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di Lorenzo Baldo

Al di là delle polemiche sul “caso Lamborghini”, le parole della fotografa palermitana nel libro scritto con Sabrina Pisu “Mi prendo il mondo ovunque sia”

“Come possiamo intenderci se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e il valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro?”.
Alla profonda analisi di Luigi Pirandello si potrebbe unire la citazione di Confucio che, nel VI secolo a.C., aveva sapientemente spiegato: “Se nel prossimo vedi il buono, imitalo; se nel prossimo vedi il male, guardati dentro”. Basterebbero queste riflessioni per sintetizzare il delirio delle polemiche di questi giorni attorno al “caso Lamborghini”, con le bambine palermitane fotografate da Letizia Battaglia e sullo sfondo le note auto di lusso. Polemiche inutili, fondate sul nulla, spesso intrise di ipocrisia, di silenzi imbarazzati, di scuse tardive. Un crescendo di violenza verbale amplificata da quegli stessi social network che, come ricordava Umberto Eco, sono colpevoli di aver dato “diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività”. Un diritto di parola recriminato ugualmente da vari soggetti su alcuni quotidiani nazionali. Detrattori animati da vecchi rancori, gelosie professionali, o semplicemente legati da un mero spirito demolitorio fine a se stesso? O più banalmente, pseudo intellettuali e commentatori vari mossi da una superficialità imperante, o da quello sguardo “malato” di cui parlava Confucio? Reazioni scomposte (che hanno portato alla luce i volti reali di molte persone) che si commentano da sole e non meritano ulteriore visibilità se non quella di finire al più presto tra i rifiuti di quest’epoca malata di egoismo e aggressività. Quelle che restano invece sono la vita, le foto e le parole di Letizia Battaglia. Parole autentiche e vibranti racchiuse nello splendido libro di freschissima pubblicazione scritto assieme a Sabrina Pisu “Mi prendo il mondo ovunque sia”. Un libro che ripercorre fedelmente la vita della protagonista, l’aspetto privato e quello pubblico, attraverso la sua stessa testimonianza. Che è stata riportata dalla coautrice assieme ad una dettagliata ricostruzione storica e giudiziaria. Una vita intensa, appassionata, quella di Letizia, segnata da tragedie, gioie e dolori immensi che si intervallano furiosamente mentre tutt’attorno c’è una guerra di mafia in corso. Una guerra senza esclusione di colpi, contrassegnata da omicidi eccellenti, stragi, processi, sentenze di assoluzioni e di condanne, tutto minuziosamente narrato nel volume edito da Einaudi. Che restituisce l’immagine di un nemico più subdolo pronto a trattare con quello Stato che scende a patti con Cosa Nostra. Letizia è lì, in strada, a fotografare, instancabile; una donna in mezzo a un mondo di fotografi maschi. Spesso con i suoi scatti riesce a restituire quella dignità violata dalla furia della violenza mafiosa. Nel suo bianco e nero si ritrova la grazia perduta di quelle bambine che fissano l’obiettivo e diventano immortali. Sguardi che entrano prepotentemente nel cuore e nell’anima mentre reclamano solo un momento di felicità e leggerezza nelle loro vite segnate da un destino già scritto.


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Il perdono che libera

“Convivere con la mafia mi ha fatto male - racconta Letizia -, molto male, ma non mi ha distrutta. E neanche mi ha incattivita. Quello che ho visto, vissuto e raccontato per immagini non mi ha fatto diventare una persona peggiore, i tradimenti ricevuti non mi hanno trasformato in una persona consumata da rabbia, rancori e cinismo. Ho perdonato il male ricevuto nella mia sfera privata e sono stata meglio. Ho scoperto che il perdono, e lo dico da non cattolica, rimette a posto con se stessi, fino a quando non ho perdonato sono rimasta vittima del male ricevuto e del rancore che ne derivava. Il perdono libera”. Per Letizia, però, l’altro tipo di perdono, quello che definisce “civile”, nei confronti di “chi ha fatto male a questa terra”, rappresenta a tutti gli effetti “un’altra cosa”, ed è per questo che “non lo concedo”. “Non si può perdonare chi ha permesso venti anni di sangue per le strade di Palermo”. Lascia poi spazio ad uno sguardo introspettivo da cui filtra tuta la bellezza del suo essere. “La cosa che conta, la più bella, è che grazie alla fotografia ho acquietato la mia ansia privata, ho scoperto di avere il coraggio e la forza di essere me stessa. Osservo il mio volto, segnato da linee nere. Lo accarezzo. La crema che mi ha fatto comprare Patrizia le ammorbidirà sicuramente. Questa età della vecchiaia, che porta ancora in sé la bambina buona e generosa con le occhiaie, e che è un peccato che finisca, mi ha portato tanti tesori, di sentimenti e conoscenza, che mi hanno reso ancora più forte. Sento che dentro questo corpo invecchiato c’è una mente che è ancora giovane, ed è una grande forza di volontà a darmi quell’energia capace di alleviare il peso e il dolore della mia schiena quando sono stanca o un po’ ammalata. Il dolore fisico non mi piega, non voglio che mi tolga nulla e non mi toglie nulla o, per essere onesta, quasi nulla”.


La mafia che tratta e uccide
“Mi domando spesso - continua Letizia - se c’è davvero la volontà politica a livello nazionale di sconfiggere la mafia. Se ci fosse stata, la mafia non esisterebbe più. Io non ho più voluto continuare a fare fotografie di cronaca quando le persone migliori del Paese come Falcone e Borsellinosono state prima delegittimate, poi isolate e poi ammazzate, personaggi politici come Giulio Andreotti, presidente del Consiglio per sette volte, coprivano interessi mafiosi, un giudice come Nino Di Matteo, che ha fatto luce sulla trattativa tra una parte dello Stato e la mafia, viene ancora minacciato di saltare in aria con il tritolo che dal 2014 è nascosto a Palermo da qualche parte. La sua vita blindata ci fa respirare la stessa atmosfera che ha preceduto le stragi”. Letizia non ha alcun dubbio. “La verità è questa: la mafia è nata e cresciuta, ha messo a ferro e fuoco Palermo e la Sicilia perché è sempre stata sostenuta da una parte delle istituzioni con cui è scesa a patti, ha stretto affari e ha sostenuto con i voti. Si è voluto far credere all’opinione pubblica, dentro e fuori dall’Italia, che la mafia prosperasse in Sicilia a causa della società civile, di una certa mentalità, ma questa è un’affermazione ingiusta che ci umilia e denigra. C’è ancora qualcuno che crede che la mafia sia una questione solo siciliana? La mafia esiste ancora ed è forte, ovunque: in Italia, in Europa, nel mondo. La mafia non ha più bisogno di ammazzare, è già più forte, è riuscita a trattare con una parte della politica, come ha dimostrato il magistrato Nino Di Matteo, ed è per questo che dopo gli omicidi di Falcone e Borsellino non ha più ucciso. Continua ad ammazzare ogni giorno, ma in un altro modo, togliendo opportunità di lavoro onesto ai giovani, con i traffici illegali, controllando l’economia”.

Dalla paura al coraggio
“Durante l’emergenza del coronavirus - evidenzia Letizia ricordando il primo lockdown nazionale -, non ho voluto sciupare nemmeno un istante a piangere sul fatto che dovevo stare rinchiusa, anche se ho avuto i miei momenti di tristezza, ma ho combattuto, ho cercato di fare cose belle lo stesso, come decidere di far ridipingere le pareti della mia casa, quelle della camera da letto sono ora rosa e verde mentre la cucina è verde squillante, il corridoio sarà invece color ciclamino. Voglio attivare di colori questa parte della mia vita, voglio che sia allegra”. “Non mi sono mai annoiata - sottolinea con forza -, ho ripreso anche a stirare, dopo venti anni che non lo facevo, ed è stato bello. Le giornate sono volate, l’unica cosa che mi è mancata è il non essere stata toccata, accarezzata, abbracciata da nessuno perché sono stata sola. È molto importante quello che è avvenuto dentro di noi in quel periodo, drammatico, con tutti quei morti, ma che ci ha reso tutti uguali, in tutto il mondo. Durante il coronavirus ho pensato che per la prima volta io e i mafiosi abbiamo avuto lo stesso nemico. Ho visto tante cose nella mia lunga vita ma niente del genere, quello che è accaduto ha rivoluzionato il nostro modo di vivere, di amare, di pensare alla libertà. È stato un periodo di grande paura e da questa paura deve nascere un grande coraggio, per superare questa fase servono impegno vero e creatività”.


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Una bambina indomabile
“Da parte mia - ribadisce Letizia con la passione civile che la contraddistingue - sento la necessità di fare tante cose nuove o di fare le cose vecchie con uno spirito diverso, più essenziale e profondo. Il traguardo non è la felicità, ma qualcosa che ha a che fare con la felicità. Oggi lo so. Amo molto la vita ed è per questo che ho sempre combattuto contro la morte e contro tutto quello che può portare alla morte. Oggi ripensando alla mia vita, sono certa di non averla sprecata né denigrata, sono contenta di come sono andate le cose: sono rimasta sempre fedele a me stessa, coerente con i miei ideali e valori, non mi sono venduta mai, ho difeso con tutte le mie forze, con i denti e con le unghie, quando è stato necessario, la mia dignità. E mi sono conquistata la mia libertà e le cose che mi rendevano felice”. La sua riflessione vira poi sull’eternità della fotografia: “Per noi fotografi che con fatica abbiamo documentato il mondo, e che ci portiamo dietro un fardello ingombrante di emozioni, stanchezza, delusioni, è importante sapere che il nostro lavoro non andrà perduto, perché ci riguarda tutti. Le mie foto, belle o brutte che siano, tra cento anni ci saranno ancora, a parlare di un pezzo di storia”. “Oggi, come ieri - conclude - posso dire quello che penso veramente, senza paura e condizionamenti di nessun tipo. E questa sensazione mi fa sentire leggera, mi fa stare bene con me stessa e con gli altri, è la prova che la mia vita non è stata miserabile. Ed è stata piena di coraggio e bellezza. La bellezza e il coraggio di quella bambina indomabile che ero, e sono ancora, e che insegue sempre i suoi sogni, forse un po’ ammaccati”. Sogni che ancora oggi irritano profondamente tutti quelli che, spesso incattiviti dal proprio cinismo o dalla solitudine, hanno smesso di sognare. Sogni “ammaccati” che ispirano invece chi, seguendo le orme di questa donna indomita, decide di dedicare la propria vita per continuare il sogno di Letizia, pazzo e visionario, di vedere la “sua” Palermo rinascere, libera dal cancro mafioso.
(Prima pubblicazione: 24-11-2020)

Foto di copertina © Shobha

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