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le vie della drogaMafie e crimine organizzato
di Massimiliano Nespola
Secondo Antonio Nicaso, se parliamo di lotta all'ndrangheta, le misure sono inadeguate

Lotta alla criminalità: in sede europea non manca l’intento di mettere in campo un’azione di contrasto che possa essere efficace. Ma quando ci si trova di fronte a un problema del genere, bisogna considerare quale sia l’organizzazione da contrastare, dal momento che l’universo delle forme criminali è molto ampio. Parliamo di ‘ndrangheta con il professor Antonio Nicaso, che insegna presso la Scuola Italia del Middlebury College a Oakland, California, dove è anche direttore associato, alla Queen’s University a Kingston, e alla St. Jerome University a Waterloo, in Canada. È ritenuto uno dei più grandi esperti al mondo sul fenomeno e negli ultimi anni ha pubblicato numerosi libri assieme al magistrato Nicola Gratteri. Lo spunto per questa intervista parte da una recente risoluzione del Parlamento europeo.

ll 25 ottobre scorso, con una risoluzione non legislativa del Parlamento europeo, approvata con 545 voti favorevoli, 91 voti contrari e 61 astensioni, i deputati hanno chiesto l’adozione di un Piano dazione per l’eliminazione della criminalità organizzata, della corruzione e del riciclaggio di denaro. I deputati chiedono inoltre norme a livello UE per la confisca dei beni delle organizzazioni criminali, e il loro riutilizzo a fini sociali, e per la protezione dei whistleblower (=chi esercita l’azione di denuncia). A suo avviso, qual è il livello di efficacia delle azioni europee di contrasto alla criminalità organizzata e, nello specifico, alla ndrangheta?
Per il momento sono inadeguate. La risoluzione, di cui è stata relatrice l’on. Laura Ferrara, ha ribadito un’urgenza, già individuata dalla commissione europea per la lotta alla criminalità organizzata, presieduta da Sonia Alfano. L’urgenza è quella «di fornire alle autorità di contrasto gli strumenti necessari per combattere adeguatamente i gruppi della criminalità organizzata in tutta l’Europa». Ho apprezzato molto l’idea di creare una lista nera contro la corruzione. Da sempre, io e Nicola Gratteri andiamo dicendo che ci può essere corruzione senza mafia, ma non c’è mafia senza corruzione. Speriamo sia la volta buona. Ma non è detto. Da molti anni, a parole, tutti si dicono favorevoli, poi nei fatti, manca la coerenza. Le proposte restano lettera morta.

La crescita della
ndrangheta, per come emerge in “Padrini e Padroni”, lultimo studio pubblicato da lei assieme a Nicola Gratteri, è un problema molto serio che mette a rischio la sicurezza internazionale. Negli ultimi anni, quali sono i dati più rilevanti da considerare, in termini di cifre, sulla sua presenza e le sue azioni?

La ‘ndrangheta è cresciuta nel silenzio, grazie a una colpevole e lunga sottovalutazione. Oggi, la ‘ndrangheta rappresenta una minaccia per molti Paesi, grazie all’enorme disponibilità economica garantita dal traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Alcune stime indicano per la ‘ndrangheta un fatturato superiore ai 50 miliardi di euro l’anno.

Che valutazione si sente di dare sulloperato della classe politica e anche di quella imprenditoriale, di quella che un tempo era la buona borghesiarispetto allavanzata della ndrangheta?
Molti hanno fatto finta di non vedere. Nella peggiore delle ipotesi si sono girati dall’altra parte. Al Nord, per decenni, è prevalsa la logica del marketing territoriale che ha finito per negare anche l’evidenza. È prevalsa anche la logica dei costi e dei benefici. Molti imprenditori hanno accettato i «servizi» offerti dalla ‘ndrangheta e dai suoi prestanome per minimizzare i costi e massimizzare i profitti. Allo stesso modo si sono comportati molti politici che hanno consapevolmente accettato il sostegno degli ‘ndranghetisti in cambio di favori, protezioni e appalti.

Che ruolo ritiene abbia esercitato la stampa nel riportare le informazioni sul tema? Ritiene che si sia fornito un quadro chiaro, esauriente, che le fonti siano state trattate in maniera corretta?
La stampa sta facendo un buon lavoro. Da Duisburg in poi, la ‘ndrangheta è finita sotto i riflettori del mondo. Forse prima, è stata sottovalutata soprattutto lontano dai territori di origine.

Lei ha posto laccento sulla dimensione economica piuttosto che antropologica della ndrangheta. Quindi, la ndrangheta, piuttosto che essere calabrese”, è paragonabile ad una grande azienda multinazionale che vive nellillegalità e rispetto alla quale gli Stati hanno difficoltà a esercitare un contrasto?
La ‘ndrangheta è un modo di fare. È pertanto un modello esportabile, in grado di riprodurre fuori dalla Calabria le stesse dinamiche che l’hanno resa forte nei territori d’origine. Purtroppo, mentre organizzazioni mafiose come la ‘ndrangheta si sono da tempo globalizzate, le autorità di contrasto non sono riuscite a farlo. Oggi, manca un’azione concertata nella lotta alla ‘ndrangheta. Molti Paesi segnano il passo, garantendo enormi vantaggi ai faccendieri delle ‘ndrine che oggi investono e riciclano nel mondo i soldi della cocaina.

Dal punto di vista storico, il territorio calabrese ha visto la presenza della ndrangheta come un elemento distintivo di alcune famiglie, presenti specialmente nel reggino, che si tramanda fin dalla seconda metà dell800. Quindi ha radici profonde. Di quali mutamenti sociali avrebbe bisogno la Calabria perché possa innescarsi un processo nuovo rispetto a quello consolidato nel tempo?
La Calabria dovrebbe superare le logiche del clientelismo. Ma non è solo la Calabria a doverlo fare. Bisogna tenere conto che la ‘ndrangheta è un problema nazionale, globale, non soltanto della Calabria. In Calabria è necessaria una classe politica capace di interpretare i bisogni della gente. Serve lavoro e dignità. La Calabria dovrebbe partire dalla storia e dalla geografia per creare condizioni di sviluppo. Ma spesso mancano progetti ed idee. Rammarica l’idea di dover continuamente restituire all’Unione Europea soldi che in Calabria non è stato possibile spendere per mancanza di progetti e di idee. Non possiamo prendercela sempre con gli altri. Dobbiamo tenere in considerazione anche le nostre responsabilità. Che sono tante.

In che misura il criminale di ndrangheta è ancora quello che condiziona leconomia locale, con le estorsioni, e in che misura invece la dimensione di tale organizzazione si è ormai spostata sul grande capitale, quindi sulla droga, sul riciclaggio, sui paradisi fiscali?
La ‘ndrangheta è diventata sempre più elettiva. Oggi preoccupano i sistemi criminali che vedono l’elite della ‘ndrangheta seduta alla stesso tavolo con politici, imprenditori, massoni, professionisti, tutti legati da obiettivi comuni. Il potere è l’unica ideologia. E su quel fronte non è difficile trovare intese di ogni genere.

Cosa è successo alla ndrangheta negli anni della grande crisi, quindi dal 2007-2008 ad oggi? Limpressione è che, nonostante i numerosi sequestri, gli arresti e i processi, si sia rinforzata, è così?
La ‘ndrangheta oggi è più ricca e più potente. Quello che sconcerta è la facilità con cui i soldi della cocaina entrano nei circuiti legali dell’economia. Il denaro sporco non è per niente disdicevole.

La lotta alla ndrangheta non può essere affrontata e risolta se non a livello globale. Come afferma il sociologo Bauman, non si possono dare risposte locali a problemi globali, vista la presenza della ndrangheta in molti Paesi diversi dallItalia e dalla Calabria. Da questo punto di vista, le diversità tra gli ordinamenti giuridici dei vari Stati rappresentano un limite alla possibilità di cooperazione?  Oppure si riesce a far prevalere, nelle indagini sulla criminalità organizzata, una base comune che si può trovare nel diritto internazionale?
È difficilissimo trovare un’intesa per combattere un fenomeno che usa sempre meno la violenza. Nei Paesi di common law, il reato di associazione mafiosa non viene riconosciuto, ma il problema più importante riguarda la confisca dei beni illegalmente conseguiti. Un’efficace cooperazione internazionale ai fini della confisca è di importanza fondamentale nella lotta contro la criminalità organizzata. Trasferire e nascondere all’estero beni direttamente o indirettamente ottenuti da attività criminali rappresenta, ovviamente, un metodo molto comune per preservare la ricchezza illecitamente acquisita. La criminalità organizzata ha spesso carattere transnazionale, al quale di frequente si aggiunge un’ulteriore dimensione transnazionale, consistente nel coinvolgere più paesi nel riciclaggio di denaro e nell’assegnazione definitiva dei beni. Se il bene da confiscare è rinvenuto in un altro paese, le differenze tra i sistemi nazionali di confisca causano difficoltà nell’esecuzione della confisca, oltre ai tradizionali ostacoli delle indagini finanziarie e patrimoniali internazionali. Nonostante le belle intenzioni, finora è sempre mancata la volontà politica di elaborare un’azione di contrasto a livello internazionale, tenendo conto della transnazionalità di molti reati e di tantissime organizzazioni mafiose.

Tratto da: lindro.it

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