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nicaso c keith beaty toronto star file photoIntervista ad Antonio Nicaso
di Astolfo Perrongelli

Giornalista, scrittore, consulente delle varie agenzie di sicurezza degli Stati Uniti e del Canada, Antonio Nicaso è il massimo esperto di 'ndrangheta a livello internazionale. Negli anni scorsi ha collaborato con l’Università della Calabria alla creazione di un archivio sulla ‘ndrangheta. Inoltre, il suo ultimo libro, “Padrini e Padroni, Come la 'ndrangheta è diventata classe dirigente”, è diventato in breve tempo uno dei best sellers.

Hai scritto decine di libri sulla 'ndrangheta, e sulla mafia. Quanto c'è ancora da raccontare e far conoscere sulla criminalità organizzata?
La criminalità organizzata è un fenomeno in continua evoluzione. C’è ancora tanto da dire e da scrivere, soprattutto in funzione della globalizzazione e delle nuove tecnologie.

Sei stato il primo a utilizzare il termine "partenariato criminale". Potresti spiegarne il significato?
Negli anni Novanta, ho notato che organizzazioni criminali di diversa estrazione stavano mettendo a frutto competenze ed esperienze. Stavano insomma creando joint criminal ventures. Col passare del tempo, queste saldature di interessi si sono intensificate, rendendo sempre più forti le organizzazioni criminali che ne hanno fatto parte. Oggi, per esempio, sono sempre più frequenti i contatti tra organizzazioni criminali e gruppi terroristici che si finanziano attraverso attività illecite come il narcotraffico.

A parte la leggenda dei tre cavalieri spagnoli, Orso, Mastrosso e Carcagnosso, quando si è scoperta la presenza della ‘ndrangheta?
Si comincia a percepire la ‘ndrangheta, anche se ancora non c’è un nome che possa identificarla, già negli anni successivi al processo unitario. Forse c’era anche prima, come nel caso della mafia, come risultato di un lungo processo di incubazione. Nel 1869 la setta degli accoltellatori, guidata da Francesco De Stefano, viene utilizzata dalla destra liberale e massonica per contrastare l’avanzata del movimento borbonico-clericale in occasione delle elezioni amministrative di Reggio Calabria. Da allora, la ‘ndrangheta ante litteram ha goduto di una colpevole sottovalutazione e di una costante legittimazione da parte di certa classe dirigente.

Hai scritto con il procuratore Nicola Gratteri un libro sui rapporti tra crimine organizzato e chiesa. A parte "l'inchino", c'è davvero un circolo vizioso tra clero e boss?
Per molto tempo, la Chiesa ha preferito il silenzio. Poi ha cominciato a denunciare certi rapporti molto discutibili tra sacerdoti e boss che attraverso le varie parrocchie cercavano legittimazione sociale. Negli ultimi tempi, la Chiesa è molto più attenta, anche se non sempre vengono applicate le direttive di Papa Francesco, il quale a Sibari ha inequivocabilmente definito le mafie «adorazione del male», scomunicando i mafiosi.

Come e quando è avvenuto il passaggio da boss violento e sanguinario a boss manager e imprenditore? E quali sono le principali fonti di guadagno delle ‘ndrine?
Ci sono stati sempre boss imprenditori, ma la svolta si è registrata in occasione dell’arrivo dei fondi per l’intervento straordinario nel Mezzogiorno. Molti mafiosi in quegli anni sono diventati imprenditori, proprietari di camion per il trasporto degli inerti, gestori di silos, costruttori. Oggi sono coinvolti in molti settori, anche nel terziario. Investono continuamente i proventi della droga in territori lontani da quelli di origine. In Italia sempre più spesso vengono a galla i rapporti tra boss, politica e massoneria.

Un bel salto in avanti per la malavita…. Ci sono sempre stati, se si tiene conto dei legami del clan De Stefano con la massoneria già nel 1869.
Sono diventati costanti dopo l’introduzione della Santa, la dote che ha permesso la doppia affiliazione. In quell’occasione molti mafiosi, inizialmente 33, sono entrati nelle logge coperte, come raccontano molti collaboratori di giustizia. Attualmente ci sono inchieste in corso che potrebbero rivelare ulteriori sviluppi di questa storica collaborazione. L’operazione “Mammasantissima” è una delle più importanti su questo fronte ed è coordinata dalla DDA di Reggio Calabria.

È la 'ndrangheta che ha bisogno del politico o è il politico che ha necessità dell'apporto dei boss. Oppure entrambi non possono scontrarsi in nome del potere?
È un rapporto di reciproca utilità, uno ha bisogno dell’altro. Come l’acqua e il pesce. Oltre all'omicidio del giudice Scopelliti, ci sono stati altri scambi di 'favori' tra cosa nostra e la ‘ndrangheta? C’è un rapporto storicamente molto intenso, soprattutto sul fronte della gestione di attività illecite. Mi riferisco al traffico di droga, al riciclaggio di denaro e a tante altre «cointeressenze». Si è parlato di scambi di favori anche in occasione delle stragi di Palermo, ma non sono stati trovati riscontri alle testimonianze di alcuni collaboratori di giustizia, per i quali l’esplosivo utilizzato per uccidere Borsellino e gli agenti della sua scorta sarebbe stato fornito dalla ‘ndrangheta. La 'ndrangheta è considerata la criminalità organizzata più pericolosa nel mondo.

Come è riuscita a raggiungere questo primato?
È cresciuta nel silenzio, avvalendosi dello scudo protettivo della sua struttura prevalentemente familistica. Ha saputo intuire i vantaggi del traffico di cocaina ed ha approfittato della presenza in Colombia di ‘ndranghetisti che sono diventati broker molto efficienti e con forti collegamenti con i produttori di cocaina.

Come mai si è riusciti quasi a neutralizzare cosa nostra mentre per la 'ndrangheta la lotta al contrasto sembra impossibile?
Cosa nostra, negli anni Novanta, ha sfidato lo Stato e ne ha pagato lo scotto. La ‘ndrangheta si è sempre mossa sottotraccia, evitando lo scontro frontale con gli uomini delle istituzioni. La ‘ndrangheta ha capito che ciò che un tempo si faceva con le armi, oggi si può fare con la corruzione.

Si è parlato anche di rapporti tra 'ndrine e terrorismo islamico? Vero o solo notizie per vendere più copie di giornali?
Non ci sono inchieste che finora hanno confermato questi presunti rapporti. Ci sono sempre stati contatti tra narcoterroristi e esponenti della ‘ndrangheta, soprattuto in Libano, Colombia, nella cosiddetta Tri-Fronteras (Argentina, Brasile, Paraguay) e in Africa. In Africa la cocaina viene trasferita da Paesi come la Nabimia (zone di stoccaggio) a Paesi che si affacciano sul Mediterraneo dalle stesse tribù, legate a organizzazioni terroristiche che gestiscono il traffico illegale di essere umani.

Il procuratore Gratteri ha ereditato una poltrona importante e pesante con la nomina di responsabile della antimafia di Catanzaro. Tante le inchieste sulla sua scrivania...
Il procuratore Gratteri sta facendo benissimo. Ha già coordinato diverse inchieste importanti e ha messo in chiaro che la ‘ndrangheta del Crotonese, del Vibonese non è certamente meno importante di quella reggina. L’ultima inchiesta con il sequestro di otto tonnellate di cocaina è un esempio. Gratteri è un fuoriclasse, ma ci sono altri magistrati a Catanzaro che possono fare la differenza. Mi riferisco a Bombardieri, Luberto e a tanti altri giovani preparati e motivati.

Che messaggio si può dare ai giovani per evitare che finiscano nei tentacoli della piovra?
Sono scelte di vite. Bisognerebbe fare di più per motivare i giovane a restare in Calabria e a combattere. L’antimafia sociale è fondamentale. I giovani devo poter avere fiducia delle istituzioni e costruire una Calabria diversa. Basta prestare più attenzione alla politica e non lasciarla in mano a chi non ha interesse a cambiare le cose.

In Canada sono terminate le riprese di una serie televisiva che racconta la storia criminale del boss, Vito Rizzuto. Serie basata sul libro "Business or blod, mafia boss Vito Rizzuto's last war" che hai scritto insieme con Peter Edwards. Complimenti, ancora un successo...
È una bella soddisfazione. Spero possa servire a spazzare via qualche luogo comune di troppo sulla mafia in Nord America.

Tratto da: cosenzainforma.it

Foto originale © Keith Beaty / Toronto Star FILE PHOTO

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