di Salvatore Borsellino, Marco Bertelli, Federica Fabbretti, Stefano Mormile, Fabio Repici e Giovanni Spinosa
Il 21 novembre di 25 anni fa sono stati arrestati i fratelli Savi, Roberto e Alberto, poliziotti, e Fabio, camionista. Per 7 mesi si dicono gli unici artefici, con l’occasionale presenza di altri tre poliziotti, dei delitti della Uno bianca (22 omicidi e oltre 100 feriti in 82 azioni delittuose dal giugno 1987 al novembre 1994). Dal processo di Pesaro (giugno 1995) cambiano versione: i precedenti racconti erano frutto di un preaccordo; in realtà, all’inizio (periodo degli assalti alle Coop - gennaio 1988/giugno 1989), avrebbero consegnato armi e autovetture rubate a rapinatori professionisti; poi (periodo terroristico - ottobre 1990/agosto 1991), le avrebbero prestate a personaggi misteriosi di una rete investigativa che facevano rapine simulate; infine (periodo delle rapine in banca – novembre 1991/novembre 1994), sarebbero stati anche gli esecutori materiali dei delitti.
Qual è la verità? 19 dei 22 omicidi furono commessi nelle prime due fasi. Esaminiamoli.
30 gennaio 1988, a Rimini viene assassinata la guardia giurata Giampiero Picello. L’auto usata dai banditi è priva delle targhe, riposte nel bagagliaio. I Savi non lo sanno.
19 febbraio 1988, un’altra guardia giurata, Carlo Beccari, muore a Casalecchio di Reno (Bo). La solita macchina senza targa anteriore, i banditi sono almeno 5; anche questo i Savi non lo sanno.
20 aprile 1988, a Castel Maggiore (Bo) vengono assassinati i carabinieri Umberto Erriu e Cataldo Stasi. Le viti della targa anteriore asportata sono nel cruscotto del guidatore; i militari vengono colpiti da un proiettile sparato da un’arma mai passata per le mani dei Savi; nella macchina degli assassini ci sono due bossoli. Uno riconduce al depistaggio di un brigadiere dei carabinieri, Domenico Macauda; dell’altro sappiamo solo che non ha nulla a che vedere con i fratelli Savi.
26 giugno 1989, a Bologna, nella rapina alla Coop di via Gorkj, viene assassinato Adolfino Alessandri. C’è un proiettile che per colpire una guardia giurata alle spalle deve fare un’inversione a “U”. Nell’auto dei banditi viene rinvenuto uno scontrino di un bar di Parma, città ove i Savi non sono mai stati; c’è anche una colt 357 rapinata nell’assalto alla Coop di Pesaro del novembre 1988: perché i Savi non utilizzano mai quell’arma, l’abbandonano e continuano a uccidere con le proprie colt 357? Forse, a questo punto, è utile ricordare che c’è una sentenza passata in giudicato che racconta tutta un’altra storia e ha condannato un’altra persona per questo stesso episodio.
6 ottobre 1990, a Bologna, con un colpo sparato a pochi centimetri di distanza, viene assassinato Primo Zecchi. I banditi sono due e, prima della rapina fatale, ne avevano commessa un’altra. I Savi lo ignorano; e, infatti, la vittima ha fra le mani 5 capelli recisi il cui Dna è incompatibile con il loro.
23 dicembre 1990, in un campo nomadi a Bologna, vengono assassinati Rodolfo Bellinati e Patrizia Della Santina. Roberto Savi spiega che avevano inutilmente girovagato con l’intento di assaltare una Coop e, tornando a casa, avevano deciso di scaricare le armi contro le roulotte degli zingari. Bugia: erano le 8:15 del mattino!
27 dicembre 1990, a Castel Maggiore, vengono assassinati Luigi Pasqui e Paride Pedini. La macchina abbandonata dai banditi, nei 72 giorni in cui era stata nelle mani dei ladri, aveva percorso 1800 chilometri. Perché i Savi utilizzano una macchina rubata? In quel momento, ne hanno a disposizione altre 4; che se ne fanno? Che dire della Fiat Uno rubata dai Savi e trovata in provincia di Caserta nelle mani di un camorrista? e, perché, appena affidata in custodia giudiziale, è stata bruciata? Fra le tante auto rubate dai Savi, quella degli omicidi di Pasqui e Pedini ha una peculiarità: è la prima a essere rubata inserendo una listella delle schede telefoniche nel blocco di accensione, da quel momento un inseparabile marchio di fabbrica della Uno bianca. È un caso che il momento del furto coincida con quello in cui i Savi sarebbero stati agganciati dai personaggi misteriosi delle rapine simulate?
4 gennaio 1991, a Bologna vengono assassinati i carabinieri Otello Stefanini, Mauro Mitilini e Andrea Moneta. Lasciamo la parola alla Corte d’Assise di Bologna nel processo Medda: un racconto indecente frutto di accordi precedenti all’arresto.
20 aprile 1991, a Bologna, vengono uccisi un benzinaio, Claudio Bonfiglioli, e il suo cane Tom. Nel silenzio della sera, accanto al cadavere, restano 510.000 lire che i banditi non si degnano nemmeno di raccogliere. Ma, davvero, agivano a fini di lucro?
2 maggio 1991, a Bologna, vengono assassinati i gestori di un’armeria, Licia Ansaloni e Pietro Capolungo. Nell’armeria sarebbe entrato Fabio Savi, ma lì c’è un teste che vede e sente parlare l’assassino: non gli assomiglia affatto e non ha il suo marcato slang romagnolo.
19 giugno 1991, a Cesena, viene ucciso il benzinaio Graziano Mirri. Ancora una volta, nessun interesse per il bottino.
18 agosto 1991, a San Mauro a Mare (Fc) vengono assassinati i senegalesi Babou Chelikh e Ndiaye Malik. Non si pensi al razzismo, perché, subito dopo, i banditi tentano di uccidere tre ragazzi italiani. Non c’è nulla che torni nei delitti dei primi due periodi della Uno bianca; eppure, da 25 anni, un iroso terrapiattismo di Stato, si nasconde dietro alcune sentenze, ne ignora altre, rimuove i fatti, li parcellizza e, infine, li banalizza.
Tratto da: Il Fatto Quotidiano