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Il 19 luglio 1992 nella strage di Via d’Amelio, la mafia uccise il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi, prima donna della Polizia di Stato a morire per mano della mafia.

Sono passati 32 anni da quel giorno e purtroppo tanti ancora fanno memoria formale ma poi nei fatti tradiscono gli insegnamenti di Paolo Borsellino, a partire proprio dal metodo adottato da Falcone e Borsellino, quello secondo cui i fatti criminali vanno visti nel loro intreccio complessivo e non singolarmente: ebbene, la commissione Antimafia sta facendo l'esatto opposto.

La presidente e la maggioranza hanno deciso di circoscrivere i lavori sul biennio 1992-93 solo a una ricostruzione della strage di Via d’Amelio, escludendo approfondimenti su quella di Capaci, sulle esplosioni di via dei Georgofili, via Palestro, San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro, sull'autobomba in via Sabini a Roma, sul fallito attentato allo Stadio Olimpico.

Una scelta che potrebbe essere motivata solo con il fatto che non si vogliono portare a galla i collegamenti tra questi eventi e il ruolo di primo piano ricoperto da esponenti delle istituzioni e dell'estremismo nero nella realizzazione di quei fatti criminosi e nei successivi depistaggi.

Non bastano le celebrazioni di un giorno per onorare le vittime di mafia.

Bisogna avere il coraggio di far emergere le tante verità nascoste che ancora oggi pesano sulla storia e impediscono che sia fatta giustizia.

L’antimafia si costruisce quotidianamente con i fatti, con le leggi di contrasto alla criminalità e alla corruzione e con la ricerca costante della verità, tutta la verità.

Il resto è solo una passerella che non porta da nessuna parte e offende i familiari stessi delle vittime e la memoria di chi ha sacrificato la propria vita per il nostro Stato.

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