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ciancarella mariodi Graziella Proto
Disobbedienza, diffamazione ed insubordinazione. Mario Ciancarella, 65 anni, capitano pilota di C130 di stanza a Pisa, matricola A5101421 è stato radiato per indegnità nel 1983 con un documento falso. Si era impegnato a portare la democrazia dentro le forze armate, aveva contrastato le tesi sulla strage di Ustica ed era intervenuto sul fenomeno di nonnismo che aveva portato alla morte del giovane Emanuele Scieri. Dopo 33 anni una sentenza ci dice che era falso il decreto, che era falsa la firma del Presidente Pertini e che la sua vita e quella della sua famiglia e delle persone che gli stavano accanto è stata devastata per un puro disegno strategico. Sembrerebbe un progetto stragista e un agire golpista. Il suo operato avrebbe destabilizzato il tutto. Verità violate. Vite scippate. Un pezzo di storia italiana da riscrivere. Chiedere scusa NON BASTA! NON BASTERÀ!
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Mario Ciancarella quando l’ho incontrato per la prima volta era il 2006, la rivista antimafie “Casablanca – Storie dalle città di frontiera” edito da “LESICILANE”, era nata da qualche mese. L’ho conosciuto attraverso l’Associazione Antimafie Rita Atria che si batte per la causa di Mario fin dalla sua nascita e che poi diventerà anche la mia associazione di appartenenza e di riferimento.

Lo abbiamo ritenuto sempre e da subito attendibile e lo abbiamo adottato, pubblicando periodicamente le sue vicende, le sue riflessioni, le sue battaglie, i suoi teoremi… le sua amarezze. Non adesso, in tempi non sospetti, a dimostrazione che non tutti gli organi di informazione sono insensibili o distratti o peggio, allineati col potere. Ed è capitato pure di pagare un prezzo, cioè rompere i rapporti con qualche autorevole collaboratore della rivista. Eravamo totalmente convinti che Mario ci dicesse la verità. Che meritasse la nostra fiducia
Eppure parecchi, tanti, soprattutto nella sua Lucca, per quel suo battere sempre sullo stesso chiodo lo consideravano una specie di mitomane. Un millantatore. Ma non è così.
Di Mario ti colpisce la sua mitezza, un’enorme dolcezza e una smisurata umanità. Il suo sguardo è sempre malinconico anche quando ci sganasciamo dalle risate innanzi a un bicchiere di vino o ad una birra ghiacciata. Di solito, non è molto loquace, tranne quando ha delle cose da raccontare e farti conoscere. In quel caso è un fiume incontenibile.
La sigaretta sempre fra le dita, e lo sguardo che guarda lontano, ha sopportato di tutto e di più. Violenze inimmaginabili, psicologiche e fisiche, contro sue verità che puntualmente sono state sempre sconfessate, negate o minimizzate perché a raccontarle era lui, un capitano dell’aeronautica radiato dall’Aeronautica militare. Una specie di marchio infamante che gli ha tolto credibilità e spessore politico e intellettuale. Una radiazione dai ranghi dell’Aeronautica avvenuta con un decreto falso, con una firma artatamente falsa del Presidente Sandro Pertini.
Il nostro amato Presidente partigiano da tutti stimato ed amato. Quello senza mezze parole, che diceva tutto ciò che gli passava per la testa, quello che a differenza di come succede adesso non aveva bisogno di essere protetto da manganelli al tungsteno per camminare tra la folla, la sua scorta preferita erano gli studenti. All’inizio del suo mandato percorreva a piedi la strada che dal Quirinale lo portava a casa sua in Piazza Fontana di Trevi, un piccolissimo appartamento affittato, un attico, poi però il protocollo la spuntò. Lo accompagnavano in macchina. Sono sicura che se avesse potuto avrebbe preferito camminare liberamente tra la gente di giorno e di notte.

Mario Ciancarella il presidente Pertini lo aveva incontrato quando era ancora ufficiale dell’Aeronautica ed era a capo del movimento democratico dei militari. Sandro Pertini aveva voluto conoscere l’unico ufficiale fra gli oltre ottocento sottoufficiali che avevano firmato l’appello a lui indirizzato. «Il Presidente si era incuriosito e mi aveva convocato per conoscere le reali dinamiche in atto nella Forza Armata. E volle ascoltarci direttamente e personalmente» – racconterà Mario alla conferenza stampa tenutasi a Lucca il 22 ottobre 2016. «Come Presidente degli Italiani Pertini voleva accertarsi di ciò che stava verificandosi nelle Forze Armate e capire cosa fosse in gioco, tra le spinte di democratizzazione costituzionale, di cui noi, espressione del Movimento Democratico dei Militari, eravamo esponenti di primo piano, e le pretese di restaurazione dei tanti rappresentanti delle gerarchie che non esitavano a descriverci e definirci come i “nipotini delle Brigate Rosse”».
«Ci avrebbe indicato da lì a qualche giorno, alla maniera di un vero partigiano, anche chi sarebbe stato il nostro collegamento con lui – il Senatore Boldrini, il mitico comandante Bulow della Resistenza».

OMICIDI DI STATO
La dice lunga il fatto che la copia del decreto di radiazione gli verrà consegnata solo dopo la morte di Sandro Pertini. Per tanti anni aveva ricevuto solo dinieghi. Una storia assurda! Tragica. Incredibile.

Quanti episodi da raccontare! Quanti avvenimenti abbiamo condiviso in questi anni con Mario!
All’inizio della nostra amicizia, come Associazione Rita Atria e Casablanca organizzammo un incontro dibattito in una piazza di Pisa. Era d’estate, partimmo da Catania lasciando un caldo africano ma ventilato grazie alla benevolenza del mare e approdammo a Pisa dove ci aveva già preceduto Miriam che aveva provveduto a verificare, volantinare, prendere gli ultimi accordi con l’assessore responsabile. Eravamo ospiti del comune che avrebbe dovuto attrezzare la piazza, provvedere all’impianto elettrico, ai microfoni, le sedie…Tutto ok dunque? Sembrava di sì. Aspettiamo che ci contatti qualcuno del comune, che ci raggiunga l’assessore o chi per lui, un compagno che faceva da tramite e da garante. Nulla. Arriviamo nella piazza e non c’era nulla. Anzi, c’era stata un’altra manifestazione – ci raccontò qualcuno – e gli addetti comunali si erano affrettati a togliere tutto. Non lasciarono nemmeno una sedia. Neanche una presa di corrente. Ce la regalò un bar della piazza.
Il caldo ci toglieva anche le forze, l’umidità non ci faceva respirare, ma eravamo arrivati dalla Sicilia e questi si permettevano di comportarsi in quel modo… un atteggiamento mafioso… Qualcosa mi sfuggiva…
Quello che mi sfuggiva era il peso della vicenda di Mario nella storia Italiana. Un uomo che da solo avrebbe potuto far crollare un castello di bugie, di falsità, di depistaggi, di atti di guerra in tempo di pace.
A Pisa c’era la sede della scuola di paracadutismo, la caserma Gamerra dove il 13 agosto del 1999 era morto il paracadutista siciliano Emanuele Scieri. Un ragazzo di 26 anni, morto lo stesso giorno in cui arriva – fiducioso – nella caserma.
Sulla morte del ragazzo siciliano c’è tutt’ora una commissione Parlamentare d’inchiesta e in quegli anni il capitano Ciancarella aveva raccontato direttamente al procuratore capo Enzo Iannelli qualcosa che aveva appreso.

Per tutti i militari che avevano creduto nel processo di democratizzazione della forze armate, Mario era punto di riferimento, spesso colleghi e subordinati si rivolgevano a lui per chiarimenti e supporto.
Anche molti anni dopo la sua radiazione, Mario riceve lettere e informazioni da personaggi anonimi che gli chiedono di indagare su affari loschi che stanno avvenendo all'interno delle forze armate… Di lui si fidano. Con la stessa fiducia Dettori (il radarista della sera di Ustica) lo chiamò e gli dette quelle informazioni. La stessa cosa è successa per la morte del parà Emanuele Scieri.

A proposito della morte di Emanuele Scieri: «Avevo brevemente indagato tra i suoi commilitoni e ne avevo subito ottenuto riscontri agghiaccianti che non riuscivo ancora a comunicare, in maniera legittima ed idonea, alla Procura. – Scrive nel suo libro Impossibile pentirsi Mario Ciancarella – Ci sarei riuscito nel Febbraio successivo, comunicando i risultati delle mie brevi indagini ad uno dei ragazzi di Siracusa del Comitato “Giustizia per Lele”, venuti a Pisa per rivendicare Verità e Giustizia per il loro amico e compagno».

FRA UNA STRAGE E UN GOLPE
Ai microfoni di RAINews24 Ciancarella aveva raccontato: «I “nonni” avrebbero costretto Emanuele a salire sulla scala. Mentre era lì appeso uno di loro gli avrebbe schiacciato la mano con un piede. I “nonni” – racconta ancora Ciancarella – a quel punto persero tutta la loro baldanza, si trovarono di fronte un ragazzo boccheggiante che non era morto, e che forse poteva essere salvato. E si rivolgono a un sottufficiale di giornata, un ufficiale d’ispezione. Il consiglio che ricevono è agghiacciante: l'unica possibilità per uscirne indenni era vegliare Emanuele Scieri finché non fosse morto. E così fanno».
Tutto ciò lo ripete nella sua deposizione del 28 febbraio del 2000 innanzi al procuratore della Repubblica di Pisa dottor Enzo Iannelli e mette a verbale di avere ricevuto una telefonata anonima che raccontava gli ultimi momenti di vita del paracadutista Scieri Emanuele.
Per tutta risposta la Procura di Pisa alcuni mesi dopo accusa Mario Ciancarella di calunnia e, l’8 luglio del 2000, fa scattare gli arresti. Non solo, quando l’ufficiale sarà assolto si opporrà con forza. Lo arrestano per strada, alla stazione di Viareggio come se fosse stato un pericoloso criminale che potesse inquinare le prove. Lo arrestano strappandolo dalle braccia della sua giovane figlia Thalita. La giovane donna non ha mai visto il padre in divisa ma dall’assenza di quella divisa, ne ha subito tutte le tragedie, le umiliazioni, le privazioni affettive e materiali.
Nel 2007 l’Associazione Rita Atria e la rivista “Casablanca – Storie dalle città di frontiera”, organizziamo a Pisa l’incontro di cui sopra. Qualcuno teme le cose che potrebbero esser dette in quella piazza. Il messaggio è chiaro.

Non ci sono dubbi, quella di Mario Ciancarella è una storia complessa. Una storia composta da tante altre storie. Dentro c’è la storia del capitano dell’aeronautica radiato, ma c’è anche la storia del DC9 Itavia esploso nel cielo di Ustica e le storie di tutti gli altri, tanti, troppi morti. Ottantuno fra passeggeri ed equipaggio dentro l’aereo, oltre le numerose morti sospette, inquietanti. Le vittime collaterali, le definì il giudice Priore.
La strage di Ustica quindi grazie alla sperata e dovuta riabilitazione del capitano, ritornerebbe alla ribalta. Dai fondali torbidi e oscuri, grida vendetta. Dagli intrighi e dagli intrecci dei misteri Italiani vorrebbe venire fuori. Anela giustizia. Con forza. La forza degli ottantuno passeggeri del DC9 Itavia precipitato nel mare di Ustica il 27 giugno 1980.
69 adulti e 12 bambini che tornavano a casa, che andavano in vacanza, che leggevano il giornale, o giocavano con una bambola. Ottantuno persone innocenti che quella sera si sono trovate non per loro volontà dentro un gioco più grande di loro. Da soli, senza mezzi e senza alleati contro un nemico sconosciuto. La forza non solo dei passeggeri scomparsi ma di un paese che non vorrebbe dubbi, segreti, scheletri…
L’aereo Itavia che da Bologna sarebbe dovuto arrivare a Palermo, la sera del 27 giugno 1980, si squarciò sopra il mare di Ustica e precipitò portandosi tutto e tutti dietro. Troppi morti allora, senza alcuna remora. Troppi morti dopo, per depistare. Manovrare. Imbrogliare. Un giorno dopo l’altro hanno falsificato documenti, lasciato in bianco i registri, segretato esercitazioni di caccia di Grosseto. Su Ustica – ha affermato l’onorevole Claudio Fava alla conferenza stampa a Montecitorio il 10 novembre scorso – ci sono 36 anni di responsabilità di depistaggi. 36 anni di verità negate. 36 anni con troppi morti, e – conclude – la verità è pretesa, non va in prescrizione.

ANCORA GUERRA, SEGRETI E VIOLENZE
Lo scorso ottobre a Firenze, durante un convegno tenutosi presso la sede del Consiglio regionale della Toscana, il magistrato Rosario Priore, giudice istruttore del processo di Ustica, ha detto: «È stata una battaglia nei cieli, nessuno voleva crederci prima ma è stato un vero e proprio scontro militare. Ci sono più Stati che conoscono la verità, tutti quelli che volavano lì quella sera, però sono segreti militari. Ed è difficile penetrare nei segreti militari» (Fonte: Ansa).
Il capitano Mario Ciancarella ai segreti militari, agli scheletri negli armadi, alle verità umiliate e sottratte alla gente non si è mai arreso e alla luce dei fatti aveva ragione. Oggi con la sua storia rilancia una serie di dubbi nazionali inquietanti… Mario ritorna a chiedere ed esigere verità.
È stato accusato di disobbedienza ed insubordinazione… «Mio padre disubbidiva – dice oggi la figlia Thalita – quando lui era in volo, non si poteva contrabbandare niente! Quando lui era ufficiale d’ispezione, non si poteva nascondere nessuna verità».
Quindi insubordinato!
Caro giudice Priore, sarà difficile penetrare nei segreti militari, ma gli italiani, e soprattutto le vittime dirette o indirette di questa strage, vogliono sapere. Possibilmente anche senza far passare altri 33 anni come è successo con Mario Ciancarella.

Certamente l’alto ufficiale Mario Ciancarella – matricola A5101421 – non era facilmente gestibile, né addomesticabile. Sempre lì a scrivere, denunciare, criticare. Fare ipotesi, avanzare tesi. I superiori probabilmente qualche problema nei suoi confronti lo avevano. Per le Forze Armate era un personaggio scomodo. Voleva la democrazia. Un rivoluzionario fra i militari!

Non solo. Assieme al suo amico colonnello Sandro Marcucci aveva tentato di portare la democrazia fra le reclute e gli ufficiali, sempre insieme avevano cercato di fare piccole indagini – private – sulla strage di Ustica e si erano fatti delle idee contrarie a quelle dei loro superiori… Agli occhi increduli di Sandro Marcucci e Mario Ciancarella la questione Ustica apparve come un orrido scellerato crimine premeditato e volontario eseguito forse in esecuzione di un progetto di destabilizzazione internazionale. Per tutti sarà un mistero. Un segreto militare! Ma loro due avevano avuto una fonte particolare e mettere i pezzi al loro posto era stata una conseguenza.
La loro fonte era il maresciallo Dettori, controllore di Difesa Aerea al Centro Radar dell'Aeronautica militare di Poggio Ballone, vicino a Grosseto, sede del 21° Gruppo radar dell’Aeronautica militare.
Mario Alberto Dettori proprio la sera della strage di Ustica era di turno. Sullo schermo, aveva visto tutto. Sapeva cosa significavano quei punti luminosi che saettavano intorno al DC9. Secondo lui, nei cieli di Ustica il DC9 si era trovato al centro di uno scenario di guerra, abbattuto da un missile aria-aria. Quando il maresciallo arrivò a casa era ancora sconvolto, alterato e raccontò alla moglie «Stanotte è successo un casino, qui finiscono tutti in galera. Siamo stati a un passo dalla guerra». E alla cognata Sandra che chiedeva perché fosse così sconvolto disse: “Siamo stati a un passo dalla guerra. C’era di mezzo Gheddafi.” Telefona al capitano e Ciancarella e gli dice «Capitano siamo stati noi altro che Mig libico».
Qualcuno lo picchiò e gli disse di farsi i cazzi suoi. Lui non li fece… semplicemente perché era la persona sbagliata, al posto sbagliato, nel momento sbagliato. Lo traferiscono in Francia per alcuni mesi ma ha frequenti mal di testa, a volte è strano… il 31 marzo del 1987 sarà trovato morto impiccato ad un albero. Dopo che era riuscito a inculcare il dubbio ai due amici.
Insomma, per tutti questi motivi Mario è un testimone scomodo e per certi versi pericoloso. Assillante.

Lo accusano di insubordinazione, perché assieme al suo amico Sandro Marcucci aveva iniziato a cercare di comprendere quali fossero state le reali dinamiche della strage di Ustica. In realtà erano solo scuse per intimorirlo, domarlo. Con un pretesto, il 29 settembre 1980 lo arrestano. Non solo. La prima notte una squadraccia entra nella sua cella e lo violenta. Si voleva spezzare la forte resistenza all’ordine costituito?

Seguirà un lungo periodo di tribolazioni, processi farsa, difese discutibili e inaffidabili… procedure disciplinari che sembrerebbero non raggiungere però alcuna soluzione per i vertici dell’Aeronautica.

Idea, radiamolo!

L’11 ottobre 1983, alle ore 18,45 il capitano “rivoluzionario e insubordinato” è convocato dal generale Tonini, comandante della 46^ AB di Pisa che gli mostra un telex – da perfezionare – col quale lo si radiava con infamia dalle forze armate. Non meritevole di conservare il grado.
Un decreto ministeriale e non un Decreto del Presidente della Repubblica come previsto dalla legge. Una cosa poco chiara, poco verificabile.
All’Archivio Generale della Corte dei Conti lo specifico registro non era risultato disponibile e il “documento facente parte di documentazione non versata all’Archivio Generale” (Tribunale di Firenze, 2°sez. civile).

Due righe per buttarlo fuori dai ranghi delle forze armate. Aveva già disturbato abbastanza.

CI SARÀ UN GIUDICE A BERLINO?
Ma ci vorrebbe un Decreto del Presidente della repubblica (DPR)… Ci sarà… Quando? … Dopo la morte del Presidente Pertini (24 febbraio 1990). Dopo la morte di Sandro Marcucci che sull’A.M. aveva scagliato accuse pesanti.
Il tenente colonnello Marcucci morì schiantandosi sulle alpi Apuane, il 2 febbraio 1992 mentre era al comando di un Piper in missione di avvistamento incendi per la Regione Toscana. Assieme a lui c’era Silvio Lorenzini che morì un mese dopo per le ustioni riportate.
Sandro Marcucci, riteneva di avere le prove che il Mig Libico trovato sulla Sila fosse partito non dalla Libia, ma da Pratica di Mare. Cose gravissime per la nostra aeronautica e il paese tutto. Soprattutto per i pupari, coloro che manovravano le fila.

Per dieci anni il capitano Ciancarella aveva chiesto ma l’Aeronautica Militare si era rifiutata di consegnargli copia del decreto, tantomeno l’originale. Quando lo ha fatto, è apparso evidente che la firma del presidente della Repubblica era stata inventata di sana pianta.

Mario non ha avuto mai dubbi, quel provvedimento non poteva essere vero, ha sempre saputo che era contraffatto e che prima o poi la verità sarebbe venuta fuori.
Fra il Presidente Pertini e Mario c’era una stima reciproca, una specie di patto, quindi non poteva essere assolutamente vero che il Presidente avesse poi firmato il decreto di radiazione.
Ci sono voluti 33 anni ma alla fine la verità almeno quella legata al documento di radiazione è venuta fuori: quel documento e quella firma erano falsi. Sono falsi.

C’è una sentenza che lo dice, una consulente tecnica d’ufficio coraggiosa che spiega e documenta, e grazie a lei una persona si riappropria della dignità che le era stata tolta con un documento oltraggioso per le istituzioni e la democrazia.

I maggiori imputati del processo di Ustica sono stati tutti assolti.
I complici e gli autori di un falso documento presidenziale ancora sconosciuti.
Come può accadere che dal Quirinale possano uscire documenti falsi? Dove sono finiti i controlli? I contrappesi? Le garanzie democratiche?
A un gruppo di persone perbene è stata scippata la propria vita per fargliene vivere un’altra, come in un film le è stato assegnato un ruolo, ma non è stata una recita. Sono veri dispiaceri, amarezze, delusioni, disagi, umiliazioni, disonori, miserie… Conseguenti fratture ed egoismi
Fuori dal loro ruolo sono cresciuti e si sono formati i tre figli di Mario, Sasha, Leonardo e Thalita, che non sono stati i figli – agiati e sereni – del capitano, ma di quel folle, mitomane, improponibile, non credibile… fallito… visionario. “Inconsapevole apportatore di elementi inquinanti” “inconsapevole depistatore”, ebbe a definirlo quello stesso giudice Priore.
«Vorrei dirvi tante cose sul mio papà – scrive oggi Thalita – su come ci ha cresciuti, su quanto ci abbia insegnato il rispetto della Divisa, delle Istituzioni, delle Forze armate, della Costituzione, della Persona. Non sarà l’unico padre ad averlo fatto... ma non mi stancherò mai di dire che mio padre è un uomo d’onore con o senza quelle stellette. Eppure quelle stellette le merita più di altri…
Per me e i miei fratelli non sempre è stato facile avere un padre così, davanti al quale non si poteva mentire perché il suo sguardo diventava insostenibile. Ma sono sempre andata fiera di lui e del suo sorriso malinconico».


Bentornato Capitano.
Innanzi al suo insegnamento noi stiamo tutti sull’attenti.

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PISA, 24 MAGGIO 1993
USTICA: EX CAPITANO AERONAUTICA SU “ABBATTIMENTO DC9”

Ad abbattere il Dc9 dell’Itavia la sera del 27 giugno 1980 sarebbe stato un missile partito da un caccia dell’aeronautica militare italiana: lo ha detto l’ex capitano dell’aeronautica, Mario Ciancarella, nel corso di una conferenza stampa, alla quale ha partecipato anche l’onorevole Galasso, deputato della Rete. Questa “verità”, secondo l’ex ufficiale, anche lui esponente della Rete, sarebbe stata scoperta dal tenente colonnello Sandro Marcucci “ucciso – ha detto Ciancarella – perché sapeva troppo su Ustica”. Marcucci perse la vita in un volo di esercitazione con un Piper antincendio sulle Alpi Apuane il 2 febbraio del ’92, ma secondo Ciancarella non sarebbe caduto per un incidente, come risulta dall’ inchiesta della magistratura di Massa, ma “qualcuno gli avrebbe tappato la bocca per sempre, forse con una bomba al fosforo”. Marcucci avrebbe quindi avuto le prove che il DC9 era stato abbattuto da un nostro caccia “secondo un piano stabilito dagli Usa e da settori dei servizi segreti italiani”. La responsabilità dell’incidente doveva essere attribuita alla Libia, secondo Ciancarella (“Marcucci aveva scoperto che il Mig era partito da Pratica di Mare e non da Tripoli”), per mettere in moto una ritorsione nei confronti di Gheddafi e favorire l’installazione dei missili a Comiso. “Vogliamo – ha detto Galasso – che il caso Marcucci, frettolosamente liquidato, sia riaperto”. (ANSA)

 Orlando ha chiesto al Copasir se i servizi hanno mai indagato sulle indagini eventuali del Marcucci sulla strage di Ustica e sulle cause della morte di Marcucci e Lorenzini.

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ALCUNE STRANE MORTI COLLATERALI
Maurizio Gari, capitano dell’Aeronautica Militare. Morto il 9 maggio 1981 d’infarto a poco più di trent’anni. La sera del 27 giugno ’80 era in servizio in quanto capo controllore del centro radar di Poggio Ballone (insieme al maresciallo Dettori). Scrivono gli investigatori: “Dalle poche conversazioni telefoniche che sono state rintracciate si denota un particolare interessamento dell’ufficiale per l’incidente del DC9 Itavia. Certamente la sua testimonianza sarebbe stata di grande utilità all’inchiesta”.
Mario Albero Dettori, maresciallo dell’Aeronautica Militare. Morto impiccato il 31 marzo 1987. La sera del 27 giugno 1980 era in servizio al centro radar di Poggio Ballone.
Mario Naldini e Ivo Nutarelli, tenenti colonnelli dell’Aeronautica Militare. Morti il 28 agosto 1988 durante l’esibizione delle Frecce Tricolori a Ramstein, in Germania.
Alessandro Marcucci, tenente colonnello dell’Aeronautica Militare. Morto il 2 febbraio 1992 in un incidente aereo sulle Alpi Apuane. Nel 1980 era pilota presso la 46° Aerobrigata di Pisa. Aveva indagato sulla vicenda Ustica ma le sue informazioni erano indirette.
Antonio Pagliara, maresciallo dell’Aeronautica Militare. Morto il 2 febbraio 1992 in un incidente stradale. Nel 1980 era in servizio al centro radar di Otranto (insieme al maresciallo Parisi) con la funzione di controllore di Difesa Aerea. Le indagini hanno concluso per la casualità dell’incidente.
Roberto Boemio, generale dell’Aeronautica Militare. Ucciso il 12 gennaio 1993 a Bruxelles, in viaggio di lavoro come consulente per l’azienda Alenia. Nel 1980 Capo di Stato Maggiore presso la Terza Regione Aerea di Bari. Scrivono gli investigatori: “Esaminato già per entrambi gli incidenti aerei del 27 giugno e del 18 luglio 80, sicuramente altra sua testimonianza inerente gli incidenti aerei in disamina, a seguito delle risultanze istruttorie emerse dopo le sue prime dichiarazioni, sarebbe risultata di grande utilità.” La magistratura belga non ha potuto identificare moventi e colpevoli dell’omicidio.
Gian Paolo Totaro, maggiore medico dell’Aeronautica Militare. Morto impiccato il 2 novembre 1994. Nel 1980 in servizio presso la base delle Frecce Tricolori di Ghedi. Rimangono sospetti sulle modalità del suicidio (Totaro si sarebbe suicidato con una corda appesa alla porta del bagno, a poco più di un metro di altezza da terra), ma le indagini hanno riscontrato in una delusione sentimentale la causa del gesto.
Franco Parisi, maresciallo dell’Aeronautica Militare. Morto impiccato il 21 dicembre 1995. Nel 1980 (il 18 luglio) era controllore della Difesa Aerea al centro radar di Otranto.

Tratto da: Casablanca n. 47

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