Sembra impossibile. Fino a qualche giorno fa, si parlava di un disegno di legge (n. 1277), scritto appositamente dai deputati e senatori proponenti, con l’unico scopo di fermare gli interventi dilaganti - in aula della Commissione parlamentare antimafia - del procuratore generale antimafia Roberto Scarpinato, ora senatore della Repubblica. Oggi siamo giunti alla conclusione di questa vicenda parlamentare tanto squallida quanto indegna di un Paese che da ogni parte si proclama "democratico".
Ho già scritto sull’argomento, decine di pagine per tentare di spiegare agli italiani – con il linguaggio del semplice cittadino - come si svolgono i lavori presso la citata commissione; ma ora la situazione è cambiata, perché oggi e domani sarà approvato in Senato quel disegno di legge che ha un’unica finalità: escludere Roberto Scarpinato dalla Commissione antimafia per tappargli la bocca. Più innanzi tenterò di fornire una sintesi (sarebbe impossibile affrontare il tema nella sua totalità) delle principali abnormita' di questa legge “contra personam”.
E, come avviene in questi casi – lo abbiamo imparato da Silvio Berlusconi – l’esercizio del potere la fa da padrone. E di potere, tutti gli uomini e donne che stanno al governo, ne hanno acquisito tanto.
Il Parlamento è stato privato delle proprie funzioni: viene messo il freno alla presentazione di emendamenti, alla discussione in aula ed infine la maggior parte delle leggi vengono approvate con il ricorso al voto di fiducia. Così facendo, il potere legislativo ha perduto ogni potere del proprio ambito. Il potere giudiziario è messo alle strette: le riforme finora approvate hanno limitato, se non addirittura abrogato le leggi in vigore tempestivamente sostituite da norme più restrittive che hanno stravolto il diritto di libertà della popolazione. Le riforme – soprattutto quelle che riguardano la giustizia – sono state consapevolmente scritte ignorando i diritti dell’uomo e in contrasto con i principi costituzionali. Il ricorso al decreto legge - anche quando non erano presenti motivi di urgenza – al fine di accelerare la legiferazione, ha raggiunto primati mai registrati nel passato, anche nei governi Berlusconi.
A proposito di Berlusconi, non possiamo sottacere che tutto il programma del governo Meloni riproduce scrupolosamente la politica Berlusconiana e il progetto anticostituzionale partorito dalla malversata attività della loggia P2 di Licio Gelli.
Ma non possiamo non tenere in debito conto tutte le riforme della giustizia e sulla magistratura tendenti a realizzare l’asservimento dell’azione penale al potere esecutivo che così si vedrebbe attribuire l’esercizio dell’azione penale, spogliando il Pubblico Ministero dei suoi poteri naturali. 
Detto tutto ciò, come necessaria premessa, ritorniamo al tema principale di oggi: “la legge del taglione”. 
Si, perché il disegno di legge 1277, a ben vedere, sembra obbedire a sentimenti di vendetta come intesi nella cosiddetta “antica legge del taglione”. La lettura della nuova norma non lascia spazio a dubbi circa l’intento ingannevole della legge pedissequamente orientata verso una sorta di punizione nei confronti di Roberto Scarpinato e Federico Cafiero de Raho.
E’ tanto vera questa convinzione quanto è vero che i proponenti del disegno di legge hanno inserito nel testo la validità della stessa anche retroattivamente.
“Dunque c'è una violazione del divieto di irretroattività delle leggi, il quale divieto - com'è noto - non ha valenza costituzionale, però la assume, quando la legge determini conseguenze sfavorevoli per i suoi destinatari”.
In effetti se non ci fosse stato quell’aspetto punitivo, non ci sarebbe stata ragione di prevedere l’estensione della nuova norma anche agli anni trascorsi.
Per quanto attiene ai motivi formali che sarebbero stati determinanti per la scrittura del disegno di legge, essi sono: de Raho, per essere stato Procuratore nazionale Antimafia durante l’inchiesta a carico del finanziere Pasquale Striano; Scarpinato per essere stato titolare dell’inchiesta su "mafia e appalti". Su questa questione è d’obbligo fare una breve puntualizzazione a beneficio di chi non è a conoscenza dell’argomento: la maggioranza parlamentare, cominciando da Giorgia Meloni e Chiara Colosimo, attuale Presidente della Commissione antimafia, ritiene da sempre che il dossier dei Carabinieri sia stato la vera causa della strage di via D’Amelio, come da sempre sostenuto dall’ex generale Mario Mori, in ottimi rapporti con l’attuale coalizione governativa.
Roberto Scarpinato invece ritiene, come anche sostenuto dall’intero fronte antimafia (costituito da costituzionalisti, professionisti, esperti, giuristi) che la strage di via D’Amelio sia stata una strage di Stato.
Peraltro, come rivelato dalla trasmissione Report sulla RAI, Mori avrebbe pilotato dietro le quinte la nomina di alcuni consulenti della Commissione antimafia dopo avere pubblicamente dichiarato che vuole vendicarsi dei magistrati che lo hanno processato a Palermo.
Allora, alla luce di questo breve quadro, come ora descritto, appare evidente che l’impostazione della pratica da sottoporre all’esame della Commissione, sia già compromessa da un pregiudizio che non potrà non incidere sui lavori futuri anche a causa della rinuncia degli esiti della precedente Commissione; ma “licenzia” gli unici commissari a conoscenza di tutta questa capziosa storia politica. Gli unici in grado di condurre la Commissione parlamentare verso la verità. Quella verità di cui tutti vorremmo avere conoscenza al fine di chiudere serenamente una vicenda unica nel suo genere che vedrebbe la storia e gli stessi cittadini, riappropriarsi e arricchirsi di fiducia nei confronti dell’attuale maggioranza governativa. 

Foto © Paolo Bassani 

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