per contestualizzare il progressivo calo di consensi nei confronti di questa forza politica. Di ciò è conscio anche Alessandro Di Battista: “Se il mio movimento è passato dal 33% al 14% qualcuno deve farsi un esame di coscienza. Sono stati commessi gravi errori politici, non tanto di comunicazione. Abbiamo avuto paura di contrastare nel modo giusto Salvini, durante il primo governo con la Lega, poiché il rapporto mediatico di forze era squilibrato a loro vantaggio. La grande emorragia di voti vi è stata in quest’ultimo anno e mezzo a causa di scelte politiche sbagliate. Nasciamo per non governare con nessuno e oggi governiamo con tutti”. La spiegazione che si è dato Di Battista è semplice, ma spietata: “I miei colleghi mi hanno detto che hanno fatto tutto questo per senso di responsabilità. Io penso che molti di loro, ma non tutti, lo abbiano fatto per le poltrone”.
Quelle poltrone che Di Battista ha sempre rifiutato per motivi di opportunità. Nel primo governo con la Lega, poiché era la vigilia di un viaggio di vita e di lavoro da San Francisco fino al Centro America, quindi scelse di stare vicino alla sua famiglia. Durante il governo con il Pd poiché “mi dissero che se fossi diventato ministro, sarebbe entrata nell’esecutivo anche la Boschi”. E persino a febbraio del 2021, quando i parlamentari di Italia Viva sembravano sul punto di ritornare all’ovile e di interrompere la crisi di governo che essi stessi avevano provocato. “Non avrebbe avuto senso perché dichiarai già all’epoca che con i renziani non avrei preso nemmeno un caffè”.
Una coerenza che a Di Battista va riconosciuta. Contro gli inciuci sottobanco, contro chi ha proposto il concetto del ‘meno peggio’ per il Quirinale e contro il governo dell’assembramento.
Essere contro, alle volte, è la cosa giusta. E Di Battista la sta facendo.
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