La “longa manus” della mafia e della CIA sul magnicidio. Oggi il nipote Bob, candidato alla Casa Bianca, ne raccoglie l’eredità politica
22 novembre 1963. Dallas, Texas, il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, da tutti chiamato “JFK”, atterra all’aeroporto Love Field a bordo dell’Air Force One. Insieme a lui anche la moglie Jacqueline. Il viaggio era stato programmato dal vice presidente Lyndon Johnson allo scopo di attenuare le frizioni presenti nel Partito democratico a Sud. Kennedy e la first lady, scesi dall’aereo presidenziale, si accomodano sui sedili posteriori di una Limousine scoperta. Sulla stessa vettura, ma sui sedili centrali, viaggiano anche il governatore del Texas, John Connally, e la consorte. Il corteo presidenziale si dirige verso il centro della città, quando la Limousine rallenta in prossimità di una curva, tra Houston Street e Elm Street. L’evento è seguito in tutto il Paese e il percorso è circondato da una folla di sostenitori e curiosi. La gente acclama il presidente e questi ricambia l’affetto. Il clima di festa, però, viene frantumato alle 12.30 con il sordo scoppio di colpi d’arma da fuoco. Il presidente viene trafitto da un proiettile alla gola e un altro al volto che gli causa un’ampia ferita.
Si scatena il panico. Il mondo, incredulo, assiste in diretta all’agguato e inizia a trattenere il fiato. Dopo una corsa precipitosa all’ospedale, intorno alle ore 13 arriva la notizia: il trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti è morto.
Ultimo erede di un clan per cui la politica è stata per decenni il mestiere di famiglia (attraversata da disgrazie, omicidi inclusi) con una laurea ad Harvard e una carriera politica che doveva essere inarrestabile, come quella dei fratelli - Bob (anche lui assassinato nel 1968) divenne ministro della Giustizia e Ted senatore del Massachusetts - Kennedy era stato eletto tre anni prima, nel 1960, succedendo al repubblicano Dwight Eisenhower. Entrò poi in carica nel gennaio del 1961 e vi rimase fino a quel tragico 22 novembre 1963. Giornata che, sessant’anni dopo, rappresenta ancora una delle pagine più misteriose della storia umana. Le raccapriccianti immagini di quella morte violenta hanno marcato la memoria di intere generazioni. La televisione in Europa stava muovendo i primi passi e la radiocronaca dell'attentato arrivò come un fulmine a ciel sereno, lasciando l'Occidente ammutolito e terrorizzato.
I misteri sull’omicidio
Nell’immediatezza della morte del presidente viene arrestato un impiegato di 24 anni, Lee Harvey Oswald, attivista castrista ed ex marine. L’accusa è di avere ucciso Kennedy e un poliziotto, J.D. Tippit, assassinato lo stesso giorno alle ore 13.16. Due giorni più tardi Oswald viene ucciso dal criminale Jack Ruby. Sette giorni dopo l’assassinio di Dallas, il vice presidente Johnson costituisce una commissione d’inchiesta con a capo il presidente della Corte Suprema, Earl Warren incaricata di eseguire le indagini sull’omicidio del presidente. Tra i membri della commissione Warren - insieme a Senatori e Deputati - spunta anche Allen Dulles, ex direttore della CIA, al tempo in rotta di collisione con Kennedy poiché cacciato da quest'ultimo dai vertici dell’intelligence per delle vicende legate alla politica estera. Il 28 settembre 1964 il rapporto della Commissione Warren è pronto ma - incredibilmente - presenta numerose contraddizioni e lacune. Alcune conclusioni in esso riportate appaiono addirittura ridicole. Come quella del “proiettile magico” avanzata da Arlen Specter, un avvocato (quindi non un esperto di balistica) secondo il quale la pallottola CE399 avrebbe colpito e attraversato da parte a parte il presidente per poi provocare le ferite alle spalle, al torace, ai polsi e al ginocchio del governatore Connally (anche lui ferito quella mattina).
La pubblicazione del rapporto spinge quindi giornalisti e avvocati a moltiplicare le inchieste per cercare la verità sull’omicidio di JFK e molti di loro perdono la vita in strani incidenti. La stessa sorte tocca ai vari testimoni le cui dichiarazioni smentiscono categoricamente il rapporto Warren. Un altro particolare misterioso riguarda l'arma che è stata usata: secondo gli esami balistici del maggiore esperto di impronte che lavorava per l'FBI, Sebastian Latona, non c’erano impronte di Oswald, né sul calcio, né sulla canna. Neanche il corpo del presidente è stato risparmiato da operazioni opache. Il cadavere, subito dopo l'arrivo al Parkland Hospital, era stato prontamente portato via e imbarcato per Washington, violando così le leggi dello stato del Texas.
Il medico Malcolm Perry che aveva fatto la tracheotomia al presidente, durante la conferenza stampa che si era tenuta dopo l’attentato aveva dichiarato quello della gola era un foro di entrata smentendo completamente la versione della commissione, la quale, ipotizzando che Oswald aveva sparato da dietro, aveva da sempre sostenuto che il foro nella gola era di uscita. Un altro medico, Kemp Clark, primario di neurochirurgia, ha altresì smentito la versione ufficiale poiché aveva detto che la ferita sulla parte posteriore destra della testa di Kennedy era stata causata dall'uscita di un proiettile. Queste versioni quindi fanno emergere il ragionevole dubbio che il killer non si trovava dietro Kennedy ma davanti. In seguito Malcolm Perry davanti alla commissione Warren aveva ritrattato la sua versione, ma in base alle prove raccolte, lo aveva fatto perché aveva ricevuto delle pressioni dai servizi segreti.
Tutte queste strane circostanze e moltissime altre ancora hanno scatenato, nei decenni, una sequela di ipotesi infinite sulla morte di Kennedy, tanto che molte domande non hanno mai trovato risposta e fanno discutere ancora oggi. Sulla vicenda, in sessant’anni, sono stati scritti almeno un migliaio di libri, sono stati girati decine di film kolossal e documentari e realizzate, tra rivelazioni e smentite varie, un numero inqualificabile di inchieste e interviste. L’ultima rivelazione risale allo scorso settembre ed è di un ex agente dei servizi segreti che mette in dubbio, con nuovi elementi, la teoria del proiettile unico e del coinvolgimento di un unico uomo armato. E prima di questa testimonianza ci sono i documenti fatti desecretare da Donald Trump (circa 2800 ma ne ha vietata la desecretazione di 300). In questa mole di carte emerge che ad assassinare il presidente non sarebbe stato Lee Harvey Oswald ma l'agente di polizia, J. D. Tippit, lo stesso ucciso a colpi di pistola 45 minuti dopo l’attentato sulla Dealy Plaza di Dallas. Stando alle carte, Oswald e Tippit si sarebbero incontrati in un night-club di Jack Ruby, giusto una settimana prima del 22 novembre. Ruby, come detto, avrebbe poi ucciso Oswald nei sotterranei della polizia di Dallas. Diventa così più che un’ipotesi il fatto che Ruby sia intervenuto per tappare la bocca allo stesso Oswald ed evitare che lo stesso raccontasse la verità su quanto avvenuto. Si tratta di atti che si aggiungono all’inchiesta condotta dal giudice Jim Garrison, in cui si dimostrava che la CIA era stata aiutata da “altri”, come la stessa FBI o, seppur marginalmente, la mafia. Come per tutti gli omicidi eccellenti della storia - e di questo l’Italia è, purtroppo, maestra - la verità completa fatica ad arrivare per colpa di fittissimi depistaggi costruiti per impedire lo stravolgimento politico che queste potrebbero comportare una volta rivelate. Ma quali sono queste verità? E soprattutto, perché JFK è stato ammazzato?
Gianni Bisiach
La convergenza di interessi e il lavoro di Gianni Bisiach
A provare a dare risposte a queste due domande e svelare quindi l’arcano sull’omicidio, è stato, tra i tanti, il giornalista e scrittore Gianni Bisiach.
In questi sessant’anni di ricerca della verità e documentazione Bisiach è ritenuto il maggior “kennedologo” italiano. Suo è il voluminoso libro sulla vita e sulla morte di Kennedy (Il presidente - La lunga storia di una breve vita), pubblicato prima da Fabbri, poi ristampato da Newton Compton nel 1990. Suo è “I due Kennedy”, un docufilm nel quale si ipotizza il coinvolgimento della mafia nella morte del presidente e del fratello Robert Kennedy, ex attorney general americano.
Bisiach ha avuto la possibilità di conoscere in prima persona alcuni testimoni del magnicidio e ha avuto il merito di condurre personalmente alcune indagini a Dallas. Dal suo decennale lavoro di inchiesta e ricerca Bisiach - che ci ha lasciati un anno fa - è arrivato alla conclusione che l’omicidio fu voluto da un convitato di pietra americano - che vedeva l’interessamento diretto della Cia - ed eseguito da Cosa nostra americana. La sua eliminazione è stata spinta da una convergenza di interessi. Alti interessi. Anche se breve, infatti, la presidenza di Kennedy era stata segnata da eventi significativi per i quali assunse posizioni nette e, talvolta, contrarie ai desiderata dell’establishment del tempo: Washington era finita sotto le luci dei riflettori mondiali nell’aprile del 1961 per lo sbarco alla Baia dei Porci e il tentato golpe contro Fidel Castro; in seguito ci fu la crisi missilistica di Cuba e il braccio di ferro con l’Unione Sovietica di Nikita Chruščёv. Tutto questo mentre sull’Europa calava una cortina di ferro del muro che spaccò in due Berlino. Mentre, sullo scacchiere asiatico, si cristallizzava lo scontro globale tra comunisti e anti-comunisti con la guerra del Vietnam. Il contesto geopolitico era infuocato. Ed è risaputo che il presidente stava cercando di applicare una politica diversa rispetto ai suoi predecessori: puntava alla normalizzazione dei rapporti con Cuba, ad una distensione con l'URSS, ad una democrazia unita per il Congo e ad una ritirata dalla guerra del Vietnam. Pochi mesi prima dell'attentato, Kennedy aveva raccontato dalla tribuna delle Nazioni Unite la sua “visione della pace” per fermare “la macchina della guerra”. Era diventato il presidente più popolare di sempre con il 90% degli americani che aveva un giudizio favorevole su di lui. Tuttavia, se da una parte larga fetta del popolo lo acclamava, dall’altra, le grandi multinazionali (in primis quelle petrolifere e quelle belliche) e le grandi lobbies americane, specie quelle conservatrici, lo odiavano profondamente. Non a caso il quotidiano Dallas Morning News (Notizie del Mattino di Dallas) pubblicò, la mattina del 22 novembre, una pagina a pagamento, firmata da Bernard Weissman, intitolata "Benvenuto Sig. Kennedy" (“Welcome Mr. Kennedy”) bordata a lutto e contenente una serie di imputazioni per azioni che Kennedy avrebbe compiuto, pagata da tre uomini d'affari, Edgar R. Crissey, Nelson Bunker Hunt e H. R. Bum Bright, membri della John Birch Society, una lobby di destra, conservatrice e anticomunista nata nel 1958. In questa pagina, Weissman rimproverava a Kennedy la politica della Nuova Frontiera, la politica in America Latina, specialmente a Cuba, di avere abbracciato Chruščёv e Tito, di avere sovvenzionato il governo cambogiano e di avere fatto amicizia con altri comunisti. Tornando all’omicidio e alle ricerche di Bisiach, il giornalista Rai è riuscito a scoprire, dopo lunghe indagini, che il presidente è stato ucciso per conto della mafia da Carlos Marcello, Santo Trafficante e Jimmy Hoffa, che si servirono di una squadra di cecchini. Bisiach afferma, inoltre, che Cosa Nostra avrebbe organizzato il complotto e la copertura dello stesso assieme ad alcuni settori della Cia.
John Fitzgerald Kennedy e Nikita Chruščёv
L’intervista di ANTIMAFIADuemila
ANTIMAFIADuemila intervistò Bisiach in passato. Un’intervista storica fatta nel 1999 dal direttore Giorgio Bongiovanni. A domanda secca “perché la CIA ha chiesto aiuto alla mafia per uccidere Kennedy e perché John Kennedy è stato ucciso?”, il giornalista, che per le sue indagini rischiò di essere assassinato, rispose così: “La CIA aveva chiesto aiuto alla Mafia per uccidere Fidel Castro. Quando Castro prese il potere a Cuba, in un primo tempo l’America lo aveva appoggiato, così come la CIA che gli aveva fornito le armi. Questo perché gli americani non volevano più Batista al potere. Ma quando Castro arrivò al potere, la prima cosa che fece fu quella di nazionalizzare le società americane, quindi la United Fruit per quanto riguarda l’agricoltura, le società petrolifere ecc... Gli industriali americani si indignarono di fronte al comportamento di Castro, che aveva in precedenza usufruito del loro aiuto, e decisero di eliminarlo prima politicamente e poi fisicamente. Quando Castro andò al potere cacciò i mafiosi da Cuba, chiuse le case da gioco, le case di tolleranza, il traffico della droga e il traffico degli aborti (gli americani andavano ad abortire a Cuba). La mafia si infuriò con Castro perché aveva distrutto i loro affari e la CIA pensò di rivolgersi ai mafiosi che avevano ancora a Cuba alcuni uomini. Ad esempio Santo Trafficante, che all’epoca era in prigione a Cuba e con il quale la CIA aveva rapporti per conto di Sam Giancana di Chicago, con Jack Rubi, quello che poi uccise Oswald. Jack Rubi era un trafficante di armi e di droga e aveva diversi night club a Dallas. Era nel giro di Sam Giancana di Chicago (il braccio destro di Al Capone, che era passato da essere autista a suo luogotenente). Rubi andava a Cuba a portare le arance a Trafficante che stava in carcere. La CIA, sembra con l’appoggio dei Kennedy, decise di uccidere Fidel Castro, con dei modi anche abbastanza ridicoli… Kennedy aveva un comportamento contraddittorio, nel senso che come presidente degli Stati Uniti (come tutti i capi di Stato), doveva accettare anche certe operazioni infami dei servizi segreti, pur mantenendo una sua morale. John seguiva una certa linea e poi con il fratello, il ministro della Giustizia (Robert Kennedy, ndr) combatteva quegli stessi mafiosi che aiutavano la CIA. Ora ne sto parlando con semplicità ma i fatti furono molto complessi. Dopo la crisi dei missili di Cuba (quando il mondo si era salvato dal rischio della Terza Guerra Mondiale), Kennedy decise di rappacificarsi con Fidel Castro e con l’Unione Sovietica. Per questo aprì la ‘linea rossa’, il telefono con il Cremlino. Fece disdire “l’incarico” ai mafiosi, chiuse i campi della CIA dove venivano addestrati i cubani che si preparavano per lo sbarco a Cuba. Robert Kennedy cominciò poi al senato una inchiesta a tutto campo su Cosa Nostra e all’epoca non si sapeva ancora che si chiamava Cosa Nostra (ne parlò Joe Valachi nel mese di settembre del 1963, due mesi prima dell’assassinio di Kennedy). Questi grandi mafiosi decisero quindi di uccidere Kennedy. Alcuni settori della CIA erano sicuramente contro il presidente. In particolare lo era Allen Dulles, che Kennedy aveva cacciato via, insieme a quelle persone che fecero lo scandalo Watergate; quegli stessi che poi furono arrestati nella Dealy Plaza dopo gli spari contro Kennedy e che insieme a Calogero Minacori (alias Carlos Marcello, ndr) decisero di eliminarlo. Si è trattato di un ‘cambio di obiettivo’: la Mafia doveva uccidere Fidel Castro, quando Kennedy cambiò idea, la Mafia decise di uccidere lui durante il viaggio a Dallas… con un’organizzazione di tipo militare…”.
Robert Kennedy jr
L’eredità raccolta da Bob Kennedy jr.
Le conclusioni di Bisiach combaciano con quelle di Bob Kennedy jr, avvocato, figlio dell’ex ministro della giustizia e fratello di JFK Robert Kennedy. Il nipote di John F. Kennedy sta correndo da mesi per la guida degli Stati Uniti. Prima ha tentato di succedere alle primarie del Partito Democratico sfidando il presidente Joe Biden, poi ha deciso di mettersi in proprio e correre da indipendente per la Casa Bianca per le elezioni che si terranno a novembre 2024.
In una lunga intervista al quotidiano 'The Newyorker' a proposito dell’omicidio dello zio, per il quale ha chiesto a Biden di rispettare il 1992 act e rendere pubblici i documenti, ha affermato: “Non penso che chiunque abbia esaminato seriamente l'omicidio di mio zio creda che la Commissione Warren abbia ragione. Sono un avvocato processuale. Ho affrontato centinaia di casi”. Posso garantire “guardando questo caso, che potrei dimostrare che la morte di mio zio è stata causata dalla C.I.A. Ho abbastanza prove adesso, senza alcun interrogatorio, per dimostrare che la morte di mio zio è stata il risultato di una cospirazione. E che la C.I.A. era coinvolta, non solo nella cospirazione originale, ma nel coprire i fatti per sessant'anni e continua a mantenere il segreto”.
Il Kennedy Records Assassination Act del 1992 ha ordinato la pubblicazione di tutti i documenti relativi all'assassinio di JFK entro il 2017. Trump si rifiutò di farlo (non pubblicò tutti i documenti). Biden si rifiutò di farlo. Kennedy ora chiede: "Cosa c'è di così imbarazzante che hanno paura di mostrarlo al pubblico americano 60 anni dopo?”. Oggi Bob Kennedy, nelle sue parole, ricorda in tutto e per tutto lo zio. Lo scorso 20 giugno al Saint Anselm College a Goffstown, nel New Hampshire, Kennedy ha tenuto un discorso illuminante sulle sorti degli Stati Uniti, sull’attuale conflitto in Ucraina e sul pericolo di una guerra atomica. Robert ha rievocato sempre JFK nelle sue parole. Ne ha rievocato i discorsi in piazza, le gesta, le strategie, gli aneddoti, l’indipendenza. Suo zio, ha raccontato, gli ha insegnato che per risolvere una situazione di conflitto bisogna mettersi nei panni del proprio avversario. Concetto rivoluzionario per i tempi che corrono caratterizzati dal conformismo e dal pensiero unico. Quindi ha parafrasato quell’insegnamento nell’attuale crisi russo-ucraina. “Le preoccupazioni della Russia sulle aspirazioni ucraine da parte della NATO sono legittime, ma gli Stati Uniti le hanno ignorate, e hanno capito che il coinvolgimento di Kiev nell’Alleanza Atlantica avrebbe comportato una risposta da parte della Russia, ma la verità è che gli Stati Uniti hanno ingannato la Russia stessa, promettendo di rigettare la strategia di espansione della NATO ad Est stabilita a parole dai rispettivi leaders nel 1992”, ha ben ricordato il candidato presidente. Kennedy è certo, come molti, che gli Stati Uniti stiano usando l’Ucraina come pretesto per fare guerra alla Russia ed è convinto che a spingere sull’acceleratore sia il complesso militare industriale americano. Lo stesso complesso contro cui lottava ferocemente JFK. Quella di Robert Kennedy jr è una voce fuori dal coro. Il candidato alle primarie è, infatti, grandissimo sostenitore del dialogo come soluzione del conflitto in Ucraina. “Dobbiamo iniziare ad ascoltare la verità, dobbiamo smettere di prestare attenzione ai fumetti in cui tutti sono divisi in buoni e cattivi e l’America è sempre e solo buona, e non commette mai errori. Dobbiamo capire che ci sono sfumature e complessità nelle relazioni”, ha aggiunto. Robert Kennedy jr, come il presidente Kennedy, si è scontrato contro i grandi petrolieri americani e contro il complesso militare industriale degli Stati Uniti. La guerra, al tempo, era l'affare più grande degli Stati Uniti. Al tempo si muovevano gli eserciti con il pretesto della lotta al comunismo, oggi si muovono con il pretesto della lotta al terrorismo. Nell’arco di sessant'anni è sempre la guerra l’affare più grande di Washington. Bob Kennedy ne è fermamente contrario e come lo zio rischia la vita per le sue posizioni contro corrente (sono stati già due i tentativi di eliminarlo.
“La mia promessa al popolo americano è che vi riporterò sulla strada della pace che JFK ci ha indicato quando, poco prima della sua morte, emise un ordine di sicurezza nazionale per ritirare gli advisor americani dal Vietnam. Prenderemo una strada verso la pace e la prosperità per il nostro paese”, ha detto ieri ricordando l'anniversario dell’attentato a JFK. La speranza è che Bob Kennedy jr. riesca a raccogliere il suo testimone e condurre gli Stati Uniti verso la rinascita.
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