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Il 16 giugno del 1982 fu una data storica per la mafia catanese, una data che provocò la morte di 4 vittime innocenti: i Carabinieri e l’autista che portavano in traduzione Alfio Ferlito, il boss rivale di Benedetto Santapaola che doveva essere trasferito da Enna al carcere di Trapani.
Il giorno precedente al trasferimento, i militari addestrati per quelle operazioni si rifiutarono di prestare servizio per quel trasporto, così venne chiamato Salvatore Raiti, insieme ad altri due colleghi, Silvano Franzolin e Luigi Di Barca. I tre ragazzi, seppur senza aver mai frequentato dei corsi specifici, per l’alto senso del dovere e il profondo rispetto per la divisa che indossavano, obbedirono agli ordini senza esitazione.
La sera di quel 15 giugno, Salvatore Raiti telefonò alla sua famiglia con affetto e commozione; loro percepirono dal suo tono di voce che qualcosa non andava, ma non capirono cosa. Poi chiamò la sua fidanzata, e le confidò che temeva che da quella trasferta non sarebbe più tornato.
Così, la mattina del 16 giugno, i tre colleghi avviarono la “traduzione” del boss; alla guida dell’auto c’era Giuseppe Di Lavore, l’autista della ditta privata che aveva in appalto il trasporto dei detenuti. Accanto a lui Raiti. Dietro, al centro tra gli altri due Carabinieri, sedeva il boss Alfio Ferlito. L’auto non era blindata.


circonvallazione vittime da facebook


Giunti sulla circonvallazione di Palermo, sotto il monte Pellegrino, due autovetture di grossa cilindrata, rubate pochi mesi prima, affiancarono il mezzo. I killer esplosero centinaia di colpi di fucile Kalashnikov e di lupara.
“Un attentato violento, sanguinoso, che seppur diretto al boss catanese, non lascia scampo a nessuno.
Oltre a lui, quattro vite innocenti saranno stroncate, interrotte, deturpate. Salvatore, i suoi colleghi e l’autista, non faranno più ritorno a casa, dalle proprie famiglie, dai propri affetti. Moriranno in quell’auto, in quel giorno caldo in cui l’estate sembrava già prendere il sopravvento sulla primavera.
Dopo il mortale agguato, il commando mafioso si allontana, incendiando le auto che avevano usato e cambiando veicolo per non lasciare alcuna traccia. Come ricorda ogni anno l’associazione Libera: “I sogni e il sorriso di Salvatore, di solo 20 anni, e dei suoi commilitoni vengono bruscamente interrotti su quella circonvallazione.
Il papà di Salvatore, nell’atto del riconoscimento, non riuscirà a pronunciare parola; prenderà tra le braccia il suo ragazzo e gli canterà una dolce ninna nanna: l’ultima.
L’adorata mamma di Salvatore non resisterà a tutto quel dolore, si lascerà morire, a poco a poco”.
Non ci resta che ricordare il sacrificio di 4 innocenti, che valse ai corleonesi, esecutori materiali, il controllo mafioso della città di Catania attraverso il favore fatto a Benedetto Santapaola che in quel momento - e per circa un decennio - sarebbe stato il loro più forte alleato.

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