Nuova indagine della Procura di Milano. Coinvolto l’avvocato Saro Cattafi
di Davide Milosa - 25 agosto 2015
La storia riparte trentadue anni dopo. E cambia radicalmente. Sul tavolo un caso di cronaca clamoroso: la morte del procuratore capo di Torino, Bruno Caccia, ucciso con 17 colpi di pistola la sera del 26 giugno 1983. Chi paga? Nel 1993 viene condannato all’ergastolo il calabrese Domenico Belfiore. Lui, secondo i giudici, il mandante di un’esecuzione ordinata per tutelare gli affari della ‘ndrangheta all’ombra della Mole. Ignoti i killer. Questa, ad oggi, la versione ufficiale che si basa sulle dichiarazioni del collaboratore Francesco Miano legato ai servizi segreti. La storia, però, ora rischia di essere ribaltata dalla nuova inchiesta dell’antimafia di Milano. L’inedito copione cancella l’ombra delle ‘ndrine e punta sugli interessi di Cosa Nostra per i casinò del nord Italia e i rapporti con i servizi segreti.
Attualmente nel fascicolo milanese compaiono due indagati. Si tratta del calabrese Demetrio Latella, detto Luciano, già legato alla banda di Angelo Epaminonda. Secondo la ricostruzione della famiglia Caccia avrebbe partecipato all’omicidio del magistrato. Il secondo nome, invece, è quello di Rosario Pio Cattafi, personaggio equivoco, condannato in primo grado per mafia, testimone nel processo sulla trattativa Stato-mafia e fin dagli anni Ottanta ritenuto molto vicino al boss catanese Nitto Santapaola. Stando alle carte dell’inchiesta Cattafi, originario di Barcellona Pozzo di Gotto in provincia di Messina, risulta vicino agli ambienti che avrebbero ideato l’omicidio. La nuova indagine è nata dopo che Fabio Repici, legale della famiglia Caccia, ha depositato in procura tre esposti che ruotano attorno a un'unica ipotesi: il magistrato fu ucciso perché stava indagando sugli affari di Cosa Nostra nei casinò. Ipotesi su cui pesa l’attentato dinamitardo all’ex pretore di Aosta Giovanni Selis il quale indagava sul casinò di Saint Vincent. La bomba esplose il 13 dicembre 1982 pochi mesi prima della morte di Caccia. Gli attentatori non furono mai individuati. Alla base di questa nuova versione del caso Caccia c'è un'intercettazione del 2009. Il magistrato Olindo Canali, parlando con un giornalista, ricorda quando in casa di Cattafi fu sequestrato un finto volantino delle Br che rivendicava l’omicidio.
All'epoca, Canali era uditore del pm Francesco Di Maggio titolare del fascicolo su Caccia. Di quel volantino non si ha traccia. Tra gli atti depositati da Repici, c'è, però, la prova della perquisizione. E del resto nel fascicolo sull’omicidio il nome di Cattafi compare diverse volte, spesso associato a uomini legati ai servizisegreti.Traquestil’imprenditore milanese Giancarlo Mariani, al quale “tale colonnello Bertella” chiede di trovare informazioni sull’esecuzione. Mariani così si rivolge allo stesso Cattafi. Il 10 settembre 1984 Mariani mette a verbale: “Fui io a chiedere a Cattafi se ne sapesse qualcosa. Ciò avvenne mentre stavo redigendo il rapporto da consegnare al colonnello Bertella. Senza alcuna esitazione il Cattafi mi riferì le notizie da me trascritte nel rapporto”. Il documento di cui parla Mariani è agli atti del fascicolo sull’omicidio. Spiega Mariani: “Al punto 19 del rapporto più volte richiamato indico il giudice Caccia come architetto Caccia Dominioni”. Ecco allora il testo preciso: “L'architetto Caccia Dominioni è stato fatto fuori non dai calabresi (…) ma da un gruppo capeggiato da Epaminonda (catanese). Sempre come sfondo vi è la questione (…) inerente Saint Vincent, Sanremo, Campione (…) era convinto che tutti i soldi sporchi arrivassero lì”. Sul killer soprannominato Luciano sempre Cattafi riferisce a Mariani di potergli fare avere una sua foto pubblicata sul Corriere della Sera. Secondo la procura e la ricostruzione dell’avvocato Repici si tratta di Demetrio Latella, calabrese, coinvolto e mai condannato per il sequestro di Cristina Mazzotti, rapita nel 1975 e fatta morire di stenti.
La nuova ricostruzione, inoltre, rischia di far riaprire un altro omicidio irrisolto e collegato a Cattafi. Si tratta della morte del broker milanese Giancarlo Ginocchi ucciso il 14 dicembre 1974 nella sua casa milanese. Casa, mette a verbale Mariani, “dove ho conosciuto Saro Cattafi”. E ancora: “Mi è nota la circostanza che ogni qual volta Cattafi raggiungeva Milano dalla Sicilia trovava alloggio nell’appartamento di Ginocchi”, il quale fu coinvolto nel sequestro dell’imprenditore Giuseppe Agrati del 1975. Per il collaboratore di giustizia Federico Corniglia “Ginocchi era un riciclatore di Stefano Bontate”.
Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 25 agosto 2015