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L’ex magistrato: “C’è una certa tendenza a parlare di mafia solo dopo fatti gravi o in presenza di strategie sanguinarie

"Non possiamo porci il problema delle scadenze sulle intercettazioni e nemmeno prevedere interrogatori preventivi prima delle misure. A livello normativo su alcuni punti stiamo regredendo. La lotta alla mafia la fanno soprattutto magistrati e inquirenti. Dunque fare la lotta ai magistrati indebolisce soltanto chi combatte Cosa nostra". Lo spiega in un'intervista a RepubblicaGian Carlo Caselli, dal 1993 al 1999, procuratore Capo di Palermo, dopo il blitz della Dda di Palermo che ha portato ieri a 181 arresti e ha sventato l’ennesimo tentativo di Cosa nostra di ricostituirsi. "La mafia ha subito colpi durissimi ma non mi sono mai illuso che fosse finita o scomparsa". "C'è una certa tendenza a parlare di mafia solo dopo fatti gravi o in presenza di strategie sanguinarie - osserva -. Questo limite culturale ci fa dimenticare la sua storia e la capacità di condizionamento che ne ha fa un potere criminale a prescindere dalla sua forza militare". "Di solito per tradurre in un'immagine la mafia si ricorre alla piovra ma forse è ancora più calzante il camaleonte. Cosa nostra si adatta alle circostanze in cui deve operare, sfruttando con prontezza le opportunità che offre il mercato", per questo secondo l'ex magistrato va combattuta "con una dotazione di uomini e mezzi all'avanguardia".

Foto © Imagoeconomica

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