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tranfaglia-nicola-webdi Nicola Tranfaglia - 11 novembre 2011
Di fronte ai frequenti regolamenti di conti, vere e proprie esecuzioni mafiose, avvenuti nelle principali città italiane negli ultimi mesi e che da un po’ di tempo colpiscono persino i quartieri centrali della capitale, c’è da chiedersi se anche il Lazio dovrà aggiungersi alle regioni meridionali in cui le tre associazioni mafiose più forti dominano la vita economica e quella politica. Il nostro Paese è diventato ormai, per gli errori accumulati dalle classi dirigenti nei suoi centocinquant’anni di vita uno Stato aggredito sul piano economico, come su quello politico, da un fenomeno caratterizzato dalla violenza, dall’intimidazione e dal disprezzo più profondo della legalità.

Quando il segretario della maggior forza democratica di opposizione parla della necessità e dell’urgenza di una ricostruzione civile, morale ed economica del nostro Paese si riferisce, tra le priorità da mettere in campo nei prossimi anni a una lotta accanita e senza tregua, anche educativa e culturale, contro i gruppi criminali. Questi non di rado sono legati a una parte della classe politica che ha utilizzato il voto di scambio e gli affari poco puliti ed è arrivata addirittura con propri sostenitori in Parlamento grazie all’appoggio di clan mafiosi assai noti. Tutto avviene in un momento nel quale una grave crisi economica attanaglia da anni l’Italia che si prepara ad affrontare un periodo di provvedimenti duri e immediati. Misure che, a mio avviso, dovranno essere sostenute in Parlamento e soprattutto nel Paese da tutti i sinceri democratici, pur di fronte a opposizioni impreviste. È necessario richiamare l’attenzione della pubblica opinione sul grave pericolo di un’ulteriore espansione del fenomeno mafioso che ormai si è diffuso in Europa e nel mondo intero. Non vorrei ricordare i testi classici dell’analisi storica sulla mafia ma mi vengono in mente le parole illuminanti di un grande liberale come Leopoldo Franchetti che quasi centoquarant’anni fa disegnava la capacità di espansione della mafia con un ragionamento semplice e ancora realistico non soltanto in Sicilia ma purtroppo in tutto il nostro Paese. «Lo Stato - scriveva - si trova in questa dolorosa situazione, che nell’adempiere al primo dei doveri di uno Stato moderno, il mantenimento, cioè, dell’ordine materiale, esso non difende la Legge ma i soprusi di una parte dei cittadini a danno degli altri». E un giudice eccezionale, Giovanni Falcone, aveva detto a Marcelle Padovani: «È evidente che è la mafia ad imporre le sue condizioni ai politici e non viceversa». Se infine si ricorda, come molti oggi dimenticano, che «la mafia è la più grande azienda italiana e che nel 2007 ha fatturato novanta miliardi di euro» il quadro è fin troppo chiaro.

Tratto da: www.unita.it

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