“I soldati ucraini stanno pregando l’Occidente di porre fine alla guerra perché non ne possono più di andare incontro a morte certa. I giovani ucraini, con pochissime eccezioni, non vogliono più combattere. Si ammutinano o scappano all’estero. Alcuni si procurano delle fratture pur di non andare al fronte. Mi è agevole dimostrarlo, ma devo procedere con ordine”. Così Alessandro Orsini sulle pagine del Fatto Quotidiano.
Il professore e sociologo ha fatto riferimento a tre fatti accaduti negli ultimi giorni. “Il primo è la caduta di Avdiivka, la battaglia più importante della guerra - ha spiegato -. Alcune informazioni su Avdiivka sono necessarie per capire lo scarto tra la visione ideologica della guerra nei salotti italiani e la realtà sul campo”. Il primo ministro ucraino “voleva che i soldati facessero ad Avdiivka la stessa fine di Bakhmut: morire inutilmente pur di rimandare il più possibile la caduta certa della città. Syrskyi, nuovo comandante dell’esercito, era d’accordo. Non a caso, molti soldati lo chiamano il ‘macellaio’. Non perché massacri i russi, ma perché manda al massacro i suoi soldati. Colti dalla disperazione, molti ucraini ad Avdiivka hanno iniziato a scappare per i campi perché il rapporto tra i colpi di artiglieria ucraina e russa era di uno a dieci, come Oleksandr Tarnavskyi, comandante del fronte sud ucraino, ha rivelato al New York Times”. Syrskyi, ha spiegato Orsini, “non ha ordinato la ritirata, ha soltanto preso atto che gli ucraini stavano abbandonando la città”.
Il secondo fatto posto all’attenzione dei lettori dal professore è la caduta di Krynky, pochi giorni dopo Avdiivka, definita da Orsini come “la testa di ponte creata da Kiev nella parte est di Kherson”. In questa città “sono caduti molti dei soldati migliori di Zelensky”. La caduta di Krynky è molto grave per Kiev perché significa che “Zelensky non ha più nemmeno una possibilità su un miliardo di riconquistare la regione di Kherson”. “Quella possibilità non è mai esistita, ma Krynky consentiva alla Nato di raccontare la favola che gli ucraini, partendo da quel pezzo di terra, avrebbero sbaragliato l’esercito russo”, ha sottolineato Orsini. Infine, c’è l’entrata dei soldati russi a Robotyne, riconquistata per metà. Si tratta del “villaggio di Zaporizhzhia espugnato dagli ucraini dopo due mesi di controffensiva”. La sua conquista, ha spiegato Orsini, è costata “una pila di cadaveri ucraini arrivata fino in cielo”.
Il professore, dunque, ha fatto notare come “gli ucraini al fronte sono disperati e non vogliono più combattere” e che “la gran parte dell’esercito sono persone arruolate all’impazzata, prive di quel senso eroico della divisa dei corpi scelti, cui va tutto il mio rispetto. È umano”. Disumano per il professore, invece, è il mainstream che continua a ingannare l’Ucraina al grido di: “Forza, ucraini, combattete fino alla morte!”. “Il problema è che gli ucraini non vogliono più combattere perché hanno capito che la guerra è persa e che la loro situazione peggiorerà con il tempo - ha concluso -. Non hanno mai vinto una sola battaglia frontale. Non c’è mai stata una Bakhmut in favore degli ucraini. Purtroppo, l’Ucraina è un Paese finito; gli ucraini sono spacciati. Questa è la morte di una nazione. Non serve l’osservazione scientifica per capirlo. Serve soltanto un po’ di umanità”.
Foto © Imagoeconomica
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