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riina cart img6678028di Nando dalla Chiesa
Aveva ragione Marco Travaglio l’altroieri: prima di criticare una trasmissione televisiva, bisogna vederla. E infatti la doppia puntata di Vespa sul figlio di Totò Riina è andata oltre l’immaginazione.
Partita con lo spottone del libro del giovane Riina (titolo, casa editrice, numero di pagine), è finita con un bell’attacco all’antimafia.
Dice che l’informazione è sacra. Infatti nella prima puntata non c’è stata una sola informazione che non fosse già in nostro possesso. Che Riina latitante avesse fatto nascere tranquillamente i suoi figli nel centro di Palermo e li avesse regolarmente registrati all’anagrafe, lo sapevamo da decenni. E sapevamo pure che un capomafia ama i suoi figli e li accarezza teneramente. O che un mafioso figlio di mafioso, pensa un po’, tace proprio come un mafioso, d’altronde avendo assorbito in pieno i “valori” del padre. Semmai sapevamo che la madre di Salvo Riina (la donna “forte e colta”) era la sorella di Leoluca Bagarella, altro killer mafioso; ma la prima puntata questo non ce l’ha detto. E sapevamo che Riina padre ha fatto uccidere come cani decine e decine di familiari di pentiti, gli stessi pentiti attaccati da Riina figlio. E neppure questo ci è stato detto. Per il resto una sfinge omertosa che ricorda di avere vissuto “in una maniera molto piacevole” senza essere contestato a suon di confronti con i figli delle vittime di suo padre. Nessuna noizia. Nulla di nulla. Infatti la notizia era il libro (un libro strategico, tanto che era stato offerto molto tempo fa proprio alla casa editrice di cui sono direttore editoriale...).

La puntata “riparatrice” è stata quasi peggio. Brave persone che fanno le comparse in uno spettacolo retto comunque da un protagonista di cognome Riina (le leggi della comunicazione sono spietate). Cambia la natura dello spottone, stavolta lo fa Alfano per se stesso. E poi disinformazione a gogò. Tra le vittime non viene mai citato Pio La Torre, ovvero l’autore della legge sulla confisca dei beni, di cui pure si parla a ripetizione. Mai nominato in due sere, fosse solo per gratitudine, visto che per quella legge morì. Si sostiene che negli anni Ottanta nessuno reagì, che tutti assistettero agli omicidi senza smuoversi. “Nemmeno io lo feci”, conferma Alfano, che era ragazzo, confondendo la storia con la sua biografia. Per fortuna c’è un vastissimo patrimonio fotografico (e televisivo) che può raccontare il contrario a chi sa di mafia e antimafia come io so di fisica nucleare. I 100 mila giovani che sfilano a Ottaviano contro Cutolo, i 20mila studenti palermitani che fanno la marcia su Ciaculli contro Michele Greco, i 10-12mila dei palasport di Bologna e Milano, la reazione dei ragazzi all’assassinio di Pippo Fava a Catania, la sottoscrizione in Italia e tra i nostri emigrati per pagare le spese delle parti civili al maxi-processo, un grandioso movimento pedagogico nelle scuole di tutta Italia, il sostegno ai magistrati (si dissero Falcone e Borsellino nell’84: “La gente fa il tifo per noi”). E poi il tocco finale della doppia puntata: l’agonia dell’antimafia. Dei cui opportunisti ho pur parlato su queste pagine. Ma da quando le lentezze dello Stato o i comportamenti opachi dei magistrati sono la prova della crisi dell’antimafia? Il movimento nasce anche, esattamente, contro le une e contro gli altri. Com’è bello, casualmente dopo l’intervista a Riina, e dopo un po’ di retorica sulle vittime, dire tutti insieme che l’antimafia è roba sporca (lo dice sprezzante al telefono anche il compagno della Guidi...). Quando la tivù ci racconterà la drammatica storia di Giuseppe Francese o ci farà vedere il viso pulito del figlio dell’agente di scorta Vito Schifani senza andarseli a cercare solo per par condicio con Salvo Riina, sarà un altro giorno. Per ora è il tempo della vergogna.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 9 aprile 2016

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