L'ex procuratrice del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (TPIJ) risponde a Repubblica
La Corte Internazionale di Giustizia "dopo l'istanza del Sudafrica doveva esprimersi sul genocidio", ma "non ci si poteva aspettare un verdetto diverso da quello emanato". L'ex procuratrice del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (TPIJ) Carla Del Ponte commenta così a laRepubblica la timida sentenza con cui ieri l'Aja ha detto che “Israele può aver commesso atti di genocidio”, astenendosi però dal proclamare un "cessate il fuoco". Una decisione che ha mostrato le diverse anime che caratterizzano la Corte. L’ordinanza spiega Del Ponte, "contiene delle indicazioni di comportamento per Israele nella Striscia di Gaza. Sono indicazioni persino prive di un carattere costruttivo". E Israele "può ignorarle o criticarle, proprio come ha già fatto".
In sostanza ieri la ICJ ha "ammesso il diritto di Israele di combattere nell'enclave, rispettando però tutte le misure che sono indicate nell'ordinanza e seguendo le rigide regole della Convenzione sul genocidio". Dopo questa ordinanza, dunque, Israele "dovrebbe prendere le misure in suo potere per prevenire nei Territori palestinesi la commissione degli atti indiati nell'articolo due della stessa Convenzione", ha aggiunto la Del Ponte riferendosi alla "Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio", nota come UN Genocide Convenntion.
Stando all’art. 2 recita, "si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religiose, come tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all'interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro".
È un monito, un avvertimento quello lanciato dall'Aja ieri mattina. "Sta avvisando Israele della necessità di prendere tutte le misure necessarie per evitare che i suoi militari commettano gli atti che configurano questo gravissimo crimine". L’accusa, dunque, non è diretta allo Stato di Israele, ha spiegato l'ex procuratrice, "la richiama all'ordine sull'obbligo di non tenere comportamenti che, di per sé, configurerebbero questo delitto". "Non era nei poteri della Corte di condannare Israele per aver commesso genocidio - ha aggiunto -. La Corte internazionale di giustizia dell'Aja ha verificato se la Convenzione sul genocidio è stata applicata o no". Quindi non un'accusa, ma una messa in guardia.
In merito alle dichiarazioni del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant - secondo cui la Corte non avrebbe nemmeno dovuto accettare la richiesta "antisemita del Sudafrica” - Carla Del Ponte non è d'accordo. "Non è affatto così, perché la legge è uguale per tutti, come i giudici dicono espressamente e con estrema chiarezza nell'ordinanza - ha detto -. Così come affrontano il tema dell'indispensabile assistenza umanitaria, riferendosi espressamente alle terribili condizioni in cui stanno vivendo i palestinesi nella Striscia di Gaza".
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