Cuffaro e Forza Italia portano a processo membri del gruppo per “diffamazione”. Il 17 gennaio l’udienza preliminare
È passato più di un anno da quando Palermo, per un lungo periodo, si svegliava la mattina con manifesti satirici nei confronti della politica locale. “Forza mafia” (con chiaro riferimento al logo del partito di Silvio Berlusconi) e “Make mafia great again” (con un logo simile alla DC di Totò Cuffaro). Sono solo alcuni degli slogan realizzati grazie alla subvertising, o sovversione: una tecnica molto diffusa negli Stati Uniti con cui falsificare o parodiare pubblicità aziendali e politiche per trasmettere un messaggio diverso dall’originale. La città era in piena campagna elettorale per le elezioni comunali e, tra i candidati, c’era anche l’attuale sindaco Roberto Lagalla fortemente caldeggiato da soggetti condannati per reati di mafia. Da un lato Marcello Dell’Utri, ex braccio destro del “Cavaliere” nonché soggetto condannato per concorso esterno in associazione mafiosa; dall’altro, invece, quel “Vasa vasa” di Totò Cuffaro, condannato per favoreggiamento. Entrambi pena scontata.
La satira era chiaramente rivolta ai due pregiudicati che, dopo tanti anni, erano tornati a influenzare la politica palermitana. I manifesti alimentavano la spaccatura che si era creata tra un certo tipo di antimafia e la classe dirigente in lista per le amministrative. Maria Falcone, sorella di Giovanni e presidente dell’omonima Fondazione, aprì uno scontro forte con Lagalla, salvo poi riappacificarsi, proprio per la presenza di Cuffaro e Dell’Utri dietro di lui. Il tutto in un anno senza eguali: il trentennale dalle stragi mafiose di Capaci e di via d’Amelio che hanno stravolto per sempre Palermo e l’Italia intera. Le commemorazioni acuirono fortemente il peso della questione morale. La stessa che, proprio per l’ombra di Dell’Utri e Cuffaro nella corsa a Palazzo delle Aquile, era stata compromessa.
Un anno dopo, i diretti interessati dalla satira non si sono arresi all’idea di “farla passare liscia”, per usare un termine colloquiale, a coloro che hanno osato attacchinare in giro per la città manifesti dal contenuto a loro dire “diffamatorio”. Anche se il “Collettivo Offline” non riuscì ad impedire l’elezione di Roberto Lagalla, i manifesti sollevarono una polemica durata mesi. Tutta la stampa italiana era diventata di colpo attenta alle amministrative di Palermo. E fu proprio in quel momento che scattarono le prime minacce di querele. Dagli atti giudiziari che ANTIMAFIADuemila ha potuto visionare, siamo in grado di dire che ne maturò un procedimento a cui, poco dopo, fece seguito la richiesta di archiviazione. Per il Sostituto Procuratore Eugenio Feletra, pur riconoscendo una "diretta associazione" tra i partiti e la mafia, “appare evidente il confine labile che intercorre tra una condotta tipica e antigiuridica di diffamazione rispetto ad una condotta suscettibile di essere scriminata dall’esimente dell’esercizio del diritto di critica politica e storica”. Tradotto: quei manifesti fotografavano fatti realmente accadduti attraverso la satira e per questo non querelabili.
Parole inaccettabili per l’avvocato Marco Traina, difensore di fiducia di Salvatore Cuffaro, il quale, ad agosto, si è opposto alla richiesta di archiviazione. Da qui l’udienza in camera di consiglio nei confronti di due indagati - secondo l’accusa entrambi appartenenti al “Collettivo Offline” - attesa il 17 gennaio presso il Nuovo Palazzo di Giustizia di Palermo. Per capire come si è arrivati a questo punto, qualche settimana fa abbiamo intervistato uno dei fondatori del “Collettivo Offline” che non nomineremo (come richiesto) per tutelarne l’anonimato.
Totò Cuffaro © Deb Photo
Quanti siete dentro al “Collettivo Offline”?
Del Collettivo inizialmente eravamo in sei. Ora siamo rimasti in due. Due persone sono andate a vivere fuori Palermo e altre due, dopo le denunce, ci hanno detto che non se la sentivano di continuare questo percorso. Avevano paura di essere interessati da denunce anche loro. Così siamo rimasti io, che sono il fondatore, e un’altra ragazza.
Cosa ti ha spinto ad avere questa idea?
Ho sempre fatto satira contro la mafia. Nella mia vita ne ho ingoiate di ogni e mai avrei pensato di fare questa operazione di attacchinaggio. Ma credimi che vedere nel mese del trentennale delle stragi Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri scegliere il sindaco di Palermo è stato inaccettabile. Ero davanti al televisore e ho detto: “Basta, è troppo. Non ce la faccio”. Presi un po’ di soldi pronto per andarmene in Indonesia.
E sei partito?
No, ho preferito fare qualcosa. Reagire, dire la mia, la nostra. E così ho dato vita al “Collettivo Offline”. Ho deciso di usare quei soldi così: attaccando manifesti e facendo ridere a tutti.
Perché hai scelto questo nome?
Il collettivo si chiama “Offline” perché noi non abbiamo una pagina social. Eppure (ride, ndr), quando abbiamo realizzato i manifesti viaggiavano in rete in un modo che non ci saremmo mai aspettati. Erano diventati virali. Dopo la prima e la seconda uscita iniziarono a cercarci tutti, soprattutto televisioni e giornali, perché ogni volta che venivano pubblicate foto dei nostri manifesti sui social raggiungevano sempre il picco.
A chi ti sei ispirato in questo?
Banksy. Esiste solo tramite le sue opere, ma non si sa chi sia.
Le vostre grafiche hanno fatto molto discutere.
Si, lo sappiamo. C’era chi ci diceva “cornuti e bastardi” e chi, invece, ci incoraggiava. Ad ogni modo creavi un’interazione sui social.
Molte persone vi hanno criticato fortemente?
Tutta pubblicità. Quei manifesti sono stati pubblicati ovunque, pure negli Stati Uniti ne hanno dato notizia.
Marcello Dell'Utri © Imagoeconomica
Qual è stata l’idea di fondo che ha caratterizzato le vostre attività?
La base del “Collettivo Offline” è sempre la stessa: un messaggio chiaro che fa ridere. La comunicazione deve essere intuitiva e istantanea. Appena guardi il manifesto a primo impatto rimani scioccato e poi ridi. Voi ci fate la “tagliata di faccia” nel trentennale delle stragi scegliendo il sindaco? Allora noi vi facciamo deridere dalle persone. Ho studiato subvertising. Abbiamo preso quest’arte dagli Stati Uniti e l’abbiamo adattata alla satira politica.
Quale fu il primo manifesto che avete attacchinato?
La prima uscita che abbiamo fatto fu quando Cuffaro al Politeama presentò le liste. In quell’occasione si mise a piangere e disse di aver sbagliato. Noi la sera stessa abbiamo fatto la prima uscita. In Piazza Verdi, davanti al Teatro Massimo, alle prime luci del mattino ci sarebbe stata una gara. Una corsa che si fa ogni anno il 21 maggio. Quando intorno alle sei del mattino mi recai in piazza, vidi che c’era un gruppo di persone attorno ai manifesti intenti a fotografare. Mi resi conto subito che l’operazione funzionava.
Come sai siete molto invisi a Totò Cuffaro.
A noi Cuffaro in una intervista ci ha chiamati “miserabili e meschini”. Quel giorno mi sono tatuato una sigla: M&M. È come fosse il nostro “bastardi senza gloria”. Quelle parole dette da uno come Cuffaro sono solo complimenti.
E vi ha querelati.
La denuncia venne fatta in un primo momento contro ignoti. È l’avvocato Traina a farla, il legale di Cuffaro. Successivamente ci ha querelati anche Andrea Mineo di Forza Italia
Di voi si è detto tanto, forse troppo. C’è chi addirittura ha pensato che foste legati al PD.
Ci hanno detto di tutto. Prima che eravamo dei centri sociali, poi che eravamo legati ai servizi segreti, poi che eravamo dei grafici professionisti al soldo di Franco Miceli (avversario di Lagalla durante le amministrative di Palermo, ndr) e tanto altro. Invece, siamo semplicemente un gruppo di amici che, come nel mio caso, sono molto legati all’antimafia e quando ho visto la corsa alle elezioni ho deciso di usufruire dei miei soldi per far ridere tutti.
Che idea ti sei fatto di questa vicenda?
Se esci dal loro schema e alzi la testa questa è la reazione. Se fai antimafia veramente, senza accollarti determinate situazioni o compromessi questa è la conseguenza. Ai loro occhi noi ci saremmo dovuti limitare a fare il banchetto in piazza Politeama con la raccolta firme, oppure una tenera pagina sui social in cui raccogliere like e interazioni di persone che già la pensano come noi. Quando invece diventi uno “squalo” più forte di loro - facendo magari attacchinaggio la sera per far ridere la città - allora tu diventi un soggetto incontrollabile. A quel punto non sei antimafia. Infatti, secondo Cuffaro noi siamo la mafia dell’antimafia. Solo per il fatto che non ci siamo allineati all’antimafia classica, quella istituzionale, che si limita ad applaudire alla commemorazione di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Vorrebbero che ci dimenticassimo di queste persone e delle malefatte che alcuni di loro hanno fatto. E in tutto questo magari stringergli anche la mano.
Il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla © Paolo Bassani
Cosa ti auguri per il futuro?
Mi auguro che chi fa satira sull’antimafia non venga toccato. Nella satira non c’è violenza, né istigazione. Non ci siamo mai permessi di toccare la Lega e Fratelli d’Italia, ad esempio, nonostante ci siano indizi che li collegano a fatti di mafia. Ma le loro storie non sono riconducibili a fatti di mafia come la Dc e Forza Italia. Quindi abbiamo deciso che, pur non condividendo le opinioni del Carroccio e di Fdi - io in particolare ho un pensiero di sinistra -, non avremmo fatto un’operazione partitica. A Lega e Fratelli d’Italia non li abbiamo mai toccati per evitare la politicizzazione. Il concetto che ci ha mossi è stato: che tu sia di destra o di sinistra non ci interessa, l’importante è che se c’è gente che ha avuto a che fare con la mafia - come ha detto Paolo Borsellino prima di essere ucciso - sei inaffidabile a gestire la cosa pubblica. Ripeto, a noi non interessa l’orientamento politico. Il discrimine è che chi vuole gestire la cosa pubblica non deve avere neanche un’amicizia con un mafioso. Non ci deve prendere nemmeno un caffè, perché altrimenti saresti inaffidabile. Questa è la nostra bussola.
Alcuni manifesti, però, erano rivolti a Cuffaro e Dell’Utri. Che potrebbero replicare, giustamente, che hanno scontato la loro pena. Cosa risponderesti?
È vero, ma queste persone anche se hanno pagato devono fare altro. Non possono tornare ad occuparsi di politica. Non dovrebbero più entrare nella gestione della cosa pubblica. Devi essere un mujaihidin in questo. A maggior ragione se sei nato a Palermo o, più in generale, in Sicilia. Qui la lotta alla mafia è la prima cosa. Non puoi prescindere da questo tema. Su questo fronte non sono ammessi errori. Puoi sbagliare su mille cose, ma non puoi berti un caffè con un mafioso, per esempio. Loro (i mafiosi, ndr) sono il nemico. Non possiamo permetterci nemmeno un politico che ha a che fare anche solo per amicizia con un mafioso. Destra o sinistra che sia. Questo è il senso della campagna Offline. Altrimenti, sai quante cose avrei da criticare di Salvini e della Meloni?
Cosa significa per te la lotta alla mafia?
È la causa più importante della mia vita. Mettere un mattone, seppur piccolo, in questo campo va sopra la vita privata, il tempo libero, la vacanza. È il mattoncino che sto cercando di tramandare ai miei due nipotini, non avendo né moglie né figli. Così crescono con lo stesso stampo dello zio.
Il 17 gennaio 2024 si terrà l’udienza in camera di consiglio in relazione all’opposizione alla richiesta di archiviazione. Hai mai pensato al dopo?
Se non dovessero archiviare vorrebbe dire che si legittima la censura alla satira per difendere due condannati definitivi in fatti di mafia. Certo è che dopo l’udienza la mia identità sarà pubblica. Per questo ho deciso che, non potendomi più “nascondere”, uscirò allo scoperto con grande stile facendo una stand up comedy su questa vicenda, come ne ho fatte tante su altri temi.
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