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L’Op. ‘New Tower’, congiunta tra Italia e Usa, rivela che dietro ai Gambino c’è ancora Cosa nostra palermitana

Cosa nostra palermitana è ancora perfettamente strutturata e in grado di fornire i dettami operativi e organizzativi alla sua propaggine newyorkese, autonoma per alcuni versi, su come condurre alcune attività”. Non usa giri di parole Vincenzo Nicolì, dirigente del Servizio Centrale Operativo, intervenuto questa mattina durante la conferenza stampa per commentare l’odierna operazione congiunta tra investigatori italiani della Polizia di Stato, appartenenti al Servizio Centrale Operativo e alla Squadra Mobile di Palermo, coadiuvati da personale specializzato dei Reparti Prevenzione Crimine, delle unità cinofile, del Reparto volo ed Agenti speciali dell’FBI, in qualità di osservatori. La Procura di Palermo ha dato esecuzione al provvedimento di fermo nei confronti di 7 indagati, attivi nei territori palermitani di Partinico, Borgetto e Torretta e ritenuti responsabili, a diverso titolo, dei delitti di associazione mafiosa ed altri reati connessi. Mentre i colleghi statunitensi dell’FBI di New York, invece, contestualmente hanno eseguito analoghe misure restrittive a carico di ulteriori 10 soggetti, indagati per associazione per delinquere, estorsione, incendio doloso, cospirazione e turbativa d’asta.

L’operazione si inserisce in più vasto contesto investigativo ed esecutivo che ha visto il coinvolgimento di investigatori italiani e statunitensi in una complessa ed articolata indagine avviata sui componenti della famiglia Gambino di New York ed alcuni referenti italiani del medesimo sodalizio ancora attivi in Sicilia.

In particolare, le indagini hanno documentato “la cifra criminale di alcuni anziani maggiorenti della famiglia mafiosa di ‘Torretta’ già emersi sullo sfondo delle storiche inchieste meglio conosciute come ‘Pizza Connection’ e ‘Iron Tower’, facendo rilevare, sul fronte americano, anche il ruolo di taluni esponenti di spicco de La Cosa Nostra Americana (LCA) legati al noto boss Frank Calì, assassinato per futili motivi nel marzo 2019”, scrivono gli inquirenti. Gli investigatori hanno accertato la solidità dei rapporti esistenti tra le due consorterie sull’asse Usa-Italia, “emergendo l’interessamento americano per le vicende organizzative di Cosa nostra siciliana e venendo in rilievo anche una serie di dinamiche legate alla reggenza del mandamento mafioso di Partinico”.


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Stando a quanto riscontrato dalla Federal Bureau of Investigation è stata documentata una variegata serie di condotte estorsive “attuate nel settore dei cantieri edili della Grande Mela dagli odierni destinatari delle misure restrittive disposte in Usa, giovandosi anche della manovalanza delle gangs metropolitane locali”.

Al centro dell’indagine c’è Francesco Rappa. L’81enne, nel 1971 era stato arrestato a New York dopo il ritrovamento di 82 chili di eroina nascosti dentro una Cadillac imbarcata a Genova, negli anni Novanta e nel 2004 era stato invece arrestato per associazione mafiosa in Italia, perché ritenuto reggente della famiglia di Borgetto, centro della provincia di Palermo. Nei mesi scorsi, dopo l’ultima scarcerazione, la Squadra mobile diretta da Basile e la “Sisco” del servizio centrale operativo guidato da Nicolì hanno sorpreso Rappa in frequenti contatti con esponenti del clan Gambino di New York.

Il collegamento tra le due consorterie si è sostanziato anche della trasposizione negli Usa del metodo estorsivo suggerito da un anziano boss partinicese, “laddove gli indagati americani si convincevano dell’opportunità di accontentarsi di somme più esigue e di abbandonare le azioni cruente demandate alle menzionate gangs, allo scopo di fidelizzare gli estorti nella vantaggiosa prospettiva di un più ‘morbido’ e duraturo assoggettamento”, scrivono gli investigatori.

È importante sottolineare l’arco temporale con il quale Cosa nostra palermitana interagisce con Cosa nostra newyorkese, stanziata lì da oltre 50 anni - ha aggiunto il dirigente Nicolì -. Questa collaborazione criminale si concretizza in atti criminali che ora attengono più a profili organizzativi, estorsivi e di controllo del territorio, che è diventato un controllo del contesto”.

Grazie all’attività di indagine è emerso come importanti esponenti storici del mandamento di Partinico davano consigli a Cosa nostra americana nell’atteggiamento con il quale imporre il controllo di contesto. Ovvero, fare anche attività di natura estorsiva limitando i guadagni pur di farli. Tutto ciò per poter perseverare questa circostanza senza alimentare gli atti violenti, mantenendo delle regole di ingaggio e di imposizione con modelli organizzativi criminali storici - ha sottolineato -. Questa operazione sottolinea che l’andamento dei vertici di Cosa nostra della provincia di Palermo sono assolutamente capaci di proiettarsi verso il futuro utilizzando vecchi schemi”.


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L'intervento del questore di Palermo, Vito Calvino


Durante la conferenza stampa, svoltasi dentro il complesso di S. Elisabetta (adiacente la Squadra Mobile), è stato spiegato a più riprese come sul versante di New York, che fa capo alla Gambino family, abbiano preso in seria considerazione le direttive fornite dal mandamento di Partinico. Un aspetto che invita a tenere alta l’attenzione su questo asse mai eliminato definitivamente. E che, in termini investigativi, ha radici storiche. Fu proprio il capo della Squadra Mobile Boris Giuliano che già negli anni ’70 individuò la connessione tra Cosa nostra newyorkese e siciliana, in particolare sul traffico di droga. Indagini che poi gli costarono la vita il 21 luglio 1979. “Registriamo un vero e proprio controllo da parte dell’asse siciliano su quanto avviane negli Stati Uniti”, ha evidenziato il dirigente della Squadra mobile di Palermo Marco Basile.

In conferenza stampa hanno fatto sapere anche che i soggetti tratti in arresto a New York appartengono tutti a contesti o famiglie sui quali erano state fatte indagini anche di tipo storico “in quanto membri della Gambino family e quindi italo-americani”.

Dunque, al centro della nuova stagione criminale degli ultimi anni ci sono gli “scappati” della guerra di mafia. Coloro che furono mandati in esilio in Usa da Salvatore Riina all’inizio degli anni Ottanta, e i cui tesori - economici in particolare - non furono mai trovati. All’epoca, i boss italoamericani a Palermo erano ritenuti infedeli al nuovo corso, quello stragista. Si tratta degli Inzerillo, dei Bontate, dei Gambino. Tutti nemici dei Corleonesi, i cui capi furono sterminati e i sopravvissuti cacciati dalla Sicilia. Dall’operazione odierna, però, emerge in maniera chiara che la mafia siciliana “quando parla, i consigli che dà vengono adottati”, ha detto Nicolì. Le guerre di un tempo, evidentemente, riguardano una pagina tramontata. Ora, come ha spiegato il nuovo questore di Palermo Vito Calvino, “siamo davanti all’esportazione di un modello che viene assecondato in automatico, viene preso per buono, condiviso e attuato”. Senza se e senza ma.

Foto © ACFB

Filmmaker by Giorgio Di Stefano
    

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