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paci-gaetano-webdi Gaetano Paci - 23 luglio 2012
E’ un grande onore per la Fondazione che rappresento poter commemorare oggi, alla presenza di molti colleghi, dell’on. Presidente della Camera dei Deputati, di molti autorevoli esponenti del Parlamento nazionale ed europeo, il ventesimo anniversario della morte di Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta.
Desidero perciò manifestare alla Giunta distrettuale dell’Anm la più autentica gratitudine per avere voluto organizzare questa cerimonia, grazie alla quale, oltreché rinverdire il ricordo del loro eroico sacrificio, viene dato un autorevole sostegno al perseguimento degli scopi della nostra Fondazione che proprio a Borsellino e a tutte le vittime innocenti della mafia ispira il suo operato

La figura di Paolo Borsellino rimane una delle più alte e limpide espressioni della concreta incarnazione dei principi costituzionali di indipendenza e di imparzialità della funzione giurisdizionale, come emerge dal contesto e dalle circostanze specifiche in cui maturò la sua morte - ancora non del tutto accertate ma certamente oggi meno oscure che nel passato -  nonostante le vergognose reticenze ed i tanti “ non ricordo “ ancora oggi opposti da uomini che all’epoca erano al vertice delle istituzioni dello Stato.  
Paolo Borsellino non fu soltanto lo straordinario investigatore che, unitamente a Giovanni Falcone ed agli altri componenti del pool antimafia, rivoluzionò la strategia di contrasto all'organizzazione mafiosa ed al suo sistema di potere, rendendola finalmente efficace. Il suo fu anche un attualissimo esempio di coscienza civile come è documentato, tra le altre, da una intervista concessa il 26 gennaio 1991 a pochi mesi dall'omicidio di Rosario Livatino, nel corso della quale seppe anche assumersi la responsabilità di denunziare all'opinione pubblica la situazione di perdurante paralisi dell'amministrazione della giustizia e di isolamento dei magistrati nel sud come anche nel resto del Paese, richiamando l'attenzione del Parlamento e del Governo sulla impossibilità di perseguire una reale riforma della giustizia attraverso provvedimenti singoli e disomogenei e sulla necessità invece di misure globali e strutturali.     
La commemorazione a vent’anni dalla sua morte non può esaurirsi in uno sterile esercizio di retorica di stato ma deve essere una occasione per riattualizzare il pensiero di Borsellino indicando con forza, come lui aveva fatto, alle istituzioni ed all’opinione pubblica i nodi irrisolti e le criticità che rendono ancora oggi inefficace il contrasto al sistema di potere mafioso.
 Con questo stesso spirito, la Fondazione si propone di raccogliere l’eredità di Borsellino e si è fatta promotrice di una serie di proposte di legge allo scopo di porre ordine alla legislazione, spesso irrazionale, contraddittoria e deficitaria, voluta da una maggioranza di governo che ha essenzialmente basato la sua politica criminale sull’esaltazione mediatica dei numeri e dei dati statistici in materia di arresti o di sequestri di patrimoni,
A distanza di quasi un anno dalla sua approvazione, il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (D. lgs. 6 settembre 2011, n. 159 ) si rivela sempre più come il luogo delle antinomie e delle aspettative deluse.
L’imponente impegno assunto dalla legge delega di razionalizzare ed armonizzare tutta la legislazione di contrasto alla criminalità mafiosa (penale, processuale, amministrativa ed internazionale) è stato ampiamente disatteso dal decreto legislativo e non lo si può ritenere neppure in parte compensato dalle poche apprezzabili innovazioni come l’aumento di pena per il reato di turbata libertà degli incanti (con la possibilità, finalmente, di poter disporre anche per questo grave delitto delle intercettazioni telefoniche) o l’introduzione della stazione unica appaltante e la tracciabilità dei flussi finanziari delle imprese appaltatrici di opere pubbliche.
Ci si chiede, ancora oggi, che senso ha stabilire un termine perentorio complessivo di due anni e sei mesi entro cui definire i giudizi di primo e secondo grado sul sequestro correndo concretamente il rischio di vanificare l’efficacia di tutto il sistema delle misure di prevenzione antimafia? E’ noto a tutti, infatti, che i procedimenti di prevenzione patrimoniale richiedono accertamenti particolarmente complessi e che la durata di alcune delle esperienze più virtuose (cooperativa di lavoratori Calcestruzzi Ericina, casa di cura Villa Santa Teresa, patrimoni Piazza e Di Vincenzo) ha superato ampiamente i nuovi termini previsti. Il risultato è che esperienze come queste non si potranno replicare e i beni sequestrati dovranno essere restituiti ai mafiosi.
Rimane senza una spiegazione plausibile il sostanziale svuotamento della funzione risocializzatrice che offrono oggi i beni confiscati ad opera della nuova previsione inderogabile di liquidazione dei beni sequestrati nella misura del 70% del loro valore. Ci si chiede, in altri termini, cosa si potrà destinare alla collettività i beni confiscati se durante la procedura se ne dovrà liquidare il 70% del valore per soddisfare i creditori di buona fede? Il risultato è che sarà sempre più difficile restituire alla collettività le ricchezze che le organizzazioni mafiose hanno ad essa sottratto, depurandole degli elementi di illegalità e reinserendole nel circuito economico legale.
La recente legislazione inoltre risulta ampiamente deficitaria perché non ha minimamente colmato il divario che ancora oggi persiste con la legislazione europea su diversi temi del contrasto alla criminalità organizzata: perché non è stato incriminato il diffuso fenomeno dell’autoriciclaggio, che si verifica tutte le volte in cui l’autore di un reato opera direttamente, e non per interposta persona, dei trasferimenti di denaro che derivano dal reato commesso?  Tale comportamento, se commesso in Italia è lecito, mentre se è commesso in gran parte dei Paesi membri è reato: la differenza non è soltanto formale perché in questo modo il nostro Paese continua ad assicurare l’impunità a colui che reimmette nel circuito economico legale flussi di denaro che ha conseguito illecitamente, mentre lo è il terzo che non ha partecipato alla commissione del reato presupposto. Nonostante la richiesta di introduzione dell’autoriciclaggio sia stata suggerita dal Fondo monetario internazionale sin dal 2005 e sia stata autorevolmente sollecitata dal Governatore della Banca d’Italia Draghi, nel corso della sua audizione innanzi alla Commissione parlamentare antimafia il 22 luglio 2009, non si comprende ancora la ragione per cui il Parlamento prima ed il Governo continuino a non uniformarsi agli standard europei.
 Per certi versi più clamoroso è il mancato adeguamento alla decisione quadro n. 783 del 2006 del Consiglio Europeo che rende possibile la confisca di quei beni che i mafiosi detengono in un Paese comunitario attraverso il meccanismo del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca.
Tale condizione di inottemperanza è costata al nostro Paese il recente legittimo rifiuto, da parte delle Autorità giudiziarie tedesche della Bassa Sassonia, ad accogliere una richiesta di confiscare due pizzerie, del valore complessivo di 460mila euro, riconducibili a soggetti condannati con sentenza definitiva.
Il caso ha destato particolare clamore anche perché la Germania, dopo i noti fatti di Duisburg del 15 agosto 2007, è corsa ai ripari per difendere l’integrità del proprio sistema economico dall’aggressione delle mafie e si è perciò immediatamente adeguata alla decisione quadro n. 783 recependola con una legge del Parlamento federale del 2 ottobre 2009. Anche la Francia, il Portogallo e a Spagna hanno recepito le disposizioni comunitarie in materia di confisca ed il fatto che oggi ancora fatto che il Governo, dopo i tentativi infruttuosi fatti dalla coalizione di centrosinistra nel 2008, non provveda a realizzare l’adeguamento normativo oggettivamente contribuisce a rendere vani gli sforzi di investigatori e magistratura per individuare e confiscare i beni che le organizzazioni mafiose, non a caso, preferiscono sempre più tenere all’estero.  
L’adozione del piano straordinario contro le mafie, inoltre, avrebbe potuto costituire l’occasione per sanare un’ulteriore divario con la normativa comunitaria, costituito dall’ormai ultradecennale mancato recepimento della Convenzione europea sulla corruzione del 27 gennaio 1999, contenente un apparato organico di disposizioni finalizzate alla prevenzione (es. anagrafe patrimoniale dei pubblici dipendenti) ed alla repressione (es. operazioni sotto copertura) di un fenomeno criminale che, secondo le più recenti analisi della Procura generale della Corte dei Conti, è talmente rilevante da “ incidere sullo sviluppo economico del Paese”.
Ma la Fondazione ha voluto lanciare una proposta affinché il ventennale delle stragi possa essere ricordato come l’anno della svolta nel contrasto ai rapporti tra mafia e politica, attraverso la modifica dell’art. 416 ter c.p. che prevede il reato di scambio elettorale politico-mafioso. Recidere finalmente il rapporto tra mafia e politica è una priorità se si vuole realmente sconfiggere la criminalità organizzata. L’attuale formulazione dell’articolo 416 ter del codice penale sanziona penalmente solo l’ipotesi, nella pratica assai rara, in cui il patto politico elettorale mafioso si concretizzi con il versamento di denaro alle cosche in cambio del loro appoggio. E’ invece necessario punire espressamente l’ipotesi, purtroppo molto più ricorrente, del patto consapevole che il candidato stipula con il mafioso e consistente nella promessa di rendere successivamente all’elezione favori di qualunque genere all’organizzazione mafiosa come contropartita al sostegno elettorale ricevuto. In questo senso nello spirito della consapevolezza della gravità dei rapporti mafia-politica che animava anche Paolo Borsellino, la Fondazione ha voluto intitolare a lui questa proposta la cui approvazione costituisce un debito che il Parlamento dovrà onorare in suo onore.


Magistrato della Procura di Palermo e Presidente della Fondazione "Progetto Legalità in nome di Paolo Borsellino e di tutte le altre vittime della mafia"

Relazione tenuta dal magistrato alla convegno dell’ANM in ricordo di Paolo Borsellino, il 19 luglio 2012

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