di Gian Carlo Caselli
L’anticipazione In uscita “Nient’altro che la verità”
Calogero Mannino: processo controverso, il suo. Assolto in primo grado, condannato in appello con la Cassazione che annulla la sentenza e rimanda il processo in appello dove Mannino alla fine viene assolto con decisione che successivamente viene confermata dalla Cassazione.
È un dato di fatto che all’assoluzione di Mannino si arriva perché la Cassazione – a processo in corso – modifica il proprio orientamento rispetto a quello vigente all’inizio del processo sul concorso esterno in associazione mafiosa. Mentre prima per il delitto di concorso esterno era sufficiente provare l’esistenza di un patto tra mafia e accusato, col nuovo orientamento la Cassazione richiede anche la prova di un “ritorno” del patto in termini di effetti favorevoli all’imputato. A me viene da sottolineare che quando è iniziato il processo, anzi l’inchiesta, era richiesto un certo livello di prova; ma prima della conclusione l’asticella probatoria è stata elevata. Innescando un meccanismo che ricorda la storia del falso in bilancio: che era reato nel momento in cui molti processi sono stati avviati, ma poi – a processi aperti – è stato “depenalizzato” obbligando i giudici ad assolvere perché il fatto non costituisce (più) reato. Dal momento che i fatti, tutti i fatti contestati, sono stati verificati come veri, ma non sono più bastati per arrivare a una condanna a causa di un innalzamento imprevisto dell’asticella, e conoscendo tutto l’iter del processo Mannino, a me onestamente risulta difficile capire come si sia potuto parlare di “persecuzione”. Terzo processo, quello che ha avuto al centro il magistrato Corrado Carnevale, anch’egli assolto in primo grado e condannato in appello, con la Cassazione che annulla la sentenza di condanna e rimanda tutto alla Corte d’appello, stabilendo però che non sono utilizzabili le testimonianze dei suoi colleghi, valutate dall’appello come decisive per arrivare alla condanna. Da qui le premesse per la successiva assoluzione . Io qua mi fermo, osservando però che anche in questo caso i fatti posti a base dell’accusa si sono dimostrati ben radicati. Le assoluzioni sono venute per motivi diversi da quella che è stata da taluni definita addirittura la vocazione persecutoria della Procura della Repubblica di Palermo. E ci hanno attaccato con forza se non addirittura con livore. Questi tre processi dimostrano che anche di fronte a imputati potenti noi non abbiamo mai cambiato strada. Il cercare gli autori di reati appartiene a una concezione non burocratica del far magistratura. Ci siamo ispirati all’insegnamento di Borsellino e di Falcone: non esiste una doppia legalità; la legalità è una sola.
Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 6 novembre 2015