di A. Bolzoni e S. Palazzolo
E' un'indagine che si è infilata in una sacca infetta, un piccolo grande pezzo d'Italia che si agita o s'ingrassa in quel crimine profumato che apparentemente non turba le “persone perbene”. Intrallazzi e ricatti, razzie di fondi pubblici, cricche molto somiglianti ai clan, alla bisogna anche una brutalità per far fuori (economicamente e civilmente) ogni “dissidente”. E tutto sotto gli occhi delle Istituzioni. Ministri dell'Interno (come la Cancellieri e Alfano), alti magistrati, generali dei carabinieri e della finanza, funzionari del Viminale, direttori centrali e periferici della Direzione Investigativa Antimafia. E intellettuali, scrittori, giornalisti e famosi romanzieri, governatori di regione, senatori, esponenti di primo piano della politica nazionale e i soliti approfittatori del sottobosco, maggiordomi e lacché.
Tutti insieme appassionatamente per almeno dieci anni al fianco di Calogero Antonio Montante detto Antonello, un siciliano nato nel 1963 in un paese nel centro dell'isola - Serradifalco - e diventato incredibilmente (nonostante contiguità con rappresentanti di Cosa Nostra e precedenti che non garantivano sulla sua buona reputazione) uno degli uomini più influenti d'Italia. Oggi Montante. ex vicepresidente di Confindustria, Cavaliere della Repubblica, imprenditore dalle molteplici e misteriose attività, è rinchiuso in un carcere in attesa di giudizio per associazione a delinquere (semplice, inizialmente era stato indagato con l'aggravante mafiosa), per corruzione e per spionaggio. Aveva il vizietto di registrare ogni suo colloquio e poi di conservarne il "ricordo” in un bunker blindato che lui stesso chiamava “la stanza..diciamo...della legalità”. Faceva dossier.
In questi giorni ha chiesto di essere giudicato subito, con il rito abbreviato. A porte chiuse, con la speranza di uno “sconto” di un terzo della pena. Sentenza prevista presto, già nelle prossime settimane.
Ma intorno a lui - dopo la spericolata avventura dai domiciliari alla cella per avere distrutto pen drive e aver provato a disfarsi di documenti cartacei - è calato un silenzio che è molto vicino all'omertà. Tutti zitti. Nei palazzi del potere di Roma e di Palermo e negli apparati. Anche gran parte della stampa parla malvolentieri dell'indagine sul "sistema Montante”, dedicando alla vicenda solo qualche articolo subito dopo la cattura - nel maggio scorso - dell'imprenditore siciliano. I media non hanno digerito bene questa storia.
Ecco perché destiniamo questa serie del blog al Cavaliere di Serradifalco e ai suoi compari. Ogni giorno - per più di un mese - pubblicheremo stralci dell'ordinanza di custodia cautelare (giudice Maria Carmela Giannazzo), della richiesta di arresto (l'indagine è del pm Stefano Luciani e coordinata dal procuratore aggiunto Gabriele Paci) e spezzoni di una preziosa informativa della Squadra Mobile di Caltanissetta (dirigente Marzia Giustolisi) che ricostruiscono il cosiddetto “sistema Montante” che ha brillato come una stella dal 2006 all'altro ieri.
A maggio avevamo scritto su Repubblica che questa è un'inchiesta che si è sviluppata controvento (per gli imputati coinvolti, a cominciare dal direttore del tempo dei servizi segreti Arturo Esposito e di un po' di informatori alla sua corte) e che ha smascherato molti personaggi che sulla “legalità” hanno costruito fortune. Non sono senza colpe molte associazioni antimafia. E anche quelle antiracket che, sino a poche settimane prima del fermo di Montante, sono rimaste accanto al vicepresidente di Confindustria definendo come “rivoluzione copernicana” un grande inganno scoperto poi dalla magistratura. Ma, al di là delle risultanze investigative e di quelli che potranno essere gli esiti giudiziari, ciò che è accaduto in Sicilia ha causato danni spaventosi. Soprattutto ha minato la fiducia verso le Istituzioni.
Un veleno inniettato dal “sistema Montante”, un pezzo di Stato al servizio di un fellone. E, probabilmente, ancora non conosciamo tutti i complici che ha portato in alto, sempre più in alto il Cav. M.
Fonte: mafie.blogautore.repubblica.it
Tratto da: "Mafie da un'idea di Attilio Bolzoni"
Foto © Paolo Bassani/Imagoeconomica
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