Il Pg di Cagliari in Commissione antimafia smentisce la "versione Mori"

Da mesi la Commissione parlamentare antimafia è impegnata in una serie di audizioni per ricostruire le vicende che ruotano attorno all'inchiesta "mafia-appalti", cioè il dossier che negli anni Novanta il Ros stilò sui rapporti tra Cosa nostra, l’imprenditoria e la politica.

Un'inchiesta che fu anche oggetto di prova in diversi processi sulla stagione delle stragi (da quella su via d’Amelio al processo trattativa Stato-mafia) e che viene indicato, in particolare dai contestatori del processo trattativa Stato-mafia (a cominciare dalle difese di Mori, Subranni e De Donno, per poi seguire con alcuni familiari vittime di mafia), come il “motivo principe” dell’accelerazione che portò alla strage del 19 luglio 1992.

Lo ha ribadito in una recente intervista all'Huffington post il generale Mario Mori (imputato e poi assolto nel processo Stato-mafia "per non aver commesso il fatto").

"Giovanni Falcone era il nemico numero uno della mafia e prima o poi lo avrebbero ucciso. Borsellino, invece, è morto per mafia-appalti" ha detto senza mezzi termini.

Noi in più occasioni abbiamo spiegato i motivi per cui, analizzando i fatti, a nostro avviso quell'inchiesta non è sufficiente a spiegare i motivi della morte di Borsellino o il depistaggio che successivamente si è consumato attorno alla strage, ma in questa intervista c'è un altro aspetto che merita di essere approfondito anche alla luce della recente testimonianza del Procuratore generale di Cagliari, Luigi Patronaggio, proprio davanti alla Commissione parlamentare antimafia.

Mori, nell'intervista, parla di una famosa riunione che si tenne in Procura il 14 luglio 1992. Una data "chiave" per i tanti detrattori perché un giorno prima all'assemblea era stata richiesta l’archiviazione di uno stralcio dell’indagine che riguardava 13 persone, poi accolta il 20 luglio 1992, e il giudice (che saltò poi in aria il 19 luglio assieme agli agenti della scorta) chiese informazioni proprio sullo stato delle indagini.

Sostiene Mori che "nella riunione della direzione distrettuale antimafia di Palermo del 14 luglio cinque giorni prima della sua morte, chiede conto della mancata considerazione di mafia appalti. E fa notare che agli atti manca una sua indagine sugli appalti a Pantelleria, che avrebbe potuto confermare il contenuto della nostra informativa. Nessuno gli dice che il giorno prima i due sostituti procuratori Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato avevano chiesto l’archiviazione del dossier".


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Al centro, il generale dei carabinieri Mario Mori

Il racconto di Patronaggio

Questa ricostruzione è stata sonoramente smentita proprio dal Procuratore generale di Cagliari Patronaggio, rispondendo proprio ad una domanda della Presidente Chiara Colosimo.

"Io sono venuto a conoscenza della richiesta di archiviazione del rapporto del Ros proprio in quell'occasione - ha ricordato Patronaggio - Prima non lo sapevo tra l'altro c'erano gruppi di lavoro diversi, non facevo parte di quel gruppo di lavoro per cui non potevo saperlo, ne venni a conoscenza proprio in quella sede".

E poi ancora ha aggiunto: "Non ricordo, e anzi lo escluderei, che avesse detto (Borsellino) di attendere per l'archiviazione in attesa di sentire Messina e Mutolo. Mi sentirei di escluderlo, assolutamente. Così come non ricordo chi disse di rinviare la discussione". E poi ancora rispondendo ad un altro Commissario: "Per quanto riguarda la richiesta di Borsellino di rinviare la discussione ad altra data, devo dire la verità, non la posso né escludere ma neanche confermare, perché comunque la decisione di archiviazione era stata già presa, era stata già firmata l'archiviazione, per cui non so quanto potesse giovare un rinvio. Se lei mi vuole dire che Borsellino tentò di fermare l'archiviazione, le dico no, assolutamente no, su questo posso essere categorico".

Nella sua testimonianza Patronaggio ha raccontato le modalità di quell'incontro che vedeva proprio tra i punti dell'ordine del giorno la relazione sull'inchiesta.

Infatti al tempo, a partire dalla pubblicazione dei diari di Falcone (24 giugno 1992), era scoppiata una forte campagna sulla stampa in cui si diffondeva il sospetto o l'accusa che alla Procura di Palermo si manipolassero o si insabbiassero le indagini più delicate, come quelle che potevano coinvolgere esponenti politici, le loro collusioni con Cosa nostra, o ancora non si andasse a fondo nelle inchieste mirate alla cattura dei più pericolosi latitanti.

Di fatto sui giornali vennero pubblicati stralci di intercettazioni, alcuni anche riguardanti l'ex ministro Mannino. Una vera e propria fuga di notizie che fece esplodere enormi polemiche.

Ma perché in quel 14 luglio non si sarebbe parlato di politici presenti nell'inchiesta?

Il motivo, forse, è più semplice di quanto sembri: nel rapporto del Ros originario, quello del 20 febbraio 1991, i nomi di politici come Calogero Mannino, Salvo Lima e Rosario Nicolosi, non c'erano. Nomi che invece comparirono il 5 settembre del ’92, un anno e mezzo dopo il deposito della prima informativa, con espliciti riferimenti.

Dal '91 al '92 una doppia informativa

Anche l'esistenza di una doppia informativa viene messa sempre in dubbio dai detrattori dei magistrati della Procura di Palermo.

Eppure ne dà espressamente atto la relazione redatta dall’allora Procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli, datata 5 giugno ’98, dal titolo alquanto esplicito: “Relazione sulle modalità di svolgimento delle indagini-mafia-appalti negli anni 1989 e seguenti”.

In quel documento si dimostra come una prima versione del rapporto del ROS venne depositata alla Procura di Palermo priva del nome di politici.

Chi sostiene che la doppia informativa non sia mai esistita utilizza il decreto di archiviazione del Gip di Caltanissetta Gilda Loforti sulle fughe di notizie sul dossier “mafia e appalti”.


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L'intervento di Luigi Patronaggio in Comm. Antimafia


Si scorda sempre, però, che nelle motivazioni della sentenza d'appello sulla trattativa Stato-mafia, divenuta definitiva dopo che la Cassazione ha assolto definitivamente gli imputati istituzionali “per non aver commesso il fatto”, i giudici bacchettano proprio l'ordinanza Loforti, ritenuta “frettolosa e sommaria”, per poi evidenziare le “omissioni assai significative” compiute dal Ros.

I giudici non nascondono le doglianze e le perplessità espresse in quell'assemblea: "Borsellino tenne un atteggiamento che non tradiva affatto sfiducia e diffidenza nei confronti dell'operato dei colleghi titolari del procedimento, ma, al contrario denotava la volontà di aprire un confronto sincero sul tema in discussione, come aperte e trasparenti furono le critiche e le perplessità e le richieste di chiarimenti esternate in quella sede (nell'assemblea in Procura del 14 luglio 1992 ndr)".

L'unico dettaglio "nuovo" che Patronaggio ha offerto rispetto all'audizione davanti al Csm nel 1992 è che in quell'assemblea si fece riferimento esplicito alla richiesta di archiviazione.

Ma è chiaro, leggendo gli atti, che quel dettaglio non fu ritenuto decisivo, al tempo, da chi poneva le domande. Tanto che l'argomento mafia-appalti era proprio all'ordine del giorno.

Sempre nelle motivazioni della sentenza della Corte d'assise d'appello di Palermo sulla trattativa Stato-mafia si mettono in evidenza anche le spiegazioni che furono date a Borsellino sul perché, nel fascicolo a carico di Siino ed altri alcuni documenti fossero assenti.

In riferimento agli appalti a Pantelleria, di cui Mori parla nella sua intervista, i giudici ricordano la testimonianza di Giuseppe Pignatone il quale aveva riferito delle interlocuzioni tra la Procura di Palermo e quella di Marsala, indicando i motivi per cui quelle carte non erano presenti, che riguardavano più le necessità d'indagine di Marsala stessa, che non Palermo.

Certo è la questione mafia-appalti non si semplifica in un'archiviazione di un filone nel luglio 1992. E al tempo l'operato del Ros non fu così limpido e certosino come diversamente si vorrebbe far credere.

Perché, dunque, oggi si insiste a gettare fango sui magistrati che portarono avanti quelle indagini?

Perché si punta il dito contro chi, come l'ex Procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, decise di esporsi in primissima persona con la redazione della lettera firmata da altri sette componenti della DDA di Palermo (Ignazio De Francisci, Giovanni Ilarda, Antonio Ingroia, Alfredo Morvillo, Antonio Napoli, Teresa Principato e Vittorio Teresi) in cui si diceva, in sostanza, che il Procuratore capo Giammanco non poteva restare alla procura della Repubblica?

Quel “documento molto coraggioso”, così come lo ha definito lo stesso Patronaggio in audizione all'Antimafia, mostra chiaramente la posizione che veniva assunta.

Eppure ciò non viene mai ricordato dai detrattori (o forse si dovrebbe dire i “vendicatori” se si vuole dar retta alle parole dette da Mario Mori in più occasioni).

Così si procede nascondendo i fatti o omettendo particolari di rilievo. Un'opera che è sempre stata messa in atto dai Mori di turno nel corso degli anni.


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Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Pietro Giammanco © Shobha

Silenzi e nascondimenti

Un esempio può essere il contenuto dell'incontro che Borsellino tenne con gli ufficiali del Ros il 25 giugno del 1992.

Un'altra data ritenuta centrale nello sviluppo del racconto con cui far credere che dietro "mafia-appalti" si nasconda il motivo della morte di Borsellino.

Se davvero era così rilevante quell'incontro come mai Mori e De Donno nulla dissero ai magistrati che si occupavano della strage?

Un silenzio che durò fino al 1997 quando si pente Angelo Siino, “ministro dei lavori pubblici” di Cosa nostra, portando con sé anche la polemica sul famoso rapporto mafia-appalti.

Un appunto che la stessa Gilda Loforti, nella sua ordinanza, fa ai militari.

“Non può - in primo luogo - non osservarsi come sorprenda che sia il Maggiore De Donno che il Generale Mori abbiano riferito di questo singolare incontro presso la caserma Carini, solamente a distanza di anni (tra la fine del 1997 e gli inizi del 1998, secondo quanto riferito da De Donno innanzi alla locale Corte d'Assise), e non con immediata tempestività come avrebbe dovuto, al contrario, suggerire la loro veste istituzionale, tenuto conto che, ad appena qualche settimana da quell’incontro, era stata consumata in Italia, a meno di due mesi di distanza da quella di Capaci, la seconda tra le stragi più efferate, e tutti gli organi investigativi erano alla ricerca di qualsiasi elemento di conoscenza che potesse rappresentare un utile spunto d’indagine per la individuazione degli esecutori e dei mandanti, sia palesi che occulti”.

Forse hanno taciuto perché l'oggetto di quell'incontro riguardava altro? Probabile, come diversamente testimoniò il tenente Carmelo Canale, ex braccio destro del giudice Borsellino.

E' lui, sentito nel processo Borsellino quater, ad aver spiegato che quell'incontro sarebbe stato voluto da Borsellino per discutere di altro: l'anonimo conosciuto come "Corvo 2". Una lunga lettera indirizzata, tra gli altri anche al magistrato, in cui si accennava a una sorta di trattativa che l’ex ministro Calogero Mannino avrebbe avviato con il boss Totò Riina. Anche su questo documento Borsellino stava cercando di far chiarezza in quei 57 giorni che separano Capaci da via d'Amelio.

Ma questa è un'altra storia.





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