Ci sono notti nella storia dell'umanità in cui le stelle stesse sembrano indietreggiare, in cui il firmamento chiude gli occhi, riluttante a vedere ciò che l'uomo fa all'uomo. Gaza è una di queste notti.
L'assalto è iniziato. Non chiamatela battaglia, perché qui non c'è battaglia. Non c'è scontro tra pari. Ciò che si svolge su Gaza è una sepoltura condotta dalle macchine, una demolizione di pietra e carne, la deliberata cancellazione di una città il cui crimine è quello di esistere.
Parlano al mondo di "zone sicure", di "infrastrutture", di tende spedite attraverso gli oceani. Evocano l'illusione dell'umanità con frasi burocratiche. Ma questi non sono rifugi; sono spettri. Queste non sono promesse; sono menzogne imbalsamate in sigilli ufficiali. Gaza ha già assaggiato il loro veleno. Cacciata da Rafah, la sua gente non ha trovato altro che lo scorpione e il serpente, il deserto e il globo fiammeggiante del sole. Bambini svenivano sulla sabbia mentre il mondo contava tende che non esistevano.
E ora il comando ritorna: partite di nuovo! Abbandonate le vostre case, i vostri pozzi, le vostre culle, le vostre tombe. Partite nel vuoto! Ma questo non è un Esodo, perché non c'è nessun Mosè. Il mare non si divide; divora. Nessuna colonna di fuoco illumina il cielo, solo fuoco dall'alto che consuma. Dio tace, e l'uomo si è reso sordo al rombo dell'artiglieria.
Guardate nelle strade. Lì camminano i condannati, eppure non portano catene. Sono ombre staccate dai loro corpi. Non si salutano più; hanno dimenticato la grammatica della fratellanza umana. Vagano come se portassero bare invisibili, e dalle loro labbra gocciolano domande come sale da una ferita: Dove andremo? Come resisteremo? Cosa rimane di noi?
E ancora si chiede il riscatto: mille monete per una carrozza che non esiste, combustibile più caro dell'oro, una tenda che non è che uno straccio nella polvere. Questa è la tassa della disperazione. E mentre i poveri vengono scorticati fino all'ultima moneta, i signori delle fazioni, i sacerdoti del potere, gli uomini incoronati e avvizziti che si proclamano leader, ordinano loro: "Morite coraggiosamente, affinché possiamo vivere ignobilmente". Preferiscono i loro titoli ai loro figli, le loro fazioni al loro popolo, il loro respiro al respiro di Gaza.
Così Gaza viene abbandonata.
Ma questo abbandono è antico. Fu scritto dal profeta Sofonia, seicento anni prima di Cristo: "Perché Gaza sarà abbandonata". Ed ecco, la parola permane. La profezia non è storia; è ricorrenza. Da Babilonia alla Persia, da Alessandro a Cesare, dai califfi ai crociati, Gaza è stata schiacciata sotto il tallone di ogni impero. Eppure, attraverso ogni rovina, un fatto ha sfidato l'oblio: il suo nome è rimasto. Gaza, scritto in ebraico come Azzah, parlato dai greci come Gaza, sussurrato in arabo come Ghazza, non è mai stato cancellato. La città che sopporta conquista dopo conquista ora si trova ad affrontare una nuova desolazione, più implacabile della precedente, perché non cerca solo la conquista delle sue strade, ma l'annientamento della sua memoria.
Gaza! Tu, antica sentinella del mare, tu, porta di Canaan, tu, roccaforte più antica di Roma! Per tremila anni la tua lampada ha bruciato, a volte affievolita, mai spenta. E ora, in questo secolo di acciaio, elettricità e legge, sei di nuovo consegnata all'abisso. I tuoi figli sono dispersi come scintille davanti alla tempesta. Le tue mura cadono come i denti di un vecchio strappati dalla mascella. Eppure il tuo grido si leva ancora, più duraturo della pietra, un grido che accusa i secoli e chiama in giudizio le nazioni.
Ascolta questo, o mondo: il crimine non è solo di Gaza. Abbandonare Gaza significa abbandonare la giustizia, tradire la misericordia, infrangere il patto dell'umanità stessa. Se Gaza cade e il mondo tace, non è Gaza ad essere condannata, ma l'umanità. Perché nelle rovine di Gaza giacciono le rovine della nostra coscienza, e nel silenzio di Gaza risuona il silenzio del mondo.
#GazaGenocide
