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Cupio dissolvi
Nella loro ultracentenaria storia i movimenti della sinistra si sono sempre caratterizzati per la loro litigiosità interna, poiché ognuno ritiene di essere il depositario della verità e dell’ortodossia: ne consegue un proliferare di scissioni, di nuovi partiti, di scomuniche e di violente invettive contro “i traditori”, che così diventano nemici politici, molto più di quanto non siano tali i veri nemici politici della parte opposta. Spesso si tratta di forme di integralismo simili a quelle religiose. Nel film “I cento passi”, il pittore Stefano Venuti dà questo giudizio a Peppino Impastato, quando questi gli comunica l’intenzione di partecipare alle elezioni con una sua lista: “Noi siamo condannati a perdere perché ci piace essere divisi”. Un giudizio e una condanna. Sul masochismo della sinistra molto è stato scritto. Molti esponenti della cosiddetta sinistra “radicale” sono talmente abituati a fare opposizione che non sanno fare altro. La visione critica della realtà, della situazione, dell’operato governativo, li porta spontaneamente, per formazione politica, a riconoscere gli aspetti negativi e a denunciarli, quasi si trattasse di decisioni “nemiche”, rispetto a cui disporsi per la lotta politica. In realtà non sempre la visione sociale di un gruppo politico si coniuga con l’esigenza di governare la società con regole e con visioni del mondo alquanto diverse dalle proprie. E così si mette in moto una sorta di “cupio dissolvi”, cioè di un arcano bisogno di autodistruzione, soprattutto nel momento in cui c’è da assumere l’assunzione delle proprie responsabilità e recitare un ruolo propositivo. Chi non ricorda la caduta del primo governo Prodi, per un voto, poiché Rifondazione aveva votato contro per la mancata realizzazione delle 35 ore?. Dopo di che abbiamo avuto 5 anni del Berlusca e dei suoi sodali e nessuno ha più parlato dell’argomento, tranne riesumarlo in tempi successivi e agitare lo spettro dei problemi del lavoro come elemento per prendere le distanze da un governo di cui ha fatto parte la componente politica più vicina alle idee di sinistra. Per carità, si tratta di rivendicazioni sacrosante, ma è giusto sacrificare un’esperienza politica solo per avanzare richieste nel momento inattuabili? 

I depositari della verità
E’ nel DNA della sinistra italiana e non solo, la tendenza alla critica di parte della propria parte, il richiamo all’ortodossia, o meglio la sua reinterpretazione in rapporto alle esperienze politiche e alla preparazione teorica dei suoi sostenitori. Se nel 1921 il Partito Socialista non si fosse diviso in tre non avremmo avuto il fascismo, senza scordare le origini politiche di Mussolini né quelle del nazional-socialismo di Hitler. Attenzione, mi si risparmi l’imbecille battuta che i sistemi totalitari sono insiti nell’ideologia della sinistra: file infinite di “compagni” torturati e morti per la difesa della libertà testimoniano il contrario. E questa peculiarità del dissolversi in rivoli, ognuno dei quali si scaglia nei confronti dell’altro con violenza, acredine e odio, peggio che con il peggior nemico politico, è determinata con ogni probabilità, dal fatto che si crede in maniera indiscutibile o emotivamente coinvolgente nelle idee di cui si è portatori e si pretende di essere depositari della verità, del purismo dell’interpretazione, della correttezza dell’analisi: ove non si riscontri condivisione nel gruppo, se ne esce fuori e si dà vita a un altro gruppo, basta la condivisione anche di uno o due soggetti. In tal modo la forza del gruppo di provenienza di indebolisce, ma questo non preoccupa i fautori del nuovo gruppo, per i quali il gruppo di prima diventa nemico, tanto quanto tutti gli altri, se non peggio. Ho letto di stupidotti che vanno dall’area di “estrema sinistra” a quella di “grillini critici”, affermare in passato “meglio Forza Italia che Renzi” (oddio!), oppure “sono contento che abbia vinto Trump e non quella corrotta della Clinton”. Oggi la contestazione da sinistra di Draghi non si preoccupa se l’alternativa scontata è un governo fascioleghista. Ahime!!! 
Le motivazioni delle scissioni sono spesso personali, ma sono camuffate da pretesi ideologismi: si maturano le idee di scissione attraverso riflessioni proprie che non si allineano con quelle dei piccoli o grandi leader, e questo sembra essere, a prima vista, il risultato di una certa educazione alla democrazia e all’esercizio del libero pensiero, sconosciuta in vasti settori di destra. “Il leader non va perché non ha niente a che fare con i valori per cui abbiamo lottato”. E’ l’accusa con la quale il gruppo di Articolo Uno, ovvero di Bersani-D’Alema, ha lasciato da alcuni anni il PD, senza tuttavia riuscire, almeno sinora, a coagulare intorno a sé il vasto arcipelago dei movimenti di estrema sinistra. Di là si va a reciproche accuse di eresia, di tradimento, di accordi sotterranei, persino di astensionismo elettorale. Anche il tentativo, fatto in un recente passato da Antonio Ingroia, di coinvolgere o convogliare il dissenso a sinistra del PD, in Rivoluzione Civile, o quello, alle europee di una strana “lista Zipras”, che si ispirava a un politico  greco per proporre l’unità in Italia, si sono dissolti a causa di complessive incapacità di costruzione di un’alternativa credibile, che fosse soprattutto davvero nuova, cioè espressione del dissenso rapportata ai problemi che emergono giornalmente nella società. Il passaggio dalla teoria alla prassi è l’eterna incompiuta , dal momento che la verifica delle idee con i fatti implica duro lavoro, un continuo esercizio d’impegno, adeguazione, riconsiderazione degli assunti di partenza. 

Destra e sinistra non esistono più
Il trans-ideologismo dietro cui si sono nascosti i grillini della prima generazione è una maschera inesistente, con la quale si è voluto far credere che non esistono più destra o sinistra, che la vecchia politica è morta o è agonizzante, a causa della sua incapacità a sapersi rinnovare e a cancellare i privilegi. Già questa seconda affermazione ha una forte carica di sinistra, ma guai a dirlo ai nuovi politici, che preferiscono prendere paurose sbandate a destra sia nei confronti dei migranti, sia nella scelta delle alleanze europee (vedi Farage), pur dichiarando la mancanza di un’identità ideologica. Perché le categorie politiche di destra e di sinistra sono la chiave di lettura politica della storia, dai Gracchi, a Cesare, ai Ciompi, ai tribunali d’inquisizione, a Garibaldi, a Lenin: nel senso di una lotta tra il conservatorismo di chi detiene il potere, e chi sceglie invece la via dell’innovazione, dell’opposizione e, se ne è capace, della contrapposizione: dietro ci sta la lotta contro le differenze sociali, che è di sinistra, e la coerenza con gli immortali principi della Rivoluzione Francese. Del resto basta richiamare la canzone di Gaber, che molti non sanno ascoltare. Insomma l’eterna lotta tra ricchi e poveri. Non saprei se definire chi si vanta di non essere né di destra né di sinistra, come cretino ideologico o ignorante. Dopo l’avvento del governo Conte due sembra essersi in parte ricomposta la pretesa trans-ideologica dei cinquestellati, con la creazione di un’alleanza progressista, ma a fronte di altre scissioni con irriducibili, puristi, filodestrorsi.

Sono tutti uguali 
Anche la diffusa condanna del “sono tutti uguali” non è corretta, perché non sono tutti uguali, non sono tutti ladri, esistono file infinite di persone corrette e oneste e l’eventuale corruzione o colpevolezza di pochi non può essere omologata come un abito che indossano tutti. Ma quello di confondere il particolare con l’universale è un aspetto e un pregiudizio cui gli italiani non sanno rinunciare. Chi segue questa distorsione mentale ignora o finge di ignorare quanto sangue e quante lotte ci siano state in mezzo, dalla parte di chi ha lottato per costruire un sistema in cui davvero si potesse essere “tutti uguali”. Si replicherà che sono “i politici” ad essere tutti “uguali”, ma a questo punto bisogna inserire tutti i politici, anche quelli che dicono “sono tutti uguali”, cioè quelli che approfittando dei varchi aperti nel sistema politico italiano, tipo Berlusconi o Grillo, hanno costruito la loro identità “culturale” e politica e sono finiti in parlamento. Se sono tutti uguali non c’è speranza. C’è chi crede che la politica sia una sorta di virus in grado di infettare anche i più puri, una volta che ci si è dentro, e che qualsiasi progetto politico di trasformazione della società finisca con l’affondare nella melma del reale, del quotidiano, delle regole spesso nascoste, ma persistenti contro cui si infrange o viene riassorbita ogni velleità rivoluzionaria. Molte esperienze storiche del passato confermano questa tesi, ma non è detto che ciò che è sempre stato debba continuare ad essere.

Il renzismo
Il renzismo, eredità e prosecuzione del precedente berlusconisno, sicuramente è stato uno dei tanti virus penetrati all’interno del debole organismo politico della sinistra e che ne sta provocando l’autodistruzione. E’ cominciato con la favola della rottamazione, essenzialmente mirata su D’Alema, Bersani e Prodi: certamente non sono stati rottamati vecchi democristiani come Gentiloni, Bianco, Orlando e i vari amici d’area. Diciamo che è diventata maggioranza all’interno del PD l’ala di provenienza della sinistra democristiana. C’erano già state le avvisaglie allorchè Veltroni aveva rinunciato a la sua carica di sindaco di Roma, regalando la città ad Alemanno, per inseguire il sogno di premierato, dopo avere concordato con Berlusconi lo sbarramento al 6% per fermare soprattutto l’emorragia alla sua sinistra. E siccome il lupo perde il pelo ma non il vizio, l’operazione, proprio a Roma, si è ripetuta con Marino, impallinato dallo stesso PD che lo aveva proposto e sostenuto, con il risultato di regalare la città ai dilettanti allo sbaraglio della Raggi. Staremo a vedere cosa succederà a Gualtieri, cui non piacciono i cinque stelle e che non piace ai cinque stelle, ma se la storia insegna, dovrà guardarsi dal fuoco amico. E comunque, a sinistra del PD, alle comunali c’era l’imbarazzo della scelta, da Potere al Popolo alla lista Roma ti guarda, al Partito Comunista, e al suo vicino Partito Comunista Italiano, a Falce e Martello, ad Attiva Roma, alla Sinistra Rivoluzionaria e, con alcune sfumature, al partito gay e a Italia dei Valori. Difficile entrare in queste teste e chiedere loro cosa credevano di fare. Ma per non farci mancare nulla, proviamo a dare uno sguardo al passato.

Uno, dieci, cento partiti
Per non andare troppo indietro, partiamo dal ’68, cioè nel momento di esplosione della galassia comunista “rivoluzionaria”: un primo partito nel quale mi trovai a militare per alcuni mesi assieme a Peppino Impastato fu il PCD’I-ml: la sigla ml, cioè marxista-leninista è un elemento indispensabile di caratterizzazione dell’identità comunista più estrema. In un certo momento, a seguito di diatribe interne di carattere economico, il partito si scisse in Linea Rossa e Linea Nera i cui rispettivi leaders erano Pesce e Dinucci: a sua volta Il Partito Comunista d'Italia ml Linea Rossa si suddivise in Partito Comunista d'Italia ml Linea Rossa - "Il Bolscevico" e Partito Comunista d'Italia ml Linea Rossa - "Il Partito", dal nome delle due rispettive testate giornalistiche, che ebbero poca vita. Sul giornale "Il Bolscevico", si notavano i ritratti di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, mentre sul giornale "Il Partito", erano riprodotti i ritratti di Marx, Engels, Lenin, Mao e Stalin. Secondo quelli de “Il Bolscevico” era giusto anteporre il compagno Stalin a Mao, mentre secondo quelli de “Il Partito” Stalin andava posto in secondo piano rispetto al compagno Mao. Non so se ci sono state altre scissioni. Non correva buon sangue tra le linee rossa e nera del Partito Comunista d’Italia ml e l'Unione dei Comunisti Italiani ml, diversamente chiamata “Servire il popolo”, il cui leader, Aldo Brandirali, poi transitato in Forza Italia, celebrava matrimoni comunisti ("Vuoi tu, compagna X, prendere in sposo il qui presente compagno Y, per servire insieme il popolo ed educare i vostri figli alle idee del Presidente Mao e del compagno Brandirali?") e chiedeva ai militanti di vendere tutti i loro beni per finanziare il partito. Il Partito Comunista Internazionale, col suo giornale "Lotta Comunista", considerava traditori revisionisti tutti i leader comunisti successivi al 1921 (Ivi compreso il revisionista Gramsci ma non gli ortodossi Pannekoek e Bordiga), Il Partito Comunista Rivoluzionario (facente parte della Quarta Internazionale, cioè dei seguaci di Troskij, divisa a sua volta fra tendenza lambertista e tendenza posadista, dai nomi dei rispettivi leader), era osteggiato da Avanguardia Comunista , ma c’era anche il Partito Comunista Siciliano con sede a Villa Lenin a Caltanissetta. 
 Naturalmente l’elenco è più ricco: La scissione del PSIUP dal PSI, nel 1964 ,produceva un ulteriore partito, il PdUP da parte di coloro che dal PSIUP non vollero aderire al PCI, da dove erano usciti quelli de “il Manifesto”, mentre c’era un vivaio di movimenti extraparlamentari, “Lotta Continua”, “Potere Operaio”, “Lega dei Comunisti”, “Avanguardia Operaia”, “Avanguardia Comunista” , “Organizzazione Comunista ml.,” “Democrazia Proletaria”, “Movimento Lavoratori per il Socialismo” e “Movimento Politico dei Lavoratori”, i “CUB”, “Autonomia Operaia”, nelle sue tre diramazioni di Padova, Roma e Napoli, “Rifondazione Comunista” di Bertinotti, da cui si scisse il Partito dei Comunisti Italiani di Oliviero Di Liberto, la Rete dei Comunisti Italiani, poi diventata Potere al Popolo il Partito Comunista dei Lavoratori” di Ferrando, i più recenti movimenti di “Sinistra critica”, “Unire la Sinistra”, “Movimento per la Sinistra”, poi diventato “Sinistra, Ecologia e Libertà” “Liberi e Uguali”, “Articolo Uno”, “Potere al Popolo” e “Sinistra Italiana” di Fratoianni, assieme ad altre conventicole locali, per non parlare degli anarchici individualisti, di quelli collettivisti, di quelli insurrezionalisti, evitando di fare il salto nelle varie sigle del terrorismo rosso.
Per essere più precisi si noti che queste sono le componenti al momento identificate: 
1) Liberi e Uguali si è frammentato in almeno 5 gruppi: 1) “Sinistra italiana” di Fratojanni e Di Cristofalo; 2)”É Viva” di La Forgia e altri; 3) “Patria e Costituzione” di Fassina; 4) “Leu” di Bersani e altri ex Mdp 5) “Futura” di Laura Boldrini e altri.
2)“ Potere al popolo si é a sua volta ridiviso in 6 Gruppi; 1) “Rifondazione Comunista”; 2) “Partito comunista Italiano” 3) “Partito del Sud”; 4)”Potere al popolo” (Cremaschi- Garofalo) 5) “Risorgimento Socialista”; 6) “Sinistra Anticapitalista”!1
3) Partito comunista di Rizzo
4) Partito comunista dei lavoratori di Ferrando;
Oltre a questi 13 partiti comunisti o di sinistra che si presentano alle elezioni, ci sono almeno altri 20 soggetti politici che si richiamano al comunismo che non si presentano, alcuni come " Lotta Comunista" che hanno un notevole numero di aderenti e un discreto radicamento. Il totale dei partiti comunisti, o comunque di sinistra raggiunge e supera le 40 sigle.

Tutto fermo
L’homo novus che era sembrato Renzi è naufragato dopo avere avviato l’ultima delle sue rottamazioni, quella del secondo governo Conte. Il tentativo di mettersi in proprio, secondo la categoria della scissione, che questa volta era a destra e ricordava vagamente quella dei socialdemocratici di Saragat, (1947) ha sinora eretto un fragile muro alla propria scomparsa grazie al cospicuo numero di parlamentari eletti alle ultime nazionali perché appartenenti al suo cerchio, ma sicuramente destinati al naufragio, non appena si andrà al voto. Pochi dubbi permangono sulla sua futura richiesta di elemosina al centro destra risvegliato e ringalluzzito per suo “merito”. Il PD , attestato su un presumibile 15% e su un una ibrida alleanza con quel che resta dei Cinque stelle, ovviamente spaccati anch’essi, continuerà a sostenere le sue posizioni liberticide, con il falso alibi della governabilità, vaneggiando sul sistema maggioritario , sull’abolizione delle preferenze, e sulle sue scelte orientate verso tutto ciò che allontana la gente dalla politica partecipata e lascia carta bianca alle capacità di conduzione del leader. La nuova leadership di Letta sembra dare qualche vaga illusione di cambio di rotta, comunque fagocitato e risucchiato dal sostegno al governo Draghi.

Speranze?
Quali speranze? Al momento ben poche. La presenza del nulla porta a scegliere il nulla: possibile insofferente alleato del PD, per forza di cose, è diventato il moribondo Movimento cinque stelle, ormai imploso nella sua mancanza di identità: dopo un biennio con un non leader, Di Maio, è seguito un altro biennio con un reggente inconcludente e privo di poteri, Vito Crimi, sino a un sofferto affidamento del ruolo a un presunto leader, Conte, che non è Cinquestelle e che è già stato “posato” dagli stessi Cinquestelle a vantaggio di Draghi. Poca speranza che questa coalizione “progressista” abbia un futuro, anche perché buona parte di quelli che avevano simpatie destrorse se n’è andata e, secondo il canone dello scissionismo, sta progettando di fare un altro partito. A sinistra mancano i collaboratori, l’elettorato giovane, le idee di sinistra e gli uomini, come Corbin o come Sanders, (per carità, nulla di rivoluzionario!) capaci di “resuscitare” un’identità offuscata, alla quale invece in Italia è stato fatto un frettoloso funerale. La partita si gioca tutta nella capacità degli ultimi fuoriusciti dal PD, di riuscire ad unificare tutto il dissenso sbriciolato in mille isole indipendenti, ma nessuno sembra possedere questa dote di “tessitore”. Dietro è necessario un programma con tutto quello che vuol dire essere di sinistra, cioè ridistribuire il reddito, lottare per difendere i più deboli nella scala sociale ed economica, generare lavoro, semplificare la burocrazia, combattere il clientelismo, il parassitismo, la corruzione, le mafie, aprire, liberare quotidianamente spazi di democrazia partecipata e da essa prendere le idee e recepire i problemi da affrontare. Non ci vuole molto: basta stare lontani dalle banche e non preoccuparsi se falliscono, non sentirsi espressione del mitizzato ceto medio ipocrita, perbenista e qualunquista, non lasciarsi coinvolgere dal razzismo becero, trovare soluzioni che non siano solo di assistenzialismo, non lasciarsi tentare dall’integralismo medievale velato di cristianesimo, non concedere nulla ai furbetti che devastano l’ambiente, ripristinare i poteri di uno stato oggi in vendita sulla gestione dei rifiuti, sulla conservazione e distribuzione delle acque, sull’istruzione, sull’edilizia pubblica, sulla sanità, sulla sicurezza, sulla gestione del demanio, sulla riconversione ecologica. Insomma basta restituire alla gente la voglia di soluzione dei bisogni elementari in cui quotidianamente si dibatte a causa di una crisi che non accenna a risolversi. Se il lavoro di cucitura basato su queste semplici linee d’azione tipicamente “di sinistra” avrà buon esito allora dalla rottamazione dell’attuale “non-identità” del PD si dovrebbe rifondare una condizione in cui tutti siano partecipi e protagonisti. Altrimenti non resta che aspettare il ducetto di turno e rassegnarsi al ruolo di pecore in cerca di un pastore. Insomma, soprattutto dopo i lusinghieri risultati delle ultime amministrative, siamo davanti a un perdente leghista felice di perdere perché nelle sue analisi poco realistiche e nella cerchia dei suoi “colonnelli” non è prevista la sconfitta e non è soprattutto prevista la possibilità di stilare un programma con poche linee d’azione diverse da quelle della destra e dal dilagante appiattimento sulle direttive conservatrici provenienti dall’Europa. A parte tutto c’è in mezzo la devastante azione destabilizzante del virus che impedisce programmazioni e rilanci e produce sensibili forme di arroccamento delle varie componenti sociali. Al momento, per quanto assurdo e inconcludente, l’elemento dominante della ribellione e della contrapposizione al potere è diventato il movimento no-vax e no-green pass, dietro al quale stentano a vedersi elementi di malcontento economico e politico, ove si escluda una generica radicalizzazione antigovernativa dietro cui soffiano con violenza i movimenti della galassia di una destra attualmente all’opposizione. E’ stato assorbito senza alcun contraccolpo sociale l’aumento delle bollette, che ha causato, e continuerà a causare, a ruota, un aumento generalizzato, valutabile tra il 25 e il 40% di tutti i prodotti e i generi di commercio: è il colpo studiato con cura dal capitale e da chi ne è espressione, per riprendersi i mancati guadagni a causa della pandemia e rilanciare il suo ruolo di privilegio e di locomotiva trainante dell’economia affidata dallo stato ad individui che la gestiscono per suo conto ed a proprio vantaggio: l’attacco è possibile e il suo raggio d’azione è più vasto in relazione alla bassa, se non assente forza del livello di scontro, dabanti alla tracotanza dei padroni dei mezzi di produzione. Dopo anni di latitanza sembra di assistere a qualche momento di risveglio da parte dei sindacati, i quali, sembrano contentarsi di essere riconosciuti come tali e di sedersi al tavolo delle trattative, ove chiedono cento per accordarsi anche con uno, dovendo fare i conti, al loro interno, tra l’area filogovernativa e quella antagonista, sempre più spinta ai margini della rappresentatività. La disponibilità di forza-lavoro a basso costo proveniente da alcune nazioni, verso cui vengono dirottati investimenti e strutture produttive, lo sfruttamento bestiale cui sono sottoposti e si sottopongono quantità sempre crescenti di migranti e disperati che vendono se stessi per qualche euro in tasca, le “migrazioni” di giovani verso zone del pianeta che sappiano mettere a profitto i loro studi e la loro professionalità, sono alcuni dei tanti elementi che rimettono in discussione i vecchi criteri di analisi politica e richiedono un loro adeguamento ai mutati e intervenuti bisogni della società contemporanea. Senza dimenticare un principio non sempre adeguatamente curato a sinistra, ovvero l’acquisizione, l’aggiornamento tecnologico e la cura degli strumenti di cattura, di conquista e di mantenimento del consenso, e quindi del potere, primo fra tutti l’informazione e la sua credibilità.

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