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di Massimo Pisa e Alessandra Ziniti
Milano. Anche a due passi dal Duomo quel papà “imprenditore siciliano che ha detto NO a Cosa nostra” (come si legge nella lettera di invito ad un incontro firmata dalla direttrice di un noto circolo didattico) fa paura. E fa paura soprattutto che i suoi due figli, di sei e sette anni, siedano sui banchi di questa scuola elementare senza che sia presidiata da polizia e carabinieri. Da quasi 15 anni Gianluca Maria Calì va in giro con il giubbotto antiproiettile e la pistola e, quando è in Sicilia, anche su una macchina blindata che si è comprato, ma mai avrebbe pensato di doversi trovare a Milano (dove vive con la moglie e i due bambini) “messo all’angolo” dalle paure dei genitori dei compagni di scuola dei suoi figli. E invece, la rappresentante di classe dei genitori di una prima elementare, alla lettera di invito della direttrice che convocava le famiglie ad un incontro con l’imprenditore antimafia per mercoledì pomeriggio, ha risposto così: «I genitori hanno paura che possa succedere qualcosa di molto serio ai loro bambini. Alcuni stanno pensando di far cambiare scuola ai propri figli perché preoccupati della loro sicurezza, io stessa mi sto interrogando da questa mattina se sia il caso di lasciare che siano i nonni o la tata ad andare a prendere i bambini a scuola, quando la scuola non è più un luogo sicuro». Arrivando persino a proporre questa soluzione: «Siamo rattristati per i piccoli che subiscono l’eredità dei padri... Sarebbe il caso che i bambini in questione uscissero da una porta secondaria e non all’orario canonico e comunque vorremmo tutti maggiori misure di sicurezza perché non ci sentiamo sicuri».
Una presa di distanza alla quale Gianluca Calì ha risposto pubblicando la lettera su Facebook e ricevendo una pioggia di solidarietà e di commenti indignati. «Tutto mi aspettavo tranne che la civilissima Milano potesse reagire così. Non credo che i miei figli debbano pagare lo scotto della già difficilissima situazione in cui vivo da quindici anni seguendo la via della legalità. Non hanno una malattia per cui debbano essere emarginati. Se io e mia moglie abbiamo fatto una scelta, loro sono ancora piccoli e non sono consapevoli anche se l’ultimo dell’anno, dopo quello che è successo un paio di mesi scorsi, ho deciso di dire loro che “ci sono i cattivi che ci vogliono male perché papà li ha denunciati”».
L’episodio a cui fa riferimento Calì è la misteriosa presenza di una Mercedes nera tre mesi fa all’uscita da scuola. Alla guida c’è un uomo che, con accento siciliano, chiede alla baby sitter se quelli sono i figli di Gianluca Calì. La ragazza, con prontezza, risponde di no e porta via i bambini. «Svolgo la mia attività tra la Lombardia e la Sicilia, ma ho deciso di far vivere la mia famiglia a Milano proprio per non esporla ai rischi di un territorio come Bagheria dove, da più di dieci anni, subisco ogni genere di minaccia e di intimidazione per le mie denunce e il mio rifiuto a pagare il pizzo. Presentandosi fino a Milano mi hanno voluto mandare un messaggio chiaro: sappiamo dove sono i tuoi figli, li raggiungiamo quando vogliamo».
Dopo aver denunciato l’episodio ai carabinieri, le forze dell’ordine hanno concordato con i vertici della scuola una vigilanza discreta per le attività che gli alunni svolgono fuori dall’istituto. Da qui la decisione della direttrice di convocare i genitori degli altri bambini ad un incontro con l’imprenditore antiracket. Un invito il cui tono non lascia dubbi sulla solidarietà della scuola a Calì che dice: «Sono sicuro che la maggior parte dei genitori dei bambini sta dalla mia parte, andrò all’incontro pronto a rispondere ad ogni domanda ma non posso accettare che proprio in un contesto scolastico dove i bambini devono essere educati alla solidarietà e alla legalità i miei figli possano vivere situazioni del genere».

La Repubblica

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