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tranfaglia-nicola-web2di Nicola Tranfaglia - 22 luglio 2012
Il linguaggio processuale che si usa ancora oggi in Italia può giocare brutti scherzi a chi dimentica la società in cui viviamo e la storia grottesca che ha caratterizzato, nella realtà dei fatti, gli ultimi decenni tra il ventesimo secolo e il nuovo che scorre.
Parlare di estorsione, da parte del senatore Marcello Dell’Utri di alcune decine di miliardi nei confronti dell’ex presidente del Consiglio - fondatore con lui di Forza Italia e del moderno populismo italiano - fa davvero sorridere chi sa ormai qualcosa sui rapporti tra mafia e politica.

L’ultima svolta del processo di Palermo che (a quanto hanno scritto ieri i giornali) sarà firmata alla fine anche dal procuratore di Palermo Messineo - oltre che dagli aggiunti e sostituti Ingroia, Di Matteo e del Bene - potrebbe proporre forse una nuova ricostruzione dei rapporti politici e finanziari tra due tra i maggiori protagonisti della politica di governo in Italia negli ultimi venti anni.
Una ricostruzione che vede in Marcello Dell’Utri il grande organizzatore, prima dei club di Forza d’Italia all’inizio degli anni novanta in tutta Italia, e con forza particolare in Sicilia, quindi nel senatore siciliano il deus ex machina della fulminea campagna elettorale del marzo 1994 che portò Berlusconi alla conquista del governo e ancora sempre al fianco del leader di Arcore in tutte le svolte successive che hanno portato il padrone di Mediaset a ritornare al potere nel 2001 e, infine nel 2008 con  la terza vittoria elettorale del centro-destra  contro l’alleanza di centro-sinistra guidata dopo il 1996 ancora  da Romano Prodi.
Sarebbe stato sempre Dell’Utri a consigliare Berlusconi, e soprattutto ad assicurare all’imprenditore milanese, le truppe e le alleanze necessarie per raccogliere la galassia di centro-destra che ha sostenuto i vari governi berlusconiani e che, ancora oggi pur dopo molti recenti sconfitte, è presente e attiva in una parte non trascurabile dell’establishment politico ed economico della penisola.
E il passaggio, costante e copioso, di miliardi dai conti di Berlusconi e della sua famiglia a quelli di Marcello Dell’Utri non sarebbe affatto il frutto di una brutale estorsione, penalmente punibile, ma  l’aver corrisposto - come dire più o meno in nero, come peraltro avviene spesso in Italia - del denaro che il padrone di Mediaset ha creduto di dover di volta in volta corrispondere per compensare i servigi del gruppo, non meglio definibile in questo momento, di cui il senatore siciliano è leader e organizzatore.
Si tratta di servizi di vario genere, complessi e preziosi, di grande peso e importanza che non è facile procurarsi e che in politica, a quanto pare, sarebbero stati indispensabili per ottenere i risultati che in questi anni abbiamo potuto vedere, né c’è da stupirsi che il loro valore sia stato così alto e tale da permettere a Dell’Utri di accumulare una vera ricchezza non solo sul piano immobiliare.
Il problema semmai è quello di qualificare meglio la natura dei servizi che hanno legato, e ancora forse legano, i due uomini al centro della indagine siciliana. Si tratta di strumenti e forme organizzative proprie di tutte le forze politiche della repubblica o di ogni azienda moderna? O ci troviamo di fronte, invece, a una società di fatto (e non certo per azioni, come pure sarebbe stato possibile) che unisce persone abituate a frequentare, nello stesso tempo, l’universo degli affari leciti e di quegli illeciti?
E se tra quelli leciti potrebbero esserci la persuasione a votare una lista piuttosto che un’altra o uno schieramento piuttosto per quello opposto privilegiando alcuni obbiettivi politici piuttosto che altri, tra quegli illeciti potrebbero esserci la corruzione di singoli o di gruppi di persone per sostenere l’uno o l’altro candidato, l’una o l’altra lista e, se questo si provasse, ci troveremmo di fronte a una fattispecie di reato previsto dal nostro ordinamento penale che, a livello dei singoli individui, configurerebbe il classico voto di scambio di cui tanto si è parlato rispetto ai rapporti tra mafia e politici soprattutto (ma non soltanto) nell’Italia meridionale.
Il discorso si farebbe più molto più serio o pericoloso se dai casi individuali la ricostruzione possibile riguardasse aggregazioni sociali in una città o addirittura in una provincia.
Qui sarebbe difficile parlare di voti di scambio e si porrebbero problemi tipici che attengono a tentativi di cospirazione o di progetti politici che riguardano il governo di una regione o quello centrale.
Ma, per ora, sarebbe certo prematuro parlare dei possibili sviluppi di una indagine che, dopo la firma della procura, dovrà essere assunta da una corte giudicante e sottoposta con il nuovo ordinamento giudiziario, approvato negli anni ottanta-novanta del Novecento, a un dibattito a cui parteciperanno le parti e l’accusa.
Restano, per ora, i dati inquietanti acquisiti dalla procura di Palermo: la cosiddetta “estorsione” di Dell’Utri nei confronti di Berlusconi, il passaggio imponente di denaro dall’una all’altra parte e le ragioni che hanno determinato negli anni l’esborso di una somma così grande da parte dell’imprenditore di Arcore.

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