L’ex magistrato ha commentato il verdetto che dimostra i legami della ‘Ndrangheta con massoneria e istituzioni deviate
In tempi straordinariamente brevi e all’interno dell’aula bunker appositamente costruita a Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro, si è concluso pochi giorni fa il maxiprocesso “Rinascita-Scott”. La sentenza è storica. Oltre 200 condanne hanno colpito duramente non solo la ‘Ndrangheta, ma anche i colletti bianchi e pezzi infedeli dello Stato. Tuttavia, nonostante questo verdetto provenga da una delle operazioni più significative nella storia giudiziaria del nostro Paese, forse paragonabile soltanto al maxiprocesso di Palermo contro Cosa Nostra, l’attenzione dei principali media italiani è stata sorprendentemente limitata. Eppure, la sentenza di condanna del processo “Rinascita -Scott” ha restituito la fotografia di un Paese in cui la ‘Ndrangheta, come le mafie in genere, “rappresentano un unico sistema criminale integrato con altre componenti; come la classe dirigente che, con i ceti violenti, ha fatto sempre affari all’interno di un rapporto di alimentazione reciproca”. A sottolinearlo è stato l’ex magistrato Antonio Ingroia, che sul canale YouTube “La Giustizia TV” ha spiegato come le mafie siano diventate da tempo parte integrante del sistema Italia, anche grazie alla complicità di una parte delle istituzioni e della massoneria deviata. “Questa sentenza conferma la favoletta che da tempo si cerca di allestire per l’opinione pubblica: quella secondo cui le mafie sono state sconfitte, oppure finite con la morte del boss Matteo Messina Denaro. Ma così non è. Le mafie - ha spiegato Ingroia - hanno soltanto cambiato ‘habitus’. Hanno cambiato strategia e modalità di manifestazione”. Difatti, oggi ci troviamo davanti a una mafia “mimetizzata, che cerca di non farsi notare mentre opera nell’ombra e condiziona ampi settori della politica e dell’economia”. Non si tratta dunque di una mafia che rispecchia lo stereotipo tradizionale, caratterizzato da coppola, lupara e semplici contadini che abitano nelle campagne del Sud Italia, ma di un’organizzazione criminale paragonabile a una vera e propria “classe dirigente costituita da varie articolazioni, sia sul versante militare che politico, economico e istituzionale”. Per questo motivo, occorre che le mafie siano contrastate da “una magistratura autonoma e indipendente dalla politica e da altri poteri”. Ma anche attraverso “progetti culturali, politici e sociali - ha concluso Ingroia - in contrasto con quello che Giovanni Falcone ha definito l’ibrido connubio fra classe politica, classe dirigente e organizzazioni mafiose”.
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