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La lettera
Questa lettera è stata inviata a un compagno di Peppino, del quale viene omesso il nome. Dal timbro postale non è leggibile la data e, per quanto Peppino si sia occupato del problema soprattutto tra il 74 e il 75, il riferimento al “Circolo” lascia pensare che sia stata scritta nel periodo del Circolo Musica e Cultura, cioè nel 1977. Si noti che, secondo gli autori delle minacce, i comunisti sono quelli che vogliono togliere il pane ai muratori, non quelli che vogliono far valere i loro diritti. La minaccia di far saltare la casa dove ha sede il Circolo lascia pensare che chi scrive, sicuramente un mafioso, disponga di esplosivo e sappia come usarlo. Ancor più inquietante il riferimento all’appoggio di molte autorità politiche, chiaro segnale che chi scrive si sente protetto e coperto dai politici della zona e che è messo al corrente, da qualche spione, di tutto quello che succede in seno al gruppo.

“Caro………Ti scriviamo questa lettera per dirti una cosa. Innanzitutto ti diciamo che già un tuo amico (G.Impastato) ha ricevuto una lettera così. Noi siamo gente che si guadagnano il pane e voi comunisti volete levarcelo. Ma ti diciamo a te e a tutti i comunisti di finirla con i muratori. Siamo capaci di fare tutto e se voi continuate subito agiremo, E non ci spaventiamo perché abbiamo l’appoggio di molte autorità politiche. Tu G. ed altri avete scherzato molto con noi, ora noi muratori abbiamo deciso anche di farvi saltare la casa dove c’è il Circolo e poi voi la pagherete al padrone. Perciò finiscila una buona volta con i muratori e fateci lavorare in pace. Che poi noi veniamo a sapere molte cose su di voi ed abbiamo informatori che ce le dicono.”
GRUPPO LAVORATORI.

Altre lettere vennero inviate a manovali che frequentavano il sindacato. Peppino mi fece leggere una di tre lettere, che conservava nel comodino della sua stanza. Cominciava così: “Peppino, sappiamo di chi sei figlio e per questo ti stiamo avvisando……”. La lettera terminava con il disegno di un teschio: fa parte, assieme ad altri tre fogli, degli atti processuali, contrassegnati come ff.52-56 vol.I.

Gli edili
La situazione degli edili è il primo vero momento di scontro frontale con la mafia. Si va a toccare uno dei nervi scoperti, ovvero uno dei pochi campi di lavoro presenti a Cinisi, così come in tutta la Sicilia, e quindi un terreno in cui lo sfruttamento della forza-lavoro e l’appropriazione, da parte mafiosa, non solo del plusvalore, ma di intere parti della dovuta retribuzione del lavoratore, costituisce un terreno privilegiato di accumulazione, ma anche di controllo sociale.
In quegli anni la speculazione edilizia a Cinisi si intensifica e diviene una delle principali attività economiche. Accanto alla costruzione di villini per la villeggiatura, in prossimità della fascia costiera o collinare, si sviluppa anche l’edilizia legata ai finanziamenti pubblici: nel ’72 un progetto di 150 milioni per la costruzione di una strada panoramica che avrebbe dovuto valorizzare terreni di esponenti locali democristiani e socialisti, non decolla per contraddizioni interne alla giunta DC-PSI, appoggiata all’esterno dal PCI. Di quella somma, circa 120 milioni vengono spesi per riasfaltare strade e per allargare il piazzale adiacente la spiaggia di Cinisi. Contemporaneamente iniziano i lavori di costruzione del lotto dell’autostrada Punta Raisi-Mazara del Vallo, che passa da Cinisi: l’appalto è vinto dalla ditta Mazzi e la mafia trova subito come inserirsi nelle assunzioni e nelle forniture di materiale. Il problema degli edili riguardava molte persone sfruttate, non pienamente coscienti dei propri diritti e della propria forza, in mano alla onnipotenza del potere mafioso, e veniva perciò ad intaccare grossi interessi, specie quelli di gente che pensava di aumentare i profitti sfruttando il momento favorevole, attraverso l’evasione dalle leggi dello stato, specie quelle conquistate dai lavoratori. Dovendo fare i conti con questo stato di cose, Peppino e il suo gruppo instaurarono un rapporto di collaborazione diretta con la CGIL, gestendone in gran parte l’attività. È di quel periodo questo volantino:
«Lavoratori. Edili, le nostre condizioni di vita e di lavoro sono state sempre caratterizzate dallo sfruttamento più bestiale e inumano. La maggior parte di noi non ha mai avuto il libretto di lavoro, non ha mai usufruito della benché minima assistenza contro le malattie e gli infortuni, ha sempre, lavorato in condizioni di spaventosa nocività ed insicurezza e senza assicurazione. Adesso è il momento di dire basta! Ci stiamo organizzando per affermare i nostri diritti e le nostre esigenze”. Adesso è il momento di dire basta! Ci stiamo organizzando per affermare i nostri diritti e le nostre esigenze. Che cosa chiediamo:

1) che l’assunzione avvenga secondo le leggi vigenti (col libretto di lavoro, le marche, l’assistenza e tutto il resto);
2) il rispetto dell’orario di lavoro (40 ore settimanali, settimana corta);
3) il giusto pagamento dello straordinario (35 per cento in più);
4) il rispetto delle tariffe sindacali;
5) la terza categoria per tutti quelli che hanno già compiuto tre anni di lavoro;
6) salario garantito.

Lavoratori edili, uniamoci per lottare ed affermare il nostro diritto alla vita. Organizziamoci per lottare e per vincere.
F.I.L.L.E.A.-C.G.I.L. Cinisi»


vitale lettera gruppo lavoratori 1500


GLI EDILI A CINISI (1978)

Questo documento è stato pubblicato nel 1978 in “Dieci anni di lotta contro la mafia” cit., p. 11. Vito Lo Duca, il suo autore, mi portò i suoi appunti scarabocchiati su alcuni fogli volanti e gli ho dato una sistemata. Vito è un bell'esempio di compagno, con una robusta coscienza proletaria, acquistata dalla costante vicinanza con Peppino. È morto per grave malattia il 20 maggio 1997. Qualche anno dopo la morte di Peppino si era trasferito a Milano, con il preciso rifiuto di sottoporsi allo sfruttamento mafioso del proprio lavoro.

«La presenza di uno strato di edili precari a Cinisi e in zona è rappresentata da circa 400 giovani dall'età da 15 a 22 anni circa e da un centinaio di imprenditori edili. La nostra condizione di lavoro è molto brutta, nel senso che non abbiamo nessun tipo di intesa e di collegamento organizzativo. Ci sono tanti piccoli cantieri nella zona con quattro o cinque edili per imprenditore. Sul lavoro non ci sono strutture adeguate per la sicurezza, infatti spesso qualcuno ci lascia la pelle: si sono verificati casi di morte con la corrente elettrica, edili che cadono dai ponti e dalle impalcature. Il ritmo di lavoro è molto veloce. La situazione si aggrava con un supersfruttamento bestiale. Una giornata di lavoro dura in estate dalle lO alle 12 ore, in inverno un po' meno: qualche imprenditore usa persino la lampada per continuare nel ritmo di lavoro che aveva in estate. La paga è veramente misera: non rispecchia neanche la metà della paga prevista dal contratto nazionale di lavoro. Non usufruiamo della benché minima assistenza sanitaria, non siamo messi in regola, non abbiamo libretto di lavoro, libretto di Cassa malattia né assicurazione sul lavoro. Per quanto riguarda le assicurazioni ogni imprenditore ha una o due polizze di assicurazione senza nominativo: per ogni operaio che si infortuna o che muore si scrive il nome dell'infortunato sulla polizza con una data di una settimana prima e, in questo modo, ci si mette in regola con l'ispettorato del lavoro. Il modo con cui gli imprenditori riescono ad avere queste polizze è collegato al discorso di rapporti tra loro e i prestanome della mafia. Il livello di coscienza degli edili precari non è per niente adeguato a questo tipo di sfruttamento imprenditoriale: le cause si possono ricercare in diverse istituzioni, soprattutto nella cultura popolare zonale e paesana, una cultura familiare piccolo borghese inculcata dagli strumenti di cui la borghesia dispone, attraverso le sue leggi e le istituzioni e facendoli passare come “leggi naturali" che la popolazione, col ricatto dei bisogni, con la paura del terrorismo è costretta ad assimilare. Alla fine del '73 c'è stato un tentativo di organizzazione per l'affermazione dei nostri diritti e delle nostre esigenze. In principio eravamo pochi ma, parlando tra noi della nostra condizione disagiata, cresceva lentamente la voglia di dire basta allo sfruttamento. In meno di un mese, dopo diverse riunioni, eravamo circa 90-100 giovani edili. Con un volantino reclamammo i nostri diritti e la nostra affermazione alla vita, dandoci una scadenza: a distanza di una settimana avremmo dovuto vederci tutti in piazza, davanti al municipio, per manifestare la nostra condizione di sfruttamento e di disagio. A questo
punto scattò la repressione nei confronti degli edili precari e della sezione in cui ci andavamo a riunire. Ai compagni della sezione, che ci aiutavano ad organizzarci, arrivarono lettere di minacce e di morte, intimando ci di smetterla nella nostra azione che voleva far diventare comunista la gente: queste lettere erano firmate da "un gruppo di muratori". Contro di noi edili si mobilitarono gli imprenditori e la mafia andando casa per casa a dire ai nostri familiari: "state attenti che vostro figlio prende una brutta strada, gli può finire male", e frasi di questo genere. Da quel giorno in poi i nostri rapporti si diradarono e non riuscimmo neanche a fare la dimostrazione in piazza, addirittura cercavamo di evitarci per non salutarci. Il terrorismo creato dalla mafia, dai fascisti e dagli imprenditori riuscì in pieno. In realtà l'ideologia dei giovani edili precari per buona parte è estranea alla loro condizione di sfruttamento. Si va a lavorare per il bisogno in famiglia, per avere soldi in tasca, per comprare il motore, si ricerca il soddisfacimento di bisogni indispensabili, si vive in continuo stato d'ansia. Dopo il servizio militare, il matrimonio e il bisogno economico familiare non permettono più la continuazione di questo lavorio precario... La mafia ha il monopolio delle forniture, dal calcestruzzo agli infissi, dalla ceramica al marmo ecc. La mafia, attraverso il controllo della commissione edilizia impone il piano di fabbricazione nei luoghi che fanno comodo con la corruzione, le tangenti, il ricatto sui partiti. In questo modo può prevedere, a distanza di diversi anni, lo sviluppo del piano regolatore, comprare le terre a pochi soldi e speculare nella loro rivendita. Gli imprenditori non hanno altra scelta: se vogliono lavorare devono stare alle leggi dei clan mafiosi e prendere da loro le forniture. Tutto questo passa attraverso lo sfruttamento degli edili precari... La sinistra rivoluzionaria a Cinisi, anche su tutte queste cose si deve rapportare e fare i conti. L’unica possibilità sarebbe di parlare delle nostre contraddizioni, dei nostri bisogni, delle nostre paure, di socializzarle e di farle diventare prassi concreta, in modo da unificarle con le altre realtà sociali, ma succede raramente Prendere posizione su queste cose e quindi prendere coscienza è difficile: alla base ci sta paura delle conseguenze, cioè di mettere in crisi il vecchio modo di fare piccolo borghese".

Nota: Buona parte del materiale riportato è tratta dal mio testo “Peppino Impastato, una vita contro la mafia” - (ed. Rubbettino 2008) e dall’altro libro “Intorno a Peppino” (ed. Di Girolamo 2020). La foto è reperibile sul sito “Aeroporto di Palermo” e si riferisce ai lavori di demolizione per la terza pista.

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