La 'Ndrangheta non sia un alibi, servono più fondi per l'ambiente
Lo ricordava Corrado Alvaro, grande scrittore calabrese: chi governa e chi comanda ha sempre costruito “fortune imponenti” su catastrofi e disgrazie. Al Sud, la terra brucia come le baracche nel romanzo di Fortunato Seminara. Nel 2021, sono andati in fumo oltre centomila ettari di terreno, il quadruplo rispetto ai 28.479 distrutti in media dal 2008 al 2020. Le rovine fumanti sono gli unici segni di un mondo che scompare. Mario Draghi promette l’ennesimo programma di ristori, insieme a un piano straordinario di messa in sicurezza del territorio. Per decenni, si è trascurata ogni forma di prevenzione. Si sprecano energie, discorsi sulle grandi opere da fare o da non fare, ma si fa poco o nulla per evitare che vada in fumo il patrimonio boschivo e che tanti paesi scendano a valle. È la cifra di una sconfitta, quella di una classe politica che non si è mai preoccupata dell’abbandono delle montagne, della cementificazione delle coste, della salvaguardia dell’ambiente.
È innegabile che ci sia un’economia del crimine che ruota anche attorno agli incendi. Ci sono state faide per il controllo dei boschi, come quella che dagli anni Settanta ha insanguinato le montagne tra la vallata dello Stilaro e le Serre del Vibonese. Nel settembre del 2009, il boss Damiano Vallelunga venne ucciso davanti al santuario dei Santi Cosimo e Damiano. E alla montagna è legata l’epopea di boss come Rocco Musolino, deceduto nel 2013 e originario di Santo Stefano d’Aspromonte, paese di un altro famoso bandito, Giuseppe, che di mestiere faceva il segantino. Era noto come il re della montagna anche don Ciccio Serraino, ucciso in un agguato all’interno degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria nel 1986.
C’è poi il nuovo business del disboscamento selvaggio per alimentare il mercato delle biomasse, grazie al legno riciclato dagli incendi. Nel 2012, in una conversazione intercettata dagli inquirenti, il boss Nicolino Grande Aracri intuisce le opportunità legate ai rifornimenti delle centrali di biomasse. “Crotonesi, mesorachesi, cutresi”, dice, “dobbiamo guadagnare tutti. Dobbiamo mangiare tutti quanti”. Parla con uno dei fratelli e fa riferimento a marsigliesi che hanno aziende in Russia coinvolte nel trasporto marittimo e alla possibilità di utilizzare il loro servizio per vendere il “cippato”, legno vergine ridotto in scaglie.
In una informativa del 2014 della Squadra Mobile di Catanzaro, viene messo in evidenza l’interesse del clan Mancuso “nella progettazione di parchi eolici e fotovoltaici, nonché di impianti a biomasse, al fine di accaparrare i finanziamenti regionali, statali o europei mediante l’aggiudicazione di subappalti”. Di biomasse si parla anche in indagini condotte in Sardegna, Puglia, Basilicata, Toscana, Sicilia e Lazio. Denunciate estorsioni ai danni di società coinvolte nel settore delle rinnovabili, soprattutto a Strongoli, nel crotonese.
Le mafie non hanno mai avuto rispetto per il territorio. Lo hanno sempre sfruttato, danneggiato, saccheggiato. Mi viene in mente una conversazione intercettata in Calabria, al tempo in cui nel mare finivano i veleni dei rifiuti speciali. “Che ce ne fotte, tanto noi il bagno lo andiamo a fare da qualche altra parte”. È la mentalità di tanta gente coinvolta in questa ennesima stagione dei fuochi: il disprezzo per il bene comune.
La tipologia dell’incendiario fa il paio con il disinteresse di una classe politica che non riesce a vedere oltre il proprio naso e con una società civile che spesso non si fa sentire. C’è il folle, il vicino di casa dispettoso, il piromane, ma c’è anche chi cerca di trarre vantaggio da scelte odiose e scellerate. La ‘ndrangheta non deve, però, diventare un alibi. Quello degli incendi è un rito che si ripete da troppo tempo e che andrebbe affrontato seriamente. Per una transizione ecologica che non sia solo di facciata, bisognerebbe “destinare all’Ambiente buona parte delle ingenti somme in arrivo con il Pnrr”, come auspica l’antropologo Vito Teti. “Solo così è possibile trasformare in opportunità e ricchezza quella che sembra una ‘maledizione’, per fare della Calabria un modello, un laboratorio, un luogo emblematico di come anche in altre parti del mondo si possa operare per avere cura dei boschi, delle acque, dei fiumi, dei mari, dei luoghi, dei paesi, delle persone”.
Senza una vera inversione di tendenza, il territorio - in Calabria come in altre regioni - rischia di rimanere nelle mani di mafiosi senza scrupoli, avventurieri del cemento, tecnici contigui al malaffare e politici assolutamente inadeguati.
Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 15 Agosto 2021
Foto © Imagoeconomica