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travaglio-marco-web5di Marco Travaglio - 29 maggio 2012
La Direzione investigativa antimafia ha sempre meno risorse e sempre meno personale qualificato. Piano piano, una delle eredità più preziose di Falcone viene smontata

Il ritorno delle stragi e le commemorazioni per il ventennale di Capaci ci hanno rovesciato addosso un surplus di retorica a base di proclami di alte e basse cariche dello Stato, "non abbassare la guardia", "assicurare i colpevoli alla giustizia", Giovanni di qua e Francesca di là. Intanto, lontano dai riflettori, viene smantellata una delle eredità più preziose di Falcone: la Direzione investigativa antimafia (Dia), nata dall'idea del grande giudice di creare una struttura specializzata "interforze" per raccogliere e coordinare il meglio di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza nella lotta alla criminalità organizzata.

Nel 2001 la Dia aveva in dotazione 28 milioni di euro, ora non supera i 10. Per svolgere tutti i suoi compiti, necessiterebbe di 3 mila uomini, invece è ridotta a 1.300. Come se non bastasse, il governo Berlusconi - quello che sbandierava come roba sua i latitanti arrestati e i beni sequestrati, quello che il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso vorrebbe premiare "per la lotta alla mafia" - nel 2010 ha decretato il blocco degli stipendi per tre anni agli operatori della Dia. E nell'ottobre 2011 ha infilato nel decreto Stabilità una normetta che taglia i loro stipendi del 20 per cento, riducendo del 60 per cento il Tea (trattamento economico aggiuntivo) per il 2012-2013. Misura confermata dal governo Monti. Un risparmio insignificante, ingiustificabile con motivazioni economiche (in media il Tea degli 007 antimafia ammonta a circa 300 euro mensili, su stipendi di 1.400-2.000 euro). E per giunta "riservato", in tutto il comparto sicurezza, solo alla Dia. Quanto basta per far sospettare tutt'altre finalità.

Sciogliere la Dia a vent'anni dalla sua nascita e dalla morte di Falcone sarebbe troppo anche per questa classe politica: molto meglio svuotarla giorno dopo giorno, per non dare nell'occhio. "Vogliono toglierci la nostra specificità", denuncia un ispettore, "che ancor oggi ci consente di fare indagini in completa autonomia dalla politica, e che ci rende "pericolosi" e poco "gestibili". Fanno di tutto per affossarci: prima i continui tagli di fondi e mezzi, poi il trasferimento insieme alla Criminalpol in una zona periferica di Roma, infine l'uso del turnover per riempirci di personale sempre meno qualificato e più raccomandato. Eppure, nonostante le mortificazioni, abbiamo mantenuto un livello di preparazione e di indipendenza altissimo. E forse è proprio questo il "problema"".

Il bilancio di vent'anni di Dia parla chiaro: 12 miliardi di euro i beni sequestrati a Cosa Nostra, camorra, 'ndrangheta e Sacra Corona Unita, 2 miliardi quelli confiscati, 9 mila ordinanze di custodia cautelare dal 1992 al 2012. Sei mesi fa, dopo le denunce dei sindacati di polizia e del Cocer dell'Arma, gli ispettori Dia hanno scritto all'allora ministro dell'Interno Roberto Maroni: "Abbiamo il dovere morale di denunciare l'ennesimo tentativo di depauperare la Dia, fortemente voluta da Falcone, attentando così alle sue idee". Ma, come hanno dichiarato al sito linkiesta.it, non hanno mai ricevuto uno straccio di risposta: "Né da Maroni, né dal capo della Polizia". Fli ha presentato una proposta di legge per rifinanziare la Dia secondo le sue esigenze, ma nessun altro gruppo parlamentare s'è finora associato.

Così, proprio mentre occorrerebbero detective esperti e professionali per fare luce sul rinascente stragismo e si avvicina come non mai la verità sulle trattative Stato-mafia partite dopo la strage di Capaci e forse tuttoggi in corso, lo Stato rinuncia al suo apparato investigativo e repressivo più efficace e collaudato. Il tutto mentre le Procure impegnate in indagini su mafia e politica denunciano difficoltà sempre maggiori nel trovare investigatori disposti a rischiare la carriera pestando i piedi a questo o quel potentato. Altro che "non abbassare la guardia" e "assicurare i colpevoli alla giustizia". Vent'anni dopo, siamo tornati alla battuta di Amurri e Verde: "La criminalità è organizzata, e noi no".

Tratto da: espresso.repubblica.it

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