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king martin luhter c ansa epadi Furio Colombo
Parlare di Martin Luther King nei giorni della sua morte (è stato assassinato il 4 aprile 1968) fa venire in mente alcune analogie con il presente italiano. Come molti ricordano, King credeva nella non violenza e nella Costituzione americana. Guidava marce pacifiche, non cedeva ma non rispondeva alla violenza, che era solo di Guardia nazionale e polizia. Sapeva di avere la Costituzione e i fondamenti del diritto e della Carta delle Nazioni Unite dalla sua parte.
Per chi era con lui a quel tempo e in quel sogno americano, e poi, tanti anni dopo, si è impegnato in questi nostri strani giorni italiani in difesa degli immigrati e dei rifugiati, è inevitabile vedere delle sorprendenti analogie. Martin Luther King è sempre stato dalla parte della legge e ha sempre avuto contro i rappresentanti della legge. Ha sempre invocato la Costituzione del suo Paese (il Bill of Rights, ricordate? “Tutti gli uomini sono creati uguali”) ma è stato arrestato, processato e incarcerato da autorità che si battevano contro i principi costituzionali pur di non lasciare entrare i neri nelle scuole, negli ospedali, negli alberghi, negli autobus di tutti gli altri americani. Non vi viene in mente la caccia alle Ong, il tentativo di farle apparire criminali, in modo da togliere, con l’accusa grave e senza prove, solidarietà e sostegno dei cittadini? Non vi ricorda la nave del volontariato spagnolo posta sotto sequestro con l’imputazione di “associazione a delinquere”? Motivo dell’imputazione è avere strappato 218 esseri umani al mare e alle prigioni libiche.
Pensando a Martin Luther King, ricordo un giorno del 1965 (era già premio Nobel) in cui l’ho accompagnato in carcere a Birmingham (Alabama): doveva scontare due mesi, “per mancanza di rispetto alla polizia locale” (aveva disobbedito all’ordine di fermare una marcia di pace). Sono andato con lui, in aereo, da Atlanta a Birmingham e dall’aeroporto alla prigione, scortato dalle polizie di due Stati in tenuta da sommossa, e seguito da una troupe della Rai. La conversazione con Martin Luther King era cominciata davanti alla sua casa di Auburn Avenue, ad Atlanta, con un suo netto rifiuto. Io volevo pagare la cauzione di 100 dollari che avrebbe evitato il carcere, ma il dottor King (era laureato in Teologia, e tutti lo chiamavano “Doctor King”, a cominciare dai telegiornali, con un certo imbarazzo della polizia) ha rifiutato. “Quello che accade qui si deve vedere e sapere e non si può cambiare il copione come in un film. Questa è storia”.
Una sera di quella settimana il frammento di storia Americana e di storia del mondo di quei giorni è andato in onda nel programma lontano e italiano della Rai Tv7. E questo purtroppo non mi serve a vantare il lavoro di molti anni fa. Mi serve per dire che l’Italia sta diventando un Paese poco incline a occuparsi dei Martin Luther King che non stanno a casa (fatti loro se una casa non ce l’hanno). E che ha poco interesse (maggioranze e opposizioni) per i simboli di fraternità etnica e culturale che King rappresentava. Per esempio, nessuno - maggioranze e opposizioni -, ha proposto di cancellare la legge incostituzionale Bossi-Fini, duramente ostile a chi fugge e cerca aiuto. A quasi tutti piace descriverli con la parola “clandestino” affinché appaiano subito pericolosi e sospetti. Eppure tutti sappiamo che ogni salvataggio (anche se le navi di soccorso vengono giudicate infide e complici perché si posizionano in modo da evitare la morte in mare) avviene sotto i radar, gli schermi, le apparecchiature militari del Mediterraneo e delle Capitanerie di porto. Se pensate che nessun commentatore, politico o esperto, risponde alla ripetuta e cieca invocazione di “confini rigidamente chiusi” fatta col rosario in mano, in un Paese attraversato da 30 milioni di turisti ogni anno, vi rendete conto che non è fuori luogo avere nostalgia del passato.
Improvvisamente è tornata l’inspiegabile saldatura fra la parola “sicurezza” e la parola “migrazione”. Torna il pericolo del terrorismo islamico. Certo, ci sono servizi che lavorano molto bene in Italia. Ma fino a poco fa questo buon lavoro ci veniva presentato come una garanzia di protezione e un vantaggio su altri Paesi. Adesso (fate attenzione: adesso, da alcuni giorni, benché con la partecipazione straordinaria del ministro pro tempore Minniti) vengono fatti circolare dettagli, come la minaccia di tagliare agli infedeli italiani non solo le teste ma anche i genitali. Informazioni che non migliorano la sicurezza, però alimentano ostilità e paura. Qualcuno pensa che finalmente questo sia un buon momento per avvicinare il confine della paura all’odio. Ed ecco che ogni telegiornale aggiunge una notiziola che mille volte si era rivelata vuota: i terroristi arrivano con gli immigrati. È importante ripeterlo finché si crea l’identità fra le due parole. Gli immigrati sono terroristi. L’insinuazione funzionerà anche meglio se mafia e ’ndrangheta forniranno in tempo le armi, come è accaduto in altri delitti politici.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 1° Aprile 2018

Foto © Ansa/Epa

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