Dalla poetica di Bondi al concetto di indispensabilità sociale
Solo ieri tra i 25 decessi della Liguria, 22 erano pazienti molto anziani. Persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese che vanno però tutelate.
Così si è espresso, in un recente tweet, il governatore della Liguria Giovanni Toti.
Certo, il concetto di indispensabile per lo sforzo produttivo, pronunciato dall’uomo che ha sostituito Emilio Fede alla guida di Studio Aperto, fa un po’ ridere, ma ha comunque origini antiche.
Risale cioè al 10 maggio 1994, giorno in cui il signor Silvio Berlusconi assume la carica di Presidente del Consiglio.
Da quel momento, infatti, inizia la lenta, ma progressiva trasformazione del cittadino in consumatore, la cui utilità per il paese non si misura sulla base delle qualità personali, ma sulla capacità di muovere denaro per scopi, poco importa, più o meno leciti.
Anni ruggenti e rutilanti, durante i quali i mafiosi pluriomicidi assurgono a eroi, le banche vengono costruite intorno a noi e si scomoda sant’Agostino per giustificare l’evasione fiscale.
Mentre la prassi costituzionale si arricchisce di metafore calcistiche, la prostituzione viene derubricata a burlesque, il pappone a facilitatore e il cliente a utilizzatore finale.
Meravigliosa italietta, al cui confronto le ballerine e i nani dell’era craxiana sembrano aulici come consoli romani e perfino il grigio notabilato democristiano assume, nelle nebbie della memoria, i contorni di nobile e disinteressata congrega di padri della patria.
Epoca di autentica e compiuta democrazia diretta.
Nel senso che chiunque può diventare deputato, sottosegretario o ministro, purché sia, anche solo momentaneamente, nelle grazie dall’Amato Leader, secondo i dettami del più puro stile nordcoreano.
Entreranno quindi nei vari governi, legali, commercialisti, sensali, collaboratori, procacciatori e fiancheggiatori del mitico Cavaliere. Insieme a transfughi socialisti, democristiani scompagnati e missini convertiti se non alla libertà, quanto meno al liberalismo.
Per rendere, seppur in maniera riduttiva, il sacro fervore che attraversava in quegli anni il centrodestra italiano, può forse servire la rievocazione dei componimenti poetici di Sandro Bondi, indimenticabile Ministro dei Beni Culturali.
Uomo che, nonostante tre anni di indefessa attività al dicastero di via del Collegio Romano, viene ricordato soprattutto per i numerosi crolli avvenuti nell’area archeologica di Pompei, causa mancata manutenzione (accorsero indignati anche gli ispettori dell’Unesco) e, appunto, per la pregevole attività letteraria.
Nell’ormai lontano 2005 dà alle stampe, infatti, un’immortale silloge poetica per i tipi della Meridiana di Firenze.
Emblematicamente intitolata Perdonare Dio e c’è da scommettere che l’Essere Supremo avrà molto gioito nell’essere ricordato, e soprattutto perdonato, da una personalità del calibro di Sandro Bondi.
Collana dalle molte perle, pur tuttavia, nella silloge alcune odi spiccano sulle altre, per altezza morale e respiro dei temi trattati.
Vi troviamo infatti liriche dedicate a tale Marinella Brambilla, storica segretaria berlusconiana, a Walter Veltroni (inspiegabilmente definito: madre dei miei sogni) a Fabrizio Cicchitto, Stefania Prestigiacomo e, naturlich, al Grande Capo, amichevolmente definito Silvio.
A Silvio
Vita assaporata
Vita preceduta
Vita inseguita
Vita amata.
Vita vitale
Vita ritrovata
Vita splendente
Vita disvelata
Vita nova
Ma soprattutto alla di lui genitrice, Rosa Bossi Berlusconi. Passo di toccante lirismo che consegna ai posteri non tanto l’incolpevole donna Rosa, quanto il poeta stesso, in tutta la sua sfolgorante dignità.
A Rosa Bossi in Berlusconi:
Mani dello spirito
Anima trasfusa
Abbraccio d’amore
Madre di Dio
Roba da far impallidire Leopardi con tutta la siepe e tacitare per sempre il pastore errante per l’Asia, il quale potrebbe pure smettere di lamentarsi e considerarsi una volta per tutte, a buona ragione, uomo molto fortunato.
È questo il clima, la congèrie politica e morale che forgia l’homo novus berlusconiano.
Tutto il resto, gli sdoganamenti del fascismo, le narrazioni renziane, i panozzi sbranati da Salvini in diretta Istagram, con la bazza bisunta di olio di palma ne sono solo la naturale prosecuzione. La fangosa tracimazione che fa seguito alla rottura della diga.
Altrettanto può dirsi di un Giovanni Toti che, ritenendosi forse leader moderno e dinamico, classifica i suoi elettori in indispensabili e inutili.
Applicando alla lettera i precetti del verbo berlusconista. Non futile alternativa tra avere ed essere, ma sciabolata che tronca ogni nodo gordiano al grido di: avendo sono.
Per onestà intellettuale, bisogna dire che il buon Giovanni ha subito contestualizzato l’uscita, spiegando che è stato frainteso un ragionamento più ampio. Anche se, trattandosi di tweet, con il noto limite di 280 caratteri, non si capisce bene cosa ci fosse da fraintendere e dove, eventualmente, fosse allocato il più ampio ragionamento originario.
Non se l’abbiano a male quindi i molti pensionati liguri (la Liguria è la seconda regione italiana per età media) né i più giovani quando trasmigreranno anch’essi, prima o poi, nel dantesco girone dei non indispensabili.
Saranno comunque tutelati, almeno per il momento.
Non certo per diritto, norme morali o costituzionali.
Soltanto perché Giovanni Toti è uomo di grande bontà e seppur a malincuore, li tutela.
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