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di Luca Tescaroli
L’iniziativa di abolire la pena dell’ergastolo viene in questi giorni riproposta. Sicuramente, merita massimo rispetto per le ragioni di umanità e giuridiche che la sottendono. L’abolizione era stata prevista nei progetti di riforma del codice penale del 1973 e in quello elaborato dalla commissione Grosso, e in occasione della riforma del rito abbreviato del 2000.
Mi chiedo se sia eticamente accettabile la sua estensione al mafioso irriducibile e se sia compatibile con il proposito di contrastare efficacemente l’azione, il potere e la pericolosità delle strutture mafiose radicate nel nostro Paese. In proposito, si impone di riportare alla memoria cosa accadde agli inizi degli anni Novanta. I vertici di Cosa Nostra idearono e attuarono le stragi del 1992 e del 1993 con la prospettiva di ottenere, fra l’altro, proprio l’abrogazione dell’ergastolo, una volta raggiunta la consapevolezza che le condanne irrogate (fra le quali 19 all’ergastolo) nel giudizio di appello del maxi-uno, istruito dal pool guidato da Antonino Caponnetto, sarebbero divenute definitive. Perciò, eliminare il carcere a vita significa oggettivamente favorire la mafia, al di là dell’intenzione di chi si è fatto portatore della proposta. Al contempo, la proposta invia al mafioso un segnale pericoloso di interessata disponibilità delle classi dirigenti a interagire con il sistema mafioso e costituisce un segnale di debolezza e di indulgenza dello Stato, nei confronti dei cittadini e delle vittime di mafia, che inevitabilmente percepiscono un atteggiamento ingiustificato di buonismo nei confronti di chi è portatore di lutti e dolore, di chi li imprigiona nelle loro paure e si impadronisce dei proventi del loro lavoro senza fare nulla per meritarlo, attraverso l’estorsione. Non si può dimenticare mai che i componenti delle strutture mafiose continuano a controllare il territorio, inquinano il tessuto sociale ed economico del Paese e impediscono la fruizione delle garanzie collettive della libertà e della sicurezza. I mafiosi manifestano un’attitudine a generare violenza e morte che impone la loro perpetua sepoltura civile e un serrato isolamento dal mondo esterno per neutralizzare le loro condotte e l’interruzione dell’esercizio del loro potere anche dal carcere, attuabile con l’irrinunciabile regime carcerario di cui all’art. 41 bis O.P.. I mafiosi non possono essere rieducati, perché non mostrano alcun segnale di resipiscenza e permangono in perpetuo all’interno del sodalizio, dal quale possono fuoriuscire solo con la morte o la collaborazione. Devono avvertire il peso dell’afflizione e la forza dello Stato, con il quale per troppo tempo hanno saputo e potuto convivere e trattare. In ogni caso, quand’anche dovessero dare segnali di mutato atteggiamento, l’ordinamento penitenziario già prevede la possibilità di affievolire il rigore della pena di cui si tratta. La perpetuità dell’ergastolo, infatti, non è assoluta: l’ergastolano può essere ammesso al lavoro all’aperto e alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno 26 anni di pena, se ha tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento. La sanzione è ulteriormente riducibile, a seguito dell’applicazione dell’istituto penitenziario della liberazione anticipata, che consente di detrarre 45 giorni per ogni semestre di pena scontata, se il detenuto partecipa all’opera di rieducazione. Ma non solo. Il rigore della pena può essere affievolito dalla concessione di permessi premio (per non più di 45 giorni all’anno, dopo dieci anni di detenzione, periodo che può essere ridotto di un quarto per effetto dell’applicazione della liberazione anticipata) e dalla semilibertà (con il limite dell’espiazione di almeno vent’anni di pena). Un ergastolano può essere liberato condizionalmente dopo diciannove anni e sei mesi, avendo già usufruito di 428 giorni di permesso. A ciò si aggiunga che l’ergastolo è stato ritenuto dalla Consulta incostituzionale per i minorenni, nei cui confronti quindi non potrà mai essere applicato.
Pertanto, il proposito di abolire l’ergastolo trova in sé ben poche ragioni d’essere, visti gli istituti premiali già esistenti nella vigente legislazione. Se poi teniamo conto che tale pena è prevista da vari Paesi europei quali il Portogallo, la Spagna, la Germania che fortunatamente non conoscono le gravi problematiche del crimine mafioso, ci rendiamo conto di quanto singolare sia rinunciare alla forza deterrente di questa sanzione per camorristi, ‘ndranghetisti o mafiosi irriducibili. D’altro canto, la general-prevenzione e la neutralizzazione a tempo indeterminato di certi criminali rientrano tra i fini della pena non meno della sperata emenda, come ha ricordato la Corte Costituzionale con la sentenza numero 264 del 22 novembre 1974. Gli stessi cittadini italiani hanno ritenuto che l’abolizione dell’ergastolo indebolisca inopportunamente l’apparato intimidativo, visto l’esito negativo del referendum abrogativo del 1981.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano dell'8 Ottobre 2019

Foto © Imagoeconomica

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