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Il 19 giugno fu Canali, in costante contatto, anche per interposta moglie, con l’amico magistrato, a telefonare personalmente a Caruso, prendendo il discorso largo e comprendendo, alla fine, che lo scrittore era impermeabile a ogni tentativo di addomesticarlo. In quel momento, come detto, i telefoni di Canali erano stato sottoposti a intercettazione dalla Procura di Reggio Calabria. E così il Procuratore Pignatone e il sostituto Perrone Capano sapevano bene di quella telefonata fatta da Canali a Caruso. È facile immaginare, allora, quanto i due magistrati dovettero sforzarsi per evitare di scoppiare a ridergli in faccia, quando Canali, qualche giorno dopo, presentandosi spontaneamente per un interrogatorio, disse loro che era stato Alfio Caruso a cercarlo al telefono. Peraltro, poiché l’eterogenesi dei fini è sempre in agguato sulle azioni di ciascuno, proprio nel corso di quella conversazione con Alfio Caruso, a Canali sfuggì una frase su Cattafi che ha provocato, involontariamente, la riapertura, a trentatré anni di distanza, del processo sull’omicidio del Procuratore di Torino Bruno Caccia, dove ora Canali è testimone. Ma questa, per dirla con Carlo Lucarelli, è un’altra storia. Cassata, però, se non sciascianamente di tenace concetto, è uomo di tenace volontà. Non rinunciò al tentativo di fermare la penna di Alfio Caruso e il libro su Adolfo Parmaliana. Solo che il tempo stringeva e si era ormai a due mesi dalla pubblicazione. A mali estremi, estremi rimedi, dovette pensare, e congegnò (con i suoi complici rimasti impuniti) una doppia manovra, a tenaglia, sullo scrittore catanese (ma da sempre abitante a Milano): da un lato, per il tramite del proprio nipote avvocato (Giovanni Celi) Cassata si rivolse a un sottufficiale della D.i.a. di Messina (quindi ufficiale di polizia giudiziaria sottoposto al Procuratore generale di Messina: è sempre bene farle valere, le gerarchie), amico del nipote ma ben conosciuto (come molti sottufficiali entrati alla D.i.a. di Messina) da lui stesso, Salvatore Caruso il suo nome e per puro caso cognato del fratello di Alfio Caruso, perché rendesse possibile un incontro fra il Procuratore generale e lo scrittore e comunque, in caso di rifiuto, lo informasse che Cassata voleva fargli avere un documento clamoroso, che avrebbe ribaltato l’idea ingiustificatamente positiva che Alfio Caruso si fosse fatta di Adolfo Parmaliana; dall’altro, all’indirizzo di Alfio Caruso si materializzò un documento clamoroso, per l’appunto il dossier anonimo. Un paio di giorni prima, il 22 settembre 2009, il dossier anonimo era già stato ufficialmente ricevuto dal Procuratore generale di Messina al proprio ufficio (un classico, l’anonimista che inserisce il proprio nome fra i destinatari, un po’ come la famosa pubblicità, «dal produttore al consumatore», tutto chiuso circolarmente nella medesima persona) e dal Sindaco di Terme Vigliatore (uno a caso, Bartolo Cipriano: lo storico avversario politico di Adolfo Parmaliana; uno degli indagati nell’indagine nel 2005 condotta dal giovane sostituto della Procura di Barcellona Pozzo di Gotto Andrea De Feis, nel corso della quale era interveuto a gamba tesa, con un’intimidazione al giovane collega, proprio Franco Cassata; il Sindaco che aveva conferito incarichi legali al giovane avvocato Nello Cassata, figlio di cotanto padre, proprio in sincronia con l’inerzia di Cassata senior nell’avocare l’indagine su Cipriano e altri amministratori di Terme Vigliatore, scaduta e dimenticata in un cassetto dell’ufficio del dr. Olindo Canali alla Procura di Barcellona Pozzo di Gotto; condannato qualche anno fa per diffamazione di Adolfo Parmaliana con sentenza definitiva). In contemporanea con Alfio Caruso, il dossier anonimo raggiungeva pure l’abitazione palermitana del Senatore Beppe Lumia. I nomi dei destinatari mostravano da sé le ragioni della scelta: Cassata se l’era mandato per stornare i sospetti e allo stesso tempo per farne uso (come poi fece); al Sindaco di Terme Vigliatore era stato inviato perché il fango fetido contenuto in quel documento trovasse divulgazione in paese, a uso dei nemici più livorosi di Adolfo anche dopo la sua morte (e voglio chiarire che non era Cipriano tra questi, ma altri, stalinisti fetidi di idee e di comportamenti); a Lumia era stato destinato per cercare di disincentivarlo dal rendere omaggio alla memoria di Adolfo, come richiesto nell’ultima lettera, tanto più che per l’1 ottobre 2009 era prevista la sua presenza a una conferenza pubblica a Terme Vigliatore, in ricordo dello scienziato, in occasione del primo anniversario della sua morte. È necessario spiegare perché il dossier anonimo fu inviato ad Alfio Caruso, negli stessi giorni in cui egli era destinatario dell’attività di stalking di Cassata per interposto nipote avvocato (anche avvocato di Cassata in una causa civile contro di me)? L’ha raccontato lo stesso scrittore alla Procura di Reggio Calabria: “viene arrangiato e distribuito questo dossier pieno di veleni nei confronti di Parmaliana con lo scopo evidente non solo di metterlo in cattiva luce, ma anche di porre dei dubbi all’autore del libro e alla sua casa editrice. Infatti ricordo bene che per due giorni mi affannai a mettere in chiaro i vari episodi che infangavano il professore Parmaliana, preoccupato perché la veridicità di uno di essi potesse costringermi ad una riscrittura del libro e a una sua ritardata pubblicazione. Risultarono tutti falsi”. A Terme Vigliatore anche Biagio Parmaliana apprese del dossier e ne ricevette copia al Comune. Da Alfio avemmo il plico recapitato a lui. Esaminando quelle carte, Biagio si accorse di una imperdonabile gaffe fatta dagli anonimisti. Il plico conteneva un esposto contenente le false accuse contro Adolfo (che dal cimitero non poteva certo rispondere per confutarle, ma da qualche parte si dovette fare crasse risate già per il titolo, di netta matrice psichiatrica, di quel testo: «A QUANTI ODIANO LE FALSITA’», così, a caratteri cubitali), elencate punto per punto, e dieci documenti allegati, che nelle intenzioni dovevano dare riscontro alle calunnie. Uno dei dieci allegati, come detto, era un articolo dell’apposito Schinella. Ma un altro si rivelò la prima buccia di banana sulla quale scivolò il piede dell’allora Procuratore generale, rendendo periclitante la sua posizione. Infatti, era allegata anche una sentenza emessa dalla Corte di cassazione l’1 ottobre 2008 (il giorno precedente al suicidio di Adolfo), con la quale era stato rigettato un ricorso proposto da Adolfo, quale parte civile, dopo che la condanna in primo grado di un tale Salvatore Isgrò per diffamazione era stata ribaltata da una sentenza assolutoria della Corte di appello di Messina. Solo che il documento ricompreso nel plico aveva una caratteristica pericolosissima per Cassata: si trattava della copia di un fax e in alcune pagine, nel margine superiore, era visibile il numero dell’utenza dalla quale il fax era stato trasmesso, insieme alla data, 14 novembre 2009, e all’ora. Capita raramente, ma alle volte il caso si mette di buzzo buono per dare una soluzione positiva alle cose del mondo. E il caso volle che quell’utenza corrispondesse a una cartoleria di Barcellona Pozzo di Gotto il cui titolare era conosciuto da Biagio, che poté quindi richiedere alla Telecom, per conto del cartolaio, il tabulato delle telefonate in uscita da quella utenza nella data fatidica. La risposta fu raggelante: il numero 090-770424 che aveva ricevuto il fax (quel fax) era intestato alla Procura generale di Messina. Da verifiche empiriche, scoprimmo che l’apparecchio fax ricevente si trovava proprio accanto alla postazione della dr.ssa Franca Ruello, funzionaria amministrativa presso quell’ufficio ma, soprattutto, moglie di Olindo Canali e amica fidatissima di Franco Cassata (“lo zio”). Ergo, il dossier anonimo, che conteneva quel documento, era stato confezionato alla Procura generale di Messina. A chiunque altro, ad altre latitudini, sarebbe potuta sembrare un’ipotesi manicomiale, ma noi (e soprattutto io, dopo aver conosciuto le vicende giudiziarie dell’omicidio di Graziella Campagna, dell’omicidio di Beppe Alfano, dell’omicidio di Attilio Manca) sapevamo che in certi uffici giudiziari può accadere davvero di tutto. La Procura di Reggio Calabria poco tempo dopo accertò che il giorno prima di quel fax, il 13 novembre 2009, un giovane avvocato, amico e sodale dell’imputato Isgrò, tale Vito Calabrese, altro nemico giurato di Adolfo, aveva ricevuto in Cassazione copia proprio di quella sentenza.

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