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Il rapporto "Finance for War. Finance for Peace" svela i finanziamenti tra il 2020 e il 2022

Tra il 2020 e il 2022 il settore finanziario globale ha investito almeno 1.000 miliardi di dollari per sostenere la produzione e il commercio di armi.
Di questi, quasi mezzo trilione di dollari, più della metà dell'investimento totale stimato nel settore, sono forniti dagli Stati Uniti, mentre 79 miliardi provengono dai primi dieci investitori europei. Le 15 maggiori banche europee, invece, investono in aziende produttrici di armi per un importo pari a 87,72 miliardi di euro. Cifre per altro sottostimate a causa della mancanza di trasparenza nel settore.
Sono numeri che fanno paura quelli documentati dal rapporto "Finance for War. Finance for Peace" che ricostruisce ed evidenzia il ruolo critico del settore finanziario globale nel facilitare i conflitti militari.
"Questo rapporto vuole analizzare il coinvolgimento del settore finanziario nella produzione e nel commercio di armi utilizzate nei conflitti su larga scala, confrontando le politiche e le pratiche delle banche tradizionali con quelle delle banche etiche basate sui valori", ha detto Mauro Meggiolaro di Merian Research, società di consulenza berlinese che ha realizzato il Rapporto commissionato da Fondazione Finanza Etica e Gabv.


Difficili informazioni

Come si diceva i numeri forniti nel rapporto sono una stima prudente del finanziamento globale totale delle armi. Nel rapporto si sottolinea come le informazioni, seppur reperite da fonti affidabili e conosciute, non possono essere complete proprio per le difficoltà nell'ottenere dati anche a causa della mancanza di trasparenza in questo campo.
Non esiste, infatti, un database ufficiale che raccolga tutti gli investimenti, i prestiti e i servizi delle istituzioni finanziarie globali nell'industria delle armi.


Le nuove guerre

I dati evidenziano l'impennata delle quote dei produttori di armi in seguito ai conflitti in Ucraina nel 2022 e in Palestina nel 2023, e mostrano gli incentivi finanziari che stanno dietro ai conflitti generando una economia della distruzione.
Nel 2023 la spesa globale per la difesa è cresciuta del 9%, per raggiungere la cifra record di 2,2 trilioni di dollari. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), le risorse stanziate dai governi, a livello globale, per le forze armate ammontano a 2.240 miliardi di dollari, pari al 2,2% del PIL mondiale. In questo scenario, le banche, come tutto il settore finanziario, sono partecipanti attive: tra il 2020 e il 2022, le istituzioni finanziarie - tra cui le principali banche, le grandi compagnie assicurative, i fondi di investimento, i fondi sovrani, i fondi pensione - hanno sostenuto l'industria della difesa con almeno 1 trilione di dollari.
Guardando alla guerra in Ucraina si mostra come essa abbia gettato una nuova luce sull'industria degli armamenti, in particolare nel Nord del mondo. La lobby degli armamenti e alcune istituzioni finanziarie stanno cogliendo l'occasione per sostenere la tesi secondo cui le aziende del comparto bellico dovrebbero essere incluse nei quadri di investimento ESG. A questo proposito, nel novembre 2023 i ministri della Difesa dell'UE hanno approvato una dichiarazione congiunta sul rafforzamento dell'accesso dell'industria della difesa ai finanziamenti, in nome della sua presunta capacità di contribuire alla pace, alla stabilità e alla sostenibilità in Europa. Così, alcune istituzioni finanziarie che avevano escluso gli armamenti dai loro investimenti, hanno modificato le loro politiche di investimento per accogliere questi sviluppi. Sono a oggi casi isolati, ma dimostrano che l'esclusione delle armi dagli investimenti e dai prestiti non è scontata, nemmeno tra gli investitori sostenibili.


Se gli investimenti fossero nella sanità

Per avere una idea di quanto pesi l'economia della guerra l'International Peace Bureau ha "tradotto" il costo di specifici armamenti in beni e servizi sanitari, dimostrando i potenziali usi alternativi dei fondi destinati alle armi.
Ad esempio, una fregata europea multiruolo (FREMM) vale lo stipendio di 10.662 medici all'anno (media dei Paesi OCSE), un aereo da combattimento F-35 equivale a 3.244 letti di terapia intensiva e un sottomarino nucleare classe Virginia costa quanto 9.180 ambulanze. La metà dei fondi stanziati dai governi a livello globale per le forze armate (oltre 2 miliardi) sarebbe sufficiente a fornire l'assistenza sanitaria di base a tutti gli abitanti del pianeta e a ridurre significativamente le emissioni di gas serra.
Un fenomeno particolarmente allarmante viene inoltre sottolineato nel Rapporto "Finance for War. Finance for Peace": mentre l'esclusione del settore degli armamenti è comune a molti fondi di investimento che si dichiarano "sostenibili", alcune istituzioni finanziarie stanno ora riconsiderando le loro politiche di investimento a seguito della guerra in Ucraina.
Nel novembre 2023, inoltre, i ministri della Difesa dell'UE hanno approvato una dichiarazione congiunta a favore dell'inclusione dell'industria degli armamenti nei quadri di investimento ESG. Al contrario, la visione di una banca basata sui valori, rappresentata dal Gabv, si oppone fermamente al finanziamento della produzione o del commercio di armi. Le 71 banche aderenti al Gabv non hanno alcuna esposizione materiale all'industria delle armi e la maggior parte di esse (73%) adotta politiche esplicite per escludere armi di qualsiasi tipo da prestiti e investimenti.
"La pace è una condizione preliminare per finanziare cambiamenti sociali e ambientali positivi - ha detto Martin Rohner, direttore esecutivo del Gabv - Ecco perché il finanziamento dell'industria delle armi è in contrasto con qualsiasi definizione di finanza sostenibile. Ed è per questo che il movimento bancario basato sui valori ha scelto di non finanziare le armi. Chiediamo all'industria finanziaria di smettere di alimentare la produzione e il commercio di armi. E iniziamo a trarre profitto dalla pace, non dalla guerra". Con questa dichiarazione, la Gabv "si impegna a continuare e intensificare i suoi sforzi per promuovere la pace, in tutte le sue forme, e invita le istituzioni finanziarie di tutto il mondo a seguire il suo esempio e a disinvestire dall'industria delle armi che propaga i conflitti in tutto il mondo".
"La finanza etica in molte aree del mondo, tra cui l'Italia, è nata dai movimenti pacifisti e per il disarmo. Nel 25esimo anno dalla nascita di Banca Etica abbiamo voluto ospitare l'assemblea della Gabv e abbiamo scelto di connotare questo appuntamento con un forte appello per la pace e il disinvestimento dall'industria delle armi", commenta Anna Fasano, presidente di Banca Etica. "Dai tempi della guerra fredda, mai il mondo aveva assistito a una corsa al riarmo come quella che stiamo vivendo. Da ogni parte arrivano spinte per aumentare le spese militari mentre consulenti finanziari in tutto il globo esultano per le impennate dei profitti e dei rendimenti registrate negli ultimi mesi dal comparto bellico. E' nostro dovere incoraggiare persone e istituzioni finanziarie - continua la presidente - a chiedersi fin dove è lecito fare profitti con le catastrofi. L'illusione che un mondo più armato sarà un modo più sicuro e più in pace è smentita dai fatti: alla crescita della spesa militare globale ha sempre corrisposto un aumento dei conflitti. Oggi sentiamo parlare con disinvoltura addirittura del possibile utilizzo di armi nucleari: è un passo indietro che non possiamo accettare. La finanza può cambiare il corso degli eventi e le banche della Gabv sono in prima linea insieme ai milioni di persone e organizzazioni che le hanno scelte per non essere complici di questa deriva", conclude Fasano. Secondo Martin Rohner, direttore generale della Gabv, "la pace è una precondizione per realizzare qualunque cambiamento sociale e ambientale positivo. Ecco perché il finanziamento dell'industria degli armamenti è in contrasto con qualsiasi definizione di finanza sostenibile. Ed è per questo che il movimento bancario basato sui valori ha scelto di non finanziare le armi. Chiediamo al settore finanziario di smettere di alimentare la produzione e il commercio di armamenti. E' tempo di trarre profitto dalla pace, non dalla guerra", ha concluso.
   

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