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5 storie per 'sgraditi che non piegano schiena', dice Fava
di Daniela Giammusso
Roma. ''Sai chi sono io? Sono il padre dell'imputato, il padre dell'assassino. Quello che scrivi tu, il tuo giornale, non mi piace. Attento, perché le disgrazie possono accadere, all'improvviso''. L'avvertimento, il primo di una serie, ad Arnaldo Capezzuto arrivò diretto, occhi negli occhi, addirittura all'uscita di un'aula di tribunale. Ma c'è chi invece ha subito aggressioni, automobili in fiamme, pallottole inviate per posta, incursioni in casa o querele temerarie, che a un giovane cronista, magari precario in una testata locale, spaventano quanto il cane di una pistola. Sono le storie di ''Cose nostre'', nuova serie di cinque documentari-inchiesta per le vicende di altrettanti giornalisti italiani minacciati dalle mafie, da domani su Rai1 in seconda serata. ''Un tema difficile e un genere insolito per Rai1 - dice il direttore Giancarlo Leone - con cui ci misuriamo per la prima volta per accendere un faro sul rapporto tra buon giornalismo e mafie''. Alla base, del programma - firmato da Emilia Brandi, Giovanna Ciorciolini, Tommaso Franchini, scritto con Danilo Chirico, Francesco Giulioli e Giovanna Serpico - c'è la relazione presentata ad agosto dalla Commissione Parlamentare Antimafia e quei 2 mila episodi di violenza, intimidazione e minaccia subiti dai giornalisti italiani tra il 2006 e il 2014.

Uomini e donne, racconta il vicepresidente della Commissione, Claudio Fava, anche lui giornalista figlio di un cronista morto ammazzato, ''che sono la colonna vertebrale della buona informazione italiana, costretti a ricevere minacce di una fantasia che non conosciamo. Nove giornalisti uccisi dalla mafia sono troppi per un paese in pace - aggiunge - Una pressione che in alcuni casi è diventata silenzio, abbassamento della qualità del racconto. Ma che dice anche quanto importante e sgradevole sia la presenza di un buon numero di giornalisti che la schiena invece non l'hanno voluta piegare mai.''. Partendo dalla storia di Arnaldo Capezzuto, oggi blogger del Fatto Quotidiano, al tempo cronista con il coraggio di raccontare il dominio dei clan nel quartiere di Forcella, l'omicidio della 14enne Annalisa Durante e la ''paranza'' dei ragazzi, la serie sceglie di seguire non i giornalisti ''simbolo'', come potrebbe essere Roberto Saviano. Ma i colleghi spesso rimasti nell'ombra della quotidianeità, lasciando a loro il compito di ricostruire i fatti e la propria inchiesta, nei luoghi scenario delle vicende e in un reportage che diventa anche affresco di un pezzo di storia d'Italia. Così Emilia Brandi ha riportato Capezzuto proprio a Forcella, dove non può entrare più da tempo. E dove ancora oggi ''si percepiva verso di lui un''attenzione' particolare''. Protagonisti saranno poi Michele Albanese de Il quotidiano del Sud e dell'ANSA; Amalia De Simone del Corriere.it; Pino Maniaci direttore di Telejato; e Giovanni Tizian de L'Espresso. ''Ritengo possa essere il primo esperimento di una serie - aggiunge Leone - Anzi, dopo la prima messa in onda, da fine febbraio-marzo, replicheremo le puntate anche il sabato pomeriggio alle 17, per raggiungere pubblici diversi''. ''Una scelta innovativa e rilevante - commenta il consigliere Rai Franco Siddi - degna di una tv civile, che rompe il mito dello share a tutti i costi pur di incrociare platee diverse. Spero sarà premiata dal pubblico, dimostrando che c'è un paese vigile e più impegnato di quello che viene raccontato''.

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