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Hamas chiede a Israele la scarcerazione anche dei condannati all’ergastolo come Marwan Barghouti, esponente di Fatah

Si accende la possibilità per l’accordo sul cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Il rappresentante di Hamas in Libano, Osama Hamdan, ha dichiarato oggi all'emittente libanese LBC che le richieste principali avanzate dal gruppo palestinese nei negoziati in corso per un accordo con Israele sono il “cessate il fuoco”, e quindi la fine dei combattimenti nella Striscia di Gaza, e il rilascio di migliaia di palestinesi detenuti da Israele, compresi quelli condannati all'ergastolo. Nella sua intervista, Hamdan ha quindi fatto il nome di Marwan Barghouti, esponente di Fatah, arrestato nel 2002 e condannato a cinque ergastoli da Israele per tre attacchi avvenuti durante la Seconda Intifada costati la vita a cinque israeliani. Oltre a Barghouti, Hamdan ha fatto anche il nome di Ahmed Saadat, leader del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, piccola fazione dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Il rappresentante di Hamas ha tenuto a rimarcare che il rilascio dei palestinesi detenuti da Israele è una "causa nazionale, non solo per Hamas".
Nel frattempo, l’assedio incalza e il bilancio delle vittime palestinesi sale. Sono almeno 27.131 il numero delle persone uccise nella Striscia di Gaza dall'inizio della guerra tra i militanti palestinesi e Israele. Lo ha reso noto oggi il ministero della Sanità dell’enclave precisando che questo ultimo bilancio comprende 112 morti nelle ultime 24 ore, mentre il numero delle persone rimaste ferite, sempre dal 7 ottobre, è salito a 66.287. Cento in più rispetto a ieri.


Continuano le pratiche punitive contro i civili di Gaza

Nelle ultime settimane i soldati israeliani hanno iniziato a dare fuoco alle case nella Striscia di Gaza, come da ordini diretti ricevuti dai loro comandanti, senza la necessaria autorizzazione legale. A riportarlo è il quotidiano israeliano Haaretz, secondo cui sarebbero "diverse centinaia" gli edifici distrutti nell'ultimo mese nell'enclave palestinese. "Dopo che la struttura è stata data alle fiamme, insieme a tutto quello che c'è all'interno, viene lasciata bruciare fino a renderla inutilizzabile", ha riferito Haaretz. L'esercito israeliano ha fatto sapere che la distruzione degli edifici viene effettuata solo con mezzi approvati e che qualsiasi azione portata avanti in modo diverso verrà esaminata. Secondo le fonti sentite dal quotidiano, la pratica di dare fuoco alle abitazioni era riservata inizialmente solo a casi specifici, mentre con il proseguire del conflitto è diventata "pratica comune". Di recente, ha aggiunto, sono gli stessi militari che si riprendono sui social media mentre partecipano a questa pratica, in alcuni casi come vendetta per la morte di commilitoni o anche per l'attacco del 7 ottobre. Il diritto internazionale vieta di dare fuoco alle case di civili non combattenti, a mero scopo punitivo, ha sottolineato il quotidiano. Stando a un'analisi delle immagini satellitari pubblicata dalla Bbc, dall'inizio della guerra sono stati danneggiati tra i 144.000 e i 170.000 edifici. Un'indagine pubblicata il mese scorso dal Washington Post ha rivelato che intere aree della Striscia sono state cancellate: a Beit Hanoun, a Jabalya e nel quartiere Al-Karama di Gaza City. Alla fine di dicembre risultavano danneggiate o distrutte anche 350 scuole e circa 170 moschee e chiese.


L’avanzata non si ferma nonostante il possibile “cessate il fuoco”

Nonostante si stia lavorando sull’accordo per il “cessate il fuoco”, su 'X' il ministro israeliano della Difesa Yoav Gallant che ha scritto: "Dobbiamo proseguire fino a RAFAH, non c'è altro modo". L’affermazione ha generato panico tra i palestinesi nella città a sud della Striscia di Gaza. Come evidenziano i media internazionali, Rafah è stata dichiarata "zona sicura" dalle autorità israeliane e al momento ospita 1,9 milioni di persone tra residenti e sfollati, ossia oltre l'80% della popolazione dell'exclave sui 2,3 milioni totali. La città si trova al confine con l'Egitto, ma le persone non sono autorizzate ad uscire. Il valico è impiegato solo per l'ingresso dei camion con gli aiuti umanitari.


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© Imagoeconomica


Gaza confina solo con Israele ed Egitto, mentre a ovest si affaccia sul mare. Quindi resta la questione del divieto per i civili di lasciare la Striscia per mettersi in salvo dal conflitto, su cui né Tel Aviv né Il Cairo hanno raggiunto un accordo. Dall'attacco di Hamas del 7 ottobre nel sud di Israele, che ha causato 1.200 vittime e determinato il sequestro di 240 persone, l'esercito di Tel Aviv ha risposto lanciando un'offensiva prima nel nord della Striscia. Poi, una volta iniziata l'invasione di terra, i reparti delle forze armate sono penetrati sempre più a sud, spingendo di conseguenza la popolazione a spostarsi di continuo per sfuggire ai combattimenti. Tra le oltre 27mila morti palestinesi registrate finora, il 70% sono donne e bambini. Nei giorni scorsi la Corte di giustizia internazionale (Icj) ha ordinato a Israele di "fare tutto quanto in suo potere per proteggere i civili da atti di genocidio". Eppure, nonostante gli incessanti appelli al cessate il fuoco e a proteggere i civili, Gallant - forte del sostegno degli Stati Uniti e di vari paesi occidentali - ha ribadito l'obiettivo di Israele di smantellare i gruppi armati palestinesi: "La brigata di Khan Younis di Hamas è stata dispersa, completeremo la missione proseguendo verso Rafah. La grande pressione che le forze esercitano sugli obiettivi di Hamas ci avvicina più di ogni altra cosa al ritorno dei sequestrati. Continueremo fino alla fine, non c'è altro modo".


A Gaza una situazione catastrofica

La Mezzaluna rossa palestinese ieri sera riportava di un nuovo attacco all'ospedale Al-Amal "per l'undicesimo giorno consecutivo", con "mezzi pesanti che circondano l'edificio" e "spari e colpi d'artiglieria in corso nelle vicinanze". "Un assedio", ha detto l'organizzazione umanitaria, che "pone a serio rischio la vita delle persone". Il personale medico ieri è stato pertanto costretto a seppellire i corpi delle vittime nel cortile della struttura, nell'impossibilità di poter uscire per raggiungere il cimitero. A Khan Younis, area che per giorni è stata obiettivo degli attacchi di Israele, questa mattina sono stati recuperati tra le macerie di un edificio i corpi senza vita di oltre una dozzina di persone, stando a quanto riporta Al Jazeera.
Più in generale le agenzie umanitarie continuano a denunciare la mancanza di cibo, acqua potabile, farmaci e materiali medici nella Striscia. Il taglio dei finanziamenti all'Unrwa da parte di 16 Paesi tra i più sviluppati al mondo - in protesta con le accuse ad alcuni membri dello staff dell'agenzia Onu di aver collaborato all'attacco di Hamas del 7 ottobre - farà terminare le scorte di aiuti alla popolazione entro febbraio. "È difficile immaginare che gli abitanti di Gaza sopravviveranno a questa crisi senza l'Unrwa" ha avvertito Thomas White, direttore degli Affari dell'Unrwa dell’enclave e vicecoordinatore umanitario delle Nazioni Unite per i Territori palestinesi occupati. "Abbiamo ricevuto segnalazioni secondo cui le persone macinano mangime per uccelli per produrre farina". I bisogni per i palestinesi di Gaza, ha concluso, "sono colossali".


Tra ostaggi e prigionieri politici

Domani a Tel Aviv è prevista una grande mobilitazione per la liberazione degli ostaggi. Le famiglie degli ostaggi di Hamas a Gaza hanno lanciato un appello a manifestare domani alle 19,30 sotto lo striscione "120 giorni sotto terra senza aria: gli ostaggi sono in pericolo mortale!". Si ritiene che la maggior parte, se non tutti, gli ostaggi rapiti durante l'attacco del 7 ottobre siano tenuti prigionieri nel labirinto di tunnel di Hamas sotto Gaza. La manifestazione avviene in pieno svolgimento dei negoziati per un nuovo accordo che vedrebbe il rilascio degli ostaggi in cambio di una pausa nei combattimenti o di un “cessate il fuoco” al fine di entrare maggiori aiuti umanitari per Gaza, e del rilascio dei prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.


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Hamas, dal canto suo, sul punto è stato molto chiaro. Osama Hamdan, infatti, ha dichiarato che non è "accettabile" che la proposta in tre fasi presentata da Egitto, Israele, Qatar e Stati Uniti "non includa un cessate il fuoco permanente" nella Striscia di Gaza. Il piano in tre fasi è stato redatto a Parigi negli scorsi giorni dai vertici dell'intelligence di Stati Uniti, Israele, Egitto e dal premier del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani. Secondo fonti palestinesi citate dall'emittente panaraba Al Arabiya, in base al potenziale accordo ogni giorno dovrebbe essere rilasciato un israeliano in cambio di 30 palestinesi e i dettagli della seconda fase saranno negoziati durante l'attuazione della prima. Lo scorso novembre le parti avevano raggiunto un'intesa, a seguito della quale per dieci giorni non ci sono stati scontri e sono stati liberati circa 100 ostaggi in cambio di 300 prigionieri palestinesi.


Israele sempre più solo nello scacchiere geopolitico

Sul fronte internazionale continuano gli attacchi e le critiche per le condotte indiscriminate di Israele. Più di 800 funzionari in servizio negli Stati Uniti e in Europa hanno firmato una dichiarazione in cui si sostiene che Israele non abbia mostrato "alcun limite" nelle sue operazioni militari a Gaza, "che hanno provocato decine di migliaia di morti civili prevenibili", denunciando anche "il blocco deliberato degli aiuti" nell'enclave palestinese che ha messo "migliaia di civili a rischio fame e morte lenta". "Esiste il rischio plausibile che le politiche dei nostri governi stiano contribuendo a gravi violazioni del diritto internazionale, crimini di guerra e persino pulizia etnica o genocidio", si aggiunge nella “Dichiarazione transatlantica”, una copia della quale è stata trasmessa alla Bbc. Secondo i funzionari, le loro amministrazioni rischiano di essere complici di "una delle peggiori catastrofi umane di questo secolo", sottolineando che i loro consigli di esperti sono stati messi da parte. Per l'emittente britannica si tratta dell'ultimo segnale di dissenso significativo all'interno dei governi di alcuni dei principali alleati occidentali di Israele. Uno dei firmatari della dichiarazione, un funzionario del governo americano con più di 25 anni di esperienza nel campo della sicurezza nazionale, ha denunciato alla Bbc il "continuo rigetto" delle loro preoccupazioni. "Le voci di coloro che comprendono la regione e le sue dinamiche non sono state ascoltate", ha spiegato. "Quello che è veramente diverso qui è che non stiamo fallendo nel prevenire qualcosa, siamo attivamente complici. Questo è fondamentalmente diverso da qualsiasi altra situazione che io ricordi", ha aggiunto il funzionario, che ha parlato a condizione di anonimato. La dichiarazione è firmata da funzionari pubblici di Stati Uniti, Ue ed 11 Paesi europei, tra cui Regno Unito, Francia e Germania.


Attacchi indiscriminati anche contro istituti internazionali

Nelle ultime ore, il Belgio ha convocato l'ambasciatore israeliano per condannare l'attacco contro l'agenzia di sviluppo del Paese a Gaza. A renderlo noto è stato il ministero degli Esteri belga informando che il capo della diplomazia Hadja Lahbib e il ministro della Cooperazione allo sviluppo Caroline Gennez hanno incontrato l'ambasciatore israeliano Idit Rosenzweig-Abu a Bruxelles. "I ministri hanno condannato fermamente il bombardamento e la distruzione degli uffici", ha affermato il ministero belga. "La distruzione delle infrastrutture civili è assolutamente inaccettabile e non rispetta il diritto internazionale", ha aggiunto.


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Bruxelles ha affermato che gli uffici di Enabel, l'agenzia belga per lo sviluppo, sono stati distrutti nel nord di Gaza. Un responsabile ha riferito all'Afp che l'edificio è stato bombardato mercoledì e che in quel momento al suo interno non vi erano dipendenti. Le Forze di difesa israeliane hanno affermato che stanno esaminando la questione mentre il ministero degli Esteri israeliano ha confermato che l'ambasciatore è stato convocato e ha informato che sono in corso delle verifiche.

L’Unicef: a 1 milione di bambini serve aiuto psicosociale

"L'Unicef stima che almeno 17mila bambini nella Striscia di GAZA siano non accompagnati o separati, pari all'1% della popolazione sfollata complessiva, 1,7 milioni di persone. Ognuno rappresenta una storia straziante e la loro salute mentale è gravemente compromessa: stimiamo che quasi tutti abbiano bisogno di supporto, ossia più di 1 milione di bambini". La dichiarazione giunge dal responsabile della Comunicazione del Fondo Onu per l'Infanzia e l'adolescenza per lo Stato della Palestina, Jonathan Crickx, durante la conferenza stampa odierna al Palazzo delle Nazioni di Ginevra. Crickx chiarisce: "Naturalmente si tratta di una stima, poiché è quasi impossibile raccogliere e verificare le informazioni nelle attuali condizioni di sicurezza e umanitarie". Il responsabile è tornato da Gaza in settimana: "Ho incontrato diversi bambini, ognuno con la propria storia devastante. Dei 12 bambini che ho intervistato, più della metà aveva perso un membro della famiglia in questa guerra, tre avevano perso un genitore, di questi, due avevano perso entrambi. Dietro ognuna di queste statistiche c'è un bambino che sta facendo i conti con questa nuova terribile realtà". Crickx riporta la storia di Razan, 11 anni, che "era a casa dello zio quando è stata bombardata nelle prime settimane di guerra: ha perso quasi tutti i membri della sua famiglia, tra cui madre, padre, fratello e due sorelle. È sotto shock e ogni volta che ricorda quegli eventi, scoppia a piangere ed è stremata". La condizione di Razan è ancora particolarmente stressante perché nell'attacco "ha subito l'amputazione della gamba. La sua mobilità è gravemente compromessa e i servizi di supporto specializzato e di riabilitazione non sono disponibili". La ferita inoltre "si è infettata. Gli zii si prendendo cura di lei, e sono tutti sfollati a Rafah". In un centro in cui vengono ospitati e assistiti i bambini non accompagnati, il responsabile ha visto anche due bambini di 6 e 4 anni: "Sono cugini e le loro rispettive famiglie sono state interamente uccise nella prima metà di dicembre. La bambina di quattro anni, in particolare, è ancora sotto shock". Gli incontri, aggiunge il responsabile della Comunicazione di Unicef, sono avvenuti a Rafah, città a sud della Striscia dove si stanno concentrando gli sfollati: "Temiamo che la situazione dei bambini che hanno perso i genitori sia molto peggiore nel Nord e nel Centro. Durante un conflitto, è comune che le famiglie allargate si prendano cura dei bambini che hanno perso i genitori. Ma attualmente, a causa della forte mancanza di cibo, acqua o rifugi, ogni famiglia è sotto stress e prendersi immediatamente cura di un altro bambino, mentre si lotta per provvedere ai propri figli, è difficile". In queste situazioni, conclude Crickx, "l'assistenza deve essere resa disponibile su larga scala, mantenendo i bambini in contatto con le loro famiglie, o aiutandoli a rintracciarle, in modo che possano essere riunite". Il responsabile conclude: "Prima di questa guerra l'Unicef stimava che a Gaza più di 500mila bambini avessero bisogno di un supporto psicosociale e per la salute mentale. Oggi, stimiamo che quasi tutti abbiano bisogno di supporto, ossia più di 1 milione di bambini", minori che "non hanno nulla a che fare con questo conflitto". L'Unicef e i suoi partner "hanno fornito supporto per la salute mentale e psicosociale a oltre 40mila bambini e 10mila persone che se ne prendono cura dall'inizio del conflitto".

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