A Palermo il dibattito su “Lo Stato profondo” con Scarpinato e l’archivista Ilaria Moroni: “Negli archivi di Stato mancano carte, non c'è volontà politica di versarle”
“La storia di questa repubblica, che è una storia giovane di circa 80 anni, ha visto un percorso estremamente travagliato, quindi chiederci oggi dove va la nostra democrazia è fondamentale. La storia ci serve perché ci definisce e rappresenta meglio quello che sta avvenendo in questo momento. Se guardiamo il presente attraverso la storia lo capiamo meglio”. A dirlo è Stefania Limiti, giornalista e scrittrice, intervenuta al dibattito dal titolo "Lo Stato profondo" organizzato dal Coordinamento Sociale Antimafia di Palermo insieme all’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato e all’archivista Ilaria Moroni, direttrice dell’Archivio Flamigni. L’autrice del libro di recente uscita, “L’estate del golpe” (ed. Chiarelettere), ha fatto una disamina della strategia della tensione collegata ai movimenti eversivi di destra e all’influenza della loggia P2. Una ricostruzione storica che arriva fino ai giorni nostri con la destra di nuovo al governo.
“Noi abbiamo avuto una violenza stragista che non ha avuto eguali in tutti gli altri paesi europei, una mafia e una massoneria che si sono impossessate dello Stato, abbiamo avuto anni in cui i vertici dello Stato erano nominati direttamente da un clan massonico, i vertici mafiosi riuscivano a stabilire le condizioni della loro protezione e i favori che dovevano dare in cambio”, ha ricordato la relatrice.
“L’infiltrazione illegale dello Stato è stata estremamente pervasiva e perversa”, ha affermato Stefania Limiti. “E ci ha reso estremamente fragili”. “Nel nostro paese c’è un conflitto non risolto che riguarda ancora i giorni nostri. Ed è un conflitto tra un paese che cerca di muoversi, modernizzarsi e acquistare diritti e un blocco di destra reazionario ed estremamente variegato che nell’arco degli anni ha modificato facce e metodi. Per cui noi abbiamo un album di famiglia della destra che è molto composito. Dentro - ha spiegato Stefania Limiti - troviamo stragisti, presidenzialisti, mafiosi, massoni, atlantisti. E’ una destra estremamente variegata ma questo blocco di destra ha due caratteristiche fondamentali”. Secondo la scrittrice, la prima caratteristica è l’incostituzionalità di questo blocco. “E’ sempre stato profondamente anticostituzionale e dal ’48 ad oggi l’obiettivo di questo blocco è sempre stato quello di fare a pezzi la nostra Costituzione anche attraverso la violenza stragista”, ha spiegato la giornalista.
Limiti ha quindi ricordato che “l’idea era rompere l’ordine costituzionale, arrivare allo Stato d’emergenza, definire nuove regole e indire nuove elezioni, dopo aver sospeso le regole democratiche, per ottenere la messa fuori legge del Partito Comunista che era il partito più grande dell’opposizione”. L’altra caratteristica, “è che questo blocco è stato contrastato, per fortuna abbiamo avuto molti anticorpi, ma non è stato sconfitto”. “E forse la destra di oggi è figlia esattamente di quel blocco e continua imperterrito”. Oggi, secondo Stefania Limiti, “si ha l’dea che in Italia ci sia una prima Repubblica che finisce nel 1992 e che poi dopo sia successo qualcos’altro. Quello che tengo a dire - ha precisato - è che poi con il ventennio berlusconiano c’è stata una grande sottovalutazione, si tende a dire che tutto sommato è stato un periodo in cui c’è stato un continuum con gli anni precedenti della democrazia cristiana tant’è vero che la classe politica del tempo non ha avuto il coraggio di fare una legge sul conflitto di interessi che ci poteva mettere al riparo da nuovi Tycoon. Ma è in quel momento che la destra ha mantenuto e rafforzato un’egemonia che forse noi non vediamo, oppure vogliamo pensare che una donna ammazzata al giorno non sia frutto anche di quella cultura lì? Di quella mercificazione estrema dei corpi delle donne, utilizzata e messa in mostra da Berlusconi e dalla sua corte attraverso la sua televisione. Così come ha in parte sdoganato l’accettazione di un certo livello di illegalità accettabile”. La storia, ha riassunto Stefania Limiti, “purtroppo non basta ma ci definisce, allora se noi ci guardiamo indietro vediamo che noi siamo dentro un nuovo attacco profondo alla nostra costituzione”. Secondo la scrittrice, infatti, questo è “un momento assolutamente particolare per la nostra democrazia. Ci dobbiamo chiedere se la nostra democrazia sia a rischio. Questa è l’immagine di una destra che ha tentato l’assalto alla costituzione dall’inizio della storia della Repubblica. Ha sfondato molte porte”. La scrittrice si è auspicata quindi che “questi coordinamenti fungano come anticorpi di resistenza perché ne avremo un gran bisogno”.
Gli archivi di Stato e le carte non versate
Quindi è stato il turno di Ilaria Moroni, autrice del libro “Quel 16 marzo 1978” (Bliblion edizioni), che ha raccontato al pubblico dello spazio NOZ (Nuove Officine Zisa), dei Cantieri Culturali alla Zisa, lo stato dell’arte dei vari archivi di Stato presenti su tutto il territorio italiano che, a detta della direttrice dell’archivio Flamigni, presentano “buchi” in termini di versamenti di carte e documenti. “Nel 2005 iniziai il primo censimento delle fonti su mafia, terrorismo, violenza politica in Italia e già in quell’occasione mi resi conto come non c’erano le carte. Mancavano i documenti”.
“Lo Stato - ha spiegato al pubblico in sala la relatrice - produce documenti e dopo tot anni li dà all’archivio centrale dello Stato e agli archivi di stato, che sono sempre amministrazione dello Stato, e ciò consente a noi cittadini di poter avere accesso alla documentazione”. Tuttavia, ha affermato l’ospite, su mafia, terrorismo, stragi e delitti eccellenti “questo filo si è interrotto”. Ossia “le amministrazioni dello Stato, in alcuni casi parliamo di blocchi che non vengono versati dagli anni ’40 e ’50, il gabinetto della presidenza del Consiglio dei Ministri, il ministero dei Trasporti, il ministero della Difesa, non hanno versato le loro carte, che sono carte di tutti gli archivi di Stato sul territorio. Questo significa che uno storico o un giornalista o un cittadino che vuole approfondire non può avere accesso a queste carte”, ha ribadito la direttrice.
Ilaria Moroni ha pertanto ricordato che “la vigilanza democratica, soprattutto delle associazioni dei familiari, in questi anni ha fatto si che si arrivasse all’emanazione di alcune direttive (di declassificazione e versamenti di documenti, ndr). “Ce ne sono state tre di tre presidenti del consiglio: Prodi, Renzi e Draghi”. I tre premier hanno emanato delle direttive di declassificazione della documentazione. “Prodi la fece nel 2008 sui documenti relativi al caso Moro, poi venne Renzi nel 2014 che invitò - che non significa ordinò - a versare documentazione dal 1969, strage di Piazza Fontana, al 1984, strage del Rapido 904 all’archivio centrale dello Stato e agli archivi sul territorio”, ha ricordato Ilaria Moroni. “Io fortunatamente o sfortunatamente faccio parte di questa commissione inutile che vigila su queste operazione di declassificazione, dico inutile perché non abbiamo nessun potere inquisitorio. A questo tavolo dove siedono, magistrati, archivisti, esperti e storici e sostanzialmente dopo i primi versamenti relativi alle stragi dove i servizi, soprattutto, il Dis, avevano fatto moltissimi versamenti. All’interno di questi ci sono tanti ritagli di stampa, tanti ritagli di uffici, ma i documenti più significativi sono tutti cancellati. Mancano i nomi, le date, le firme. Quindi abbiamo iniziato a intervenire su questi omissis”, ha detto l’archivista sottolineando la contraddizione del presidente del Consiglio Renzi che “aveva detto che bisognava versare tutta la documentazione che il nostro Paese conserva sulle stragi”. Ma le stragi, ha osservato la Moroni, “hanno colpito tutto il nostro paese e anche le istituzioni” pertanto, questiona Moroni, dovrebbero interessare le istituzioni stesse che sono state prese di mira dalle organizzazioni criminali.
“La trasparenza non riguarda solo chi è stato colpito, non solo i familiari delle vittime hanno diritto alla verità, noi ne abbiamo diritto come Paese, perché le stragi colpiscono tutti”. Tuttavia. ha osservato la relatrice al dibattito, “in dieci anni quello che ho visto è stata una non-volontà politica di attuare queste direttive che tra l’altro non servivano perché la legge prevede già che questa documentazione venga versata”. La direttiva, infatti, è una sollecitazione ad attuare ciò che normalmente dovrebbe essere attuato.
Quindi Moroni si è rivolta al pubblico “pensate alle stragi di terrorismo avvenute nel nostro paese, Bologna, Italicus, 904, senza pensare a tutte le bombe sui treni che non hanno fatto morti che preparavano alla strage di piazza Fontana, voi credete che il ministero dei trasporti abbia documentazione su questo? Sicuramente si, anche solo scambi tra uffici”, ha affermato Moroni. “Ebbene non esiste, nei versamenti, documentazione coeva alle stragi. Se non si versa non significa che non sia stata prodotta, ma che si sta nascondendo. L’occultamento dei documenti è un depistaggio che negli anni si riversa sulle indagini giudiziarie perché quando mancano le carte i magistrati non possono fare i processi”.
E ancora. “Il problema è che non abbiamo contezza di dove siano stati messi gli archivi del nostro Stato e questo è un problema enorme che si ripercuoterà nel nostro futuro e nella ricostruzione storiografica di quanto accaduto. Quando scompaiono dei documenti lasciano delle tracce. I buchi parlano, c’è un'omissione, c’è un depistaggio. E chi detiene i documenti li usa per un motivo ed è sempre un motivo di ricatto”.
Secondo Ilaria Moroni, “il problema più grande che abbiamo in relazione alla vigilanza democratica e alla retorica che abbiamo su questi fatti, è che non si sa nulla o che sia difficile arrivare alla verità su queste vicende, io invece credo che ce ne stia tantissima di verità. Io credo che sappiamo benissimo che le stragi in Italia sono state di matrice neo-fascista. Possiamo parlare, in modo consapevole, di quello che è accaduto nel nostro paese e di come la nostra Costituzione sia stata messa a rischio da un filo di potere che è ancora radicato nel nostro paese ma che è però riconoscibile da chi vuole fare ricerca in modo serio e anche da chi politicamente vuole individuarlo”.
Foto © Emanuele Di Stefano
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