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di Mariella Cicero e Fabio Repici
Oggi sarebbe un attempato sessantunenne, sempre inappuntabile nell’aspetto, con la cravatta sempre azzeccata e la giacca mai intaccata dalla minima piega, ma di certo non avrebbe perso il suo carattere fumantino e la sua genialità, che ne avevano accompagnato la vita di scienziato e di uomo politicamente impegnato. E non si sarebbe attenuato neanche un po’ il suo piglio di moralista sempre pronto a denunciare ogni malaffare, da quello di bassa lega di balordi faccendieri e finti “compagni” (ancor più balordi) di Terme Vigliatore a quello apocalittico delle devianze della «Magistratura barcellonese/messinese» e dei suoi ancora più apocalittici alleati. Invece Adolfo Parmaliana quel 2 ottobre di undici anni fa scelse di andarsene, con il lascito delle parole dall’insostenibile pesantezza della sua ultima lettera, che lo rese immortale nemico di tutti gli uomini neri e i «grandi vecchi» di un territorio inghiottito dal fango cupo dell’oscurantismo morale nel quale sguazzano come pesci nel mare anche coloro che fino all’ultimo avevano aggredito Adolfo recitando squallidamente il copione della doppiezza, di chi si fingeva amico e contemporaneamente si adoperava (e continua a farlo tuttora) per difendere i peggiori nemici di Adolfo. A leggerla oggi, la sua ultima lettera più che uno sfogo, più che una ultima denuncia (e sicuramente lo è stata, la sua ultima denuncia), appare come una lucida profezia che solo la sua intelligenza superiore e la sua attitudine naturale di professore universitario potevano produrre. E, infatti, chi altri, se non Adolfo, avrebbe potuto prevedere che il potente cassata parmaliana cassazioneProcuratore generale, Antonio Franco Cassata (foto), proprio per tentare di annientare il lascito morale di quella ultima lettera, sarebbe diventato un pregiudicato col bollino dei motivi abietti di vendetta? E chi altri, se non Adolfo, avrebbe potuto prevedere che l’altra toga eminente della «Magistratura barcellonese/messinese», Olindo Canali, emblema di quella giurisdizione ambrosiana che nelle parole del Procuratore Francesco Greco ha il coraggio di rivendicare la propria sedicente superiorità morale, oggi si trovi a doversi difendere dall’accusa di corruzione in atti giudiziari con l’aggravante di aver favorito Cosa Nostra barcellonese e il boss Giuseppe Gullotti? D’altro canto, come non vedere che l’infame dossier anonimo con cui Cassata (e qualche suo impunito complice) infangò la memoria di Adolfo Parmaliana non fu altro che l’epifania della nuova (nuova?) fenomenologia del sistema barcellonese? Dopo quello, vennero gli anonimi di Maurizio Marchetta, l’utilizzo anonimo dei memoriali di Olindo Canali, l’esposto calunnioso anonimo inviato tra gli altri, chissà perché, all’avv. Colonna e al mafioso Cattafi. E, ora, dal caleidoscopio delle trovate barcellonesi spuntano psichedeliche iniziative che forse solo Adolfo avrebbe potuto prevedere, con il giudizio di revisione avviato in favore del boss Gullotti per l’omicidio Alfano sulla scorta dei memoriali di Olindo Canali (il quale, però, è al contempo accusato di essere stato corrotto da Gullotti anche per fargli ottenere la revisione della condanna per l’omicidio Alfano: praticamente quel giudizio di revisione è un corpo di reato da sottoporre a sequestro) o con la richiesta di revisione avanzata da Cassata (Gullotti sì e lui no? Impensabile!) per sovvertire la condanna definitiva per la diffamazione compiuta contro la memoria di Adolfo Parmaliana.

Con quell’ultima lettera Adolfo aveva capito tutto. E aveva capito che doveva assegnare un enorme sovraccarico di responsabilità a cinque persone («Chiedete all’Avv.to Mariella Cicero le ragioni del mio gesto, il dramma che ho vissuto nelle ultime settimane, chiedetelo al Sen. Beppe Lumia, chiedetelo al Maggiore Cristaldi, chiedetelo all’Avv.to Fabio Repici, chiedetelo a mio fratello Biagio. Loro hanno tutti gli elementi e tutti i documenti necessari per farvi conoscere questa storia: la genesi, le cause, gli accadimenti e le ritorsioni che sto subendo»), pur sapendo che quell’onere non sarebbe rimasto senza conseguenze per quelle cinque persone, destinatarie di infami attacchi calunniosi e, naturalmente, delle calunnie dei documenti anonimi (anonimi solo per chi non voglia capirne la provenienza) del sistema barcellonese. Quelle cinque persone – Adolfo sapeva – si sarebbero trovate al loro fianco pochissimi compagni di lotta, avrebbero incontrato molti ignavi e sarebbero stati aggrediti da moltissimi nemici. Certo, fraalfio caruso blogtaormina 300x244 i pochissimi compagni di lotta ci sarebbero state le figure migliori che oggi possano incontrarsi in questo Paese sbandato, a partire dal grande giornalista e scrittore Alfio Caruso (nella foto sotto), che, per non essersi fatto frenare nella pubblicazione della biografia di Adolfo Parmaliana («Io che da morto vi parlo», ed. Longanesi), pure lui fu fatto bersaglio di incredibili iniziative.

E, certo, quelle cinque persone raccolsero l’onere loro assegnato da Adolfo come un privilegio e lo eseguirono. Le due persone che scrivono queste righe quell’onere lo presero come un attestato di amicizia di valore impareggiabile, da un uomo che scelse di morire per verità e giustizia e che oggi da qualche parte del suo kantiano cielo stellato ci guarda per rammemorarci quegli imperativi categorici che – come Adolfo volle insegnare – danno un senso all’esistenza.
Mariella Cicero
Fabio Repici

L’ULTIMA LETTERA

lettera parmaliana

La mattina del due ottobre 2008, il professor Adolfo Parmaliana è salito sulla sua auto e ha raggiunto un viadotto dell’autostrada Messina-Palermo. Poi è sceso e si è gettato nel vuoto, schiantandosi dopo essere precipitato per 35 metri.

Parmaliana era uno stimato docente di Chimica industriale, ma anche un duro accusatore di quell’intreccio affaristico-mafioso che spadroneggiava a Terme Vigliatore, paesino di sette mila abitanti senza caserma dei Carabinieri.

Anche grazie alle sue denunce, il consiglio comunale è stato sciolto nel dicembre 2005. Ma il lieto fine, per Parmaliana, non è mai arrivato.

Al contrario, il suo coraggio ha riscosso l’indifferenza, il disprezzo di chi vive di disonestà. E sul fronte della magistratura, le cose non sono andate meglio. Le indagini partite dalle sue indicazioni si sono arenate, una dopo l’altra. Finché si è giunti al paradosso: una denuncia per diffamazione recapitata allo stesso Parmaliana. A quel punto, il professore si è sentito braccato. E come gesto estremo, di fronte a un potere troppo forte, si è tolto la vita. Lasciando dietro di sé, però, due tracce importanti.

La prima è un dossier, poi finito al vaglio della procura di Reggio Calabria. La seconda è una lettera di quattro pagine, trovata sul tavolo del suo studio. Un documento di straordinaria forza e drammaticità rivolto alla pubblica opinione, ai suoi familiari, agli amici più cari. Parole scritte a penna sotto al titolo La mia ultima lettera.

Qui di seguito la trascrizione completa.

______________

La Magistratura barcellonese/messinese vorrebbe mettermi alla gogna vorrebbe umiliarmi, delegittimarmi, mi sta dando la caccia perché ho osato fare il mio dovere di cittadino denunciando il malaffare, la mafia, le connivenze, le coperture e le complicità di rappresentanti dello Stato corrotti e deviati. Non posso consentire a questi soggetti di offendere la mia dignità di uomo, di padre, di marito di servitore dello Stato e docente universitario.

Non posso consentire a questi soggetti di farsi gioco di me e di sporcare la mia immagine, non posso consentire che il mio nome appaia sul giornale alla stessa stregua di quello di un delinquente. Hanno deciso di schiacciarmi, di annientarmi.

Non glielo consentirò, rivendico con forza la mia storia, il mio coraggio e la mia indipendenza. Sono un uomo libero che in maniera determinata si sottare al massacro ed agli agguati che il sistema sopraindicato vorrebbe tendergli.

Chiedete all’Avv.to Mariella Cicero le ragioni del mio gesto, il dramma che ho vissuto nelle ultime settimane, chiedetelo al senatore Beppe Lumia chiedetelo al Maggiore Cristalli, chiedetelo all’Avv.to Fabio Repici, chiedetelo a mio fratello Biagio. Loro hanno tutti gli elementi e tutti i documenti necessari per farvi conoscere questa storia: la genesi, le cause, gli accadimenti e le ritorsioni che sto subendo.

Mi hanno tolto la serenità, la pace, la tranquillità, la forza fisica e mentale. Mi hanno tolto la gioia di vivere. Non riesco a pensare ad altro. Chiedo perdono a tutti per un gesto che non avrei pensato mai di dover compiere.

Ai miei amati figli Gilda e Basilio, Gilduzza e Basy, luce ed orgoglio della mia vita, raccomando di essere uniti, forti, di non lasciarsi travolgere dai fatti negativi di non sconfortarsi, di studiare, di qualificarsi, di non arrendersi mai, di non essere troppo idealisti, di perdonarmi e di capire il mio stato d’animo: Vi guiderò con il pensiero, con tanto amore, pregherò per voi, gioirò e soffrirò con voi.

Alla mia amatissima compagna di vita, alla mia Cettina, donna forte, coraggiosa, dolce, bella e comprensiva: ti chiedo di fare uno sforzo in più, di non piangere, di essere ancora più forte e di guidare i ns figli ancora con più amore, di essere più buona e più tenace di quanto non lo sia stato io.

Ai miei fratelli, Biagio ed Emilio, chiedo di volersi sempre bene, di non dimenticarsi di me: vi ho voluto sempre bene, vi chiedo di assistere con cura e amore i ns genitori che ne hanno tanto bisogno. Alla mia bella mamma ed al mio straordinario papà: vi voglio tanto bene, vi mando un abbraccio forte, vi porto sempre nel mio cuore, siete una forza della natura, mi avete dato tanto di più di quanto meritavo. A tutti i miei parenti, ai miei cognati, ai miei zii, ai miei cugini, ai miei nipoti, a mia suocera: vi chiedo di stare vicini a Gilda, a Basilio ed a Cettina. Vi chiedo di sorreggerli.

Ai miei amici sarò sempre grato per la loro vicinanza, per il loro affetto, per aver trascorso tante ore felici e spensierate. Alla mia università, ai miei studenti, ai miei collaboratori ed alle mie collaboratrici sarò sempre grato per la cura e la pazienza manifestatemi ogni giorno. Grazie. Quella era 1° mia vita. Ho trascorso 30 anni bellissimi dentro l’università innamorato ed entusiasta della mia attività di docente universitario e di ricercatore.
I progetti di ricerca, la ricerca del nuovo, erano la mia vita. Quanti giovani studenti ho condotto alla laurea. Quanti bei ricordi.

Ora un clan mi ha voluto togliere le cose più belle: la felicità, la gioia di vivere, la mia famiglia, la voglia di fare, la forza per guardare avanti.

Mi sento un uomo finito, distrutto. Vi prego di ricordarmi con un sorriso, con una preghiera, con un gesto di affetto, con un fiore. Se a qualcuno ho fatto del male chiedo umilmente di volermi perdonare.

Ho avuto tanto dalla vita. Poi, a 50 anni, ho perso la serenità per scelta di una magistratura che ha deciso di gambizzarmi moralmente. Questo sistema l’ho combattuto in tutte le sedi istituzionali. Ora sono esausto, non ho più energie per farlo e me ne vado in silenzio. Alcuni dovranno avere qualche rimorso, evidentemente il rimorso di aver ingannato un uomo che ha creduto ciecamente, sbagliando, nelle istituzioni.

Un abbraccio forte, forte da un uomo che fino ad alcuni mesi addietro sorrideva alla vita.

Tratto da: stampalibera.it

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