Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

di Margherita Furlan
Contributo al Free Media Forum di Praga, 20-22 Novembre 2019

Siamo in un momento di straordinaria transizione a livello globale. E qualcosa è cambiato anche per tutti i giornalisti, di tutto il mondo, che erano abituati da sempre al “monopolio” dell’informazione, inteso come l’esclusiva di poter parlare da uno a tanti.
Questa esclusiva non l’abbiamo più. Per tornare a essere autorevoli occorre cambiare molte cose del vecchio mestiere. Prima di tutto imparando a cercare la verità, noi stessi, in un mondo in cui la verità è diventata merce rara. Il che significa adattare le regole antiche del mestiere alla nuova realtà.
Nel grande mare della Rete esistono ancora molte isole dove è ancora possibile usare le principali norme del giornalismo. Il giornalista ha un dovere: informare correttamente i cittadini. Ma la sua autonomia, oltre che minacciata dal proprietario del mezzo, è ora sottoposta alle leggi degli algoritmi. Chi lavora solo sul web, pur non avendo un padrone, è soggetto a un sistema di norme tecniche dalle quali non può prescindere e che sono sempre più oppressive, che misurano la qualità del lavoro in termini di numeri impietosi.
Prendiamo i giornali italiani. Secondo i dati ufficiali la vendita dei quotidiani nel 2008 era di 1,8 milioni di copie. Dieci anni dopo, nel 2018, le copie vendute sono crollate a 836.000, cioè il 53% in meno. Il declino è stato costante negli anni, anche se la flessione dell’ultimo anno è rimasta contenuta attorno al 7%. Ma la domanda circa il futuro della carta stampate resta irrisolta. Per meglio dire: il calo continuerà. Il web vincerà in ogni caso, anche se il lavoro degli editori tradizionali non cesserà ma verrà dirottato su nicchie di mercato diverse, che rispondono a esigenze dei lettori e dei consumatori che non cesseranno. Ci sarà sempre una serie di pubblici che vorranno la qualità, l’approfondimento, la raffinatezza, la specializzazione.
Ma una cosa è certa. Oggi e ancor più domani non ci s’informerà più come in passato. Certo la lettura di massa del quotidiano, inteso come fonte primaria di informazione per tutti - chiamiamola informazione generalista - sarà sempre di più soppiantata inesorabilmente da una ricerca personalizzata su canali diversificati di informazione, che avranno (già hanno) tempi, forme e contenuti diversi tra di loro. Il villaggio globale ha diversificato e spezzettato il concetto stesso di informazione. L’esempio più illuminante di questo cambiamento è l’infotainment, cioè l’informazione più intrattenimento. Che a sua volta si sta trasformando sempre di più in intrattenimento con qualche residuato di informazione. Chi avrebbe mai immaginato, solo venti anni fa, un telegiornale interrotto sistematicamente dalla pubblicità? È solo un esempio dei cento che si potrebbero fare.
Cosa possono fare gli editori, per cavalcare il cambiamento in atto senza essere sbalzati di sella? Cambiare il rapporto tra testata cartacea a web e social network, ma è una ritirata disordinata che prelude alla confitta della prima. Senza nessuna certezza che il secondo possa vincere, perché il pubblico scappa dall’informazione in cerca di ogni altra delle mille merci comunicative che non richiedono nessuno sforzo personale. Ad esempio, gestendo meglio il rapporto tra testata e social network che, al momento, presenta grandi criticità.

social media fumetti

Una recente ricerca, svolta da Data Media Hub, ha messo in luce come venga postata dalle redazioni sul web una quantità impressionante di contenuti. Ma questa fiumana di contenuti viene riversata sui social senza quasi nessuna attenzione alla gestione della community o a un vero un dialogo con i lettori. La Stampa, in un mese, fornisce solo 55 risposte ai commenti, e pensare che è il quotidiano che interagisce di più con i lettori. Il Sole24Ore si limita a dare 38 risposte, Il Corriere della Sera 35. Ciò a fronte dell’infinità di commenti ricevuti (in un mese, complessivamente, i post caricati dalle venti testate in esame hanno ricevuto 2,6 milioni di commenti, 4,1 milioni di condivisioni e 8,4 milioni di like). Appare chiaro un problema di comunicazione. La situazione è dovuta anche al fatto che non si investe sulla figura del social media editor, che il più delle volte è lo stesso giornalista che si trova a dover fare il “doppio lavoro”, tradizionale e digitale insieme.
Qual è allora il ruolo del giornalista oggi? La difficoltà del giornalismo sta nel far emergere informazioni utili, spesso scomode e nel presentarle in modo comprensibile. Per farlo al meglio dobbiamo reinserire nel menù tre ingredienti: metodo, scrupolo nella verifica delle informazioni, studio per la semplificazione della complessità (leggi: mi sforzo di farti comprendere concetti difficili, ma non elimino i concetti difficili dalla divulgazione). Il che poi si riduce a competenza e tempo. Fare finta che i giornalisti siano superflui oggi è come dire che la comunicazione non abbia poi tutta questa centralità nel mondo in cui viviamo che, però, si fonda sulla comunicazione sia dal punto di vista tecnologico sia dal punto di vista culturale. Tuttavia il giornalista di una testa web si trova imprigionato da regole e algoritmi, da tecniche comunicative, da un mare di comunicazioni solo apparentemente informative ma in realtà di carattere commerciale, pubblicitario, manipolatorio. Essere se stessi è praticamente impossibile. Scegliere in autonomia lo è ancora di più.
È il Mercato, la sua forma, le sue esigenze, che decide. E tutto ciò non ha ancora attinenza con la verità, e il servizio pubblico.
La crisi del giornalismo oggi è dovuta al dominio della tecnologia e del denaro. Il giornalista dunque è espropriato della possibilità di usare le une e le altre in modo indipendente. Se e quando prova a farlo il suo destino più probabile è di essere espulso dal processo. La rinuncia è l’esito più comune. La stanchezza e l’inutilità degli sforzi conducono spesso alla rinuncia del senso di responsabilità. Quello che conta è il numero dei contatti. E questo vale per l’editore come per il social network al quale l’editore di affida. Il giornalista riceve ordini ai quali non può non rispondere. Così la comunicazione (non è più nemmeno il caso di usare la parola informazione) diventa affannosa, frenetica, permanentemente pirotecnica. E tutto questo - che già, di per sé è un inganno - finisce per affogare in un inganno ancora più tragicomico: che consiste nella falsificazione dei contatori dei contatti. Perché è ormai chiaro, o dovrebbe esserlo, che la quantità dei contatti registrati non corrisponde affatto ai contatti reali. E i contatti reali non corrispondono affatto ad un pubblico fedele.

fake news red

La politica, ormai parte del Mercato, fa larghissimo uso ormai di questo inganno a doppio fondo. Basti pensare alla recente scoperta delle 60mila identità false di individui twitter usate per dare consenso al colpo di stato in Bolivia contro il presidente Evo Morales. Oppure alla scoperta che, con alta probabilità, il tanto strombazzato mantra dei 2 miliardi e 450 milioni di utilizzatori di Facebook è di gran lunga sovrastimato dai milioni di indirizzi falsi, creati apposta per essere venduti alle agenzie pubblicitarie. Le quali a loro volta li vendono agli inserzionisti, che fingono di crederci.
Come uscire da questa commedia è la grande questione che, tuttavia, nessuno si pone. Il fatto è che ormai non si può più prescindere dai social networks per tenere n vita un giornale. Prima dell’avvento dei social network non c’erano grandi differenze tra il giornale online e la versione cartacea. Sul web si puntava sull’attualità, ma la stessa notizia si trovava approfondita il giorno dopo sulla carta stampata. Con l’irruzione dei social media - prima Facebook nel 2004, poi Youtube nel 2005, seguito da Twitter - i content providers sul posto diventano corrispondenti involontari, dando vita a quella forma di giornalismo conosciuta come citizen journalism. La partecipazione attiva dei lettori, grazie all’interattività dei nuovi media, suggerisce l’illusione di una presunta orizzontalità democratica e di uno scambio maggiore. In realtà si è tradotta in una degenerazione dell’informazione.
I giornali sono obbligati a consumare la notizia molto rapidamente: il prodotto è confezionato e venduto subito perché altrimenti diventa inutile. Il web ha eliminato i costi di produzione e distribuzione e incrementato la diffusione dei contenuti. Ma i contenuti non sono più né verificati, né sicuri. Così non si è più in grado di sostenere la macchina industriale del passato perché oggi le notizie sono accessibili gratuitamente.
Il punto allora è: come rendere remunerativo il giornalismo sul web? Al momento questa soluzione non c’è. Ed è molto dubbio che la si possa trovare visto che nel villaggio globale le notizie vengono sempre di più sostituite dalle fake news e che la loro produzione in serie è sempre più generalmente controllata e definita dai grandi social networks. I quali, a loro
volta, hanno definito le regole del mercato della comunicazione e possono imporre i loro copyrights a tutti i produttori di contenuti.
Qui, in questi giorni abbiamo molto parlato di multipolarismo ideologico, ma a me sembra che si stia andando sempre più velocemente verso l‘imposizione di una struttura comunicativa unificata sotto il controllo dei giganti del web.

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos