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casablanca n 56di Graziella Proto - PDF
Io non ho risposte.
Io pongo domande su ciò che non funziona. O è sbagliato. O non è stato ancora realizzato. O è disatteso.
Io non ho risposte, ho inquietudini.
Mi inquieta parecchio pensare a Riace, il piccolo borgo calabrese vuoto e senza vita. Ai tanti migranti che lì avevano trovato rifugio e serenità che oggi non si sa dove siano né cosa facciano. Ai tanti piccoli che hanno dovuto abbandonare la scuola multietnica. Mi inquieta moltissimo pensare il sindaco di Riace fuori dimora, esiliato, al confino, come i peggiori malavitosi.
E pensare che si chiedeva a gran voce che Provenzano o Riina morissero nel loro letto dentro la loro casa. Certamente ho delle inquietudini ma c’è del perverso in tutto ciò. O perlomeno è strano.
I riflettori come era facile supporre piano piano si sono spenti. Piano piano non se ne parlerà più. Riace? Il suo sindaco? I migranti che parlavano il dialetto calabrese? Tutto molto lontano. Sì vero ci sono ancora iniziative pro in corso. Ci sono ancora molte persone che tentano di tenere in vita… Ma le feste per la maggior parte della gente hanno già fatto il loro dovere, far dimenticare i dolori e far vedere tutto scintillante. Patinato. Luccicante.
I buonisti hanno già trovato conforto nel presepe - anche in questo ci sono tanti extracomunitari - i non buonisti si sono già proiettati sul nuovo messia - il ministro della paura. Sulle sue capacità che - pensano - li salverà dal male.
Riace non deve morire ci siamo detti in mille modi… bene sbracciamoci, facciamo in modo che i riflettori si riaccendano su questa storia bellissima. Su questo moderno presepe così amato e così tanto perseguitato.

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Qualche settimana addietro sono stata ospite per un dibattito con i ragazzi del carcere minorile Bicocca di Catania. Esperienza emozionante. Istruttiva. Man mano che passavo i vari controlli una tristezza incredibile mi assaliva. Mi metteva di cattivo umore anche se mi sforzavo di pensare positivo perché non volevo dare una brutta impressione ai ragazzi ospiti riuniti per ascoltarci. Finalmente arriviamo all’interno del teatro. Piccolo ma allegro. Vivo. I ragazzi interni arrivavano alla spicciolata. Inizialmente timidi si mettevano un poco isolati, poi man mano che l’ambiente si scaldava hanno cominciato a migrare e sedersi assieme ai ragazzi coetanei arrivati da Palermo e da Catania. Dopo un attimo non c’era alcuna barriera. Fra loro ridevano. Si scambiavano impressioni. A guardarli non c’erano evidenti differenze fra loro. Un gruppo di ragazzi come tanti altri. Ero sorprendentemente stupita. Uno stupore che via via aumentava mentre scoprivo il numero di operatori, psicologi, educatori, che vi lavorano. Tutti giovani. Tutti fieri e contenti del loro lavoro. La maggior parte donne. Almeno fra i presenti quel giorno. Donna la direttora dell’istituto. Donne le guardie. Un lavoro che è anche un grande investimento emotivo. E una parte dei risultati del loro impegno era sotto i miei occhi. I ragazzi hanno seguito in silenzio e con molta attenzione fino alla fine ciò che gli raccontavamo di Giuseppe Fava e don Pino Puglisi. Più di altre realtà. Erano stati preparati ci dirà qualcuno alla fine. E si vedeva. Brava la direttora. Bravi tutti gli altri operatori per questo lavoro straordinario.

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"Bisogna lottare per una società dentro la quale non ci siano miserabili, dentro la quale non ci siano poveri, dentro la quale non ci siano milioni di persone costrette ad emigrare perché la disperazione li caccia via dal paese in cui vivono. Bisogna ogni giorno lottare per migliorare la nostra società".
"… Non lo posso precisare perché non ho le prove. Ma deputati e uomini politici che diventarono ministri e furono eletti con i voti della mafia e alla mafia dovettero dar conto e debbono dare conto, tuttora, nella storia siciliana ce ne sono decine di casi di esemplari".
Questo discorso così attuale fu fatto da Giuseppe Fava quasi 35 anni fa agli studenti di una scuola di Palazzolo Acreide. Era una lezione sulla mafia. Un esempio della sua personalità tenace, passionale e appassionata. Un uomo, una forza della natura che ci manca.

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