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morosini-c-g-barbagallo-0di Piergiorgio Morosini* - 7 agosto 2013
Sicilia 1996. Elezioni per il rinnovo dell’assemblea regionale. Cosa Nostra offre l’appoggio ad un candidato. Se eletto con un buon risultato, per il peso che ha nel partito di maggioranza, quasi certamente entrerà in giunta. Il politico accetta e promette di attivarsi per finanziare una serie di opere pubbliche. Ai boss basta quel patto prima del voto, per affilare i “metodi persuasivi” verso gli elettori e iniziare a riscuotere il pedaggio del costituendo “cartello di imprese” che spartirà i futuri appalti. Ma quel genere di patti politico-mafiosi non è punito dal vigente art.416 ter del codice penale. Così, di recente, la Camera decide di riformarne il testo. Il disegno di legge presenta “luci” e “ombre”. E alimenta reazioni di segno differente, come dimostrano gli interventi di alcuni esperti sulle colonne del Fatto. Reazioni all’unisono sulla necessità di “cambiare” la legge, ma in disaccordo sul “come” scriverla. E, forse, è proprio questa difficoltà a spiegare in parte gli oltre venti anni di vita dell’attuale 416 ter. Una longevità, per altro verso, figlia del deficit di coraggio, dei ritardi culturali e dell’istinto di auto-protezione di segmenti della classe politica.

L’ ART.416 TER in vigore punisce il solo patto di scambio voti/denaro. Non prevede “altre utilità”. Ma i clan, nel caso siciliano del 1996, si mobilitano per avere dal politico favori negli appalti; in altri casi e non solo in Sicilia, autorizzazioni amministrative, protezione giudiziaria, agevolazioni bancarie. La mafia non chiede soldi a candidati o partiti. Quelli li raccoglie in tanti modi, nei mercati legali e illegali. Quindi la novità della Camera è preziosa laddove, rispetto alla prestazione del politico, parla di “altre utilità”. Senza quella aggiunta, i giudici resterebbero di fronte ad un bivio. Rassegnarsi alla sterilità del vecchio precetto. O “forzare l’interpretazione”, come di recente la Corte di appello di Palermo (9.1.2013) che ha parificato alla dazione di denaro l’impegno del politico di fare pressioni verso una banca in vista di una transazione indebitamente vantaggiosa per una azienda mafiosa. Certo, così il 416 ter è più efficace verso le insidie di quei patti. Ma, senza la riforma, sono possibili interpretazioni differenziate. Quindi trattamenti ineguali e verdetti processuali oscillanti, con lo strascico di polemiche strumentali verso i giudici.
Il caso siciliano del 1996 mette in luce anche l’esigenza di prevenire i danni da mobilitazione della “macchina elettorale mafiosa”. Spesso basta il “patto” per incidere sulla libertà degli elettori, e talvolta anche sulla libertà di impresa (chi entra nel “cartello mafioso” può avere appalti, gli altri no). Ma, il nuovo 416 ter, votato alla Camera, non sembra accontentarsi delle sole “promesse ” per punire. “Accettazione del procacciamento di voti con le modalità previste dal terzo comma dell’art.416 bis” è molto di più della semplice “promessa di voti” prevista dal testo vigente. Così “provare” il reato diventerà fisiologicamente più problematico in aree connotate da un clima di intimidazione diffusa. Lì, dover dimostrare specifici atti di violenza e minaccia all’elettore, può determinare la rinuncia all’azione penale. Certo, la “mera promessa di procacciare voti” da parte della cosca non significa automaticamente “mobilitazione effettiva”. Generiche parole di impegno a sostenere un candidato possono rimanere lettera morta, con il rischio di punire le “brutte intenzioni” più che le azioni concrete. Ne soffrirebbero così le più elementari garanzie costituzionali. Ma, in realtà la Cassazione, che presidia la corretta applicazione della legge, da tempo ha fissato i “paletti”. Non si accontenta della semplice promessa. Richiede, come minimo, che questa sia accompagnata da concreti segnali di mobilitazione del clan in esecuzione del-l’impegno assunto verso il candidato (Cass.14.1.2004 n.3859; Cass.11.7.2012 n.27655).

UNA MOBILITAZIONE
dimostrabile ad esempio con la presenza di affiliati ai seggi, ai comizi o nei luoghi di diffusione dei fac-simili elettorali. Semmai per evitare in radice “eccessi di attenzione giudiziaria” verso promesse generiche, potrebbe ritoccarsi il 416 ter con una formula del tipo “si adoperi per procurare voti”. Si tratterebbe di qualcosa di ben diverso dall’“accettazione del procacciamento di voti” del testo della Camera. In conclusione, dopo oltre venti anni, il Parlamento ha l’occasione di intervenire più efficacemente sul condizionamento mafioso del voto. Non deve sprecarla come nel caso della riforma del reato di corruzione. La scelta coinvolge punti nevralgici della vita democratica. Non servono gli spot, troppe volte ispirati da giustizialismi illiberali o garantismi di comodo. Occorre distinguere tra reato e condotte penalmente indifferenti, sia pure sintomatiche di un malcostume politico riprovevole sul piano etico. Solo in questo modo potrà trovarsi il giusto equilibrio tra azione giudiziaria e diritti politici di rango costituzionale.

*Gup presso il Tribunale di Palermo

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

Foto © Giorgio Barbagallo

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