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dellutri contrada 610di Antonio Ingroia
Oggi molti giornali titoleranno con la notizia che l’ex senatore Marcello Dell’Utri resta in carcere a scontare la pena cui è stato condannato. E molti opinionisti grideranno allo scandalo, denunciando accanimenti persecutori. Il tutto per nascondere la vera notizia. Perché la conferma in Cassazione della decisione con la quale il Tribunale di Sorveglianza di Bologna aveva rigettato la richiesta di liberazione anticipata di Dell’Utri non è una vera notizia, in quanto largamente prevedibile, stante l’impossibilità di riconoscere benefici penitenziari per reati di mafia come quello per cui Dell’Utri è stato condannato.

La vera notizia è un’altra, anzi sono due. La prima è che la Cassazione rammenta a tutti i “distratti” che il concorso esterno è un reato grave, perché è grave la condotta di chi, come Dell’Utri, pur non stabilmente inserito in una organizzazione criminale, fornisce alla stessa un contributo volontario, consapevole, concreto e specifico. La seconda notizia, ancor più importante, è che la Cassazione conferma che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non è affatto di “creazione giurisprudenziale”, come spesso afferma chi non conosce bene la materia, mentre è invece scritto nel nostro codice penale perché costituisce frutto dell’applicazione combinata della norma generale dell’art. 110, che disciplina il concorso di persone nel reato, e della norma incriminatrice speciale di cui all’art. 416 bis, appunto l’associazione mafiosa, al pari dell’analoga applicazione combinata che si fa dell’art. 110 con altre norme incriminatrici come l’art. 575 per l’omicidio o l’art. 628 per la rapina, visto che è grazie a questo combinato disposto che può essere punito il complice dell’assassino o del rapinatore che gli fornisce la pistola per uccidere o rapinare, o che guida la moto che serve per commettere il delitto. Come si punisce a titolo di concorso in omicidio il complice dell’assassino, si punisce a titolo di concorso in associazione mafiosa il complice della mafia.
 
Elementare, Watson, verrebbe da dire. Ma altrettanto elementare non è stato nel pasticcio giurisprudenziale che si è creato nel caso di Bruno Contrada dove, da una parte, la Corte europea ha affermato che l’ex funzionario di polizia era stato ingiustamente condannato perché il concorso esterno sarebbe reato di creazione giurisprudenziale, e di conseguenza la Cassazione ha dovuto applicare la sentenza Cedu dichiarando ineseguibile e improduttiva di effetti penali la condanna ormai definitiva. E qualche giorno fa Contrada è stato perciò addirittura reintegrato in polizia con tutti gli onori.
 
Che succede allora? Siamo forse in presenza di un conflitto giurisprudenziale fra Europa e Italia? In realtà, il conflitto è solo apparente, perché nella sentenza i giudici europei non prendono posizione ma si limitano a constatare che “non è oggetto di contestazione fra le parti il fatto che il concorso esterno in associazione di tipo mafioso costituisca un reato di origine giurisprudenziale”.
 
Quindi, la decisione, da cui è derivata la riabilitazione di Contrada, dipende dal riconoscimento, da parte di chi ha rappresentato il Governo italiano davanti ai giudici europei, dell’origine giurisprudenziale del concorso esterno, che oggi viene contestata dalla Cassazione che, come è noto, svolge funzione “nomofilattica”, perché assicura l’uniforme interpretazione delle norme di diritto, cui tutta la giurisprudenza nazionale e gli altri organi dello Stato devono attenersi. Non sarebbe il caso che qualcuno ponga rimedio al pasticcio che il governo italiano attraverso i suoi rappresentanti ha causato nella vicenda Contrada violando il “diritto vivente”, e cioé quanto la Cassazione da anni insegna in materia, e ieri ha ribadito? Considerata la gravità delle condotte per le quali Contrada è stato condannato, sarebbe il minimo per ripristinare certezza del diritto ed impedire che Dell’Utri venga trattato in modo deteriore.

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