Distrusse le telefonate con l'indagato Mancino e lanciò un segnale di silenzio ed omertà
Oggi, alle ore 19.45, il Presidente Emerito della Repubblica, Senatore Giorgio Napolitano, si è spento all'età di 98 anni presso la clinica Salvator Mundi al Gianicolo in Roma. L’ex Capo dello Stato era ricoverato da tempo ma le sue condizioni si erano complicate negli ultimi giorni. Nato a Napoli il 29 giugno del 1925 è diventato Presidente della Repubblica (all’epoca iscritto al Pci) il 15 maggio del 2006.
Si può portare rispetto per la morte. Ma così come era avvenuto dopo il decesso dell'ex Premier Silvio Berlusconi non partecipiamo al ricordo in pompa magna del grande mainstream.
Non vi sono dubbi che passerà alla storia come una delle figure più controverse della storia italiana.
Nel 1978, in pieno sequestro Moro, fu (grazie all'intercessione di Andreotti, così come fu pubblicato da Wikileaks) il primo comunista italiano ad ottenere un visto per gli Usa. Non un caso se si pensa che Henry Kissinger lo ribattezzò come il suo “comunista preferito”.
Certo è che da quel momento avrà inizio un certo scivolamento servile di una parte della sinistra italiana alle privatizzazioni e alcuni poteri per ottenere in cambio una legittimazione politica.
Ex presidente della Camera e ministro dell’Interno nel governo Prodi, è stato il primo Presidente della Repubblica ad essere eletto per due mandati consecutivi; figura osannata, se non 'adorata, dalla grande stampa, quasi con reverenza; considerato dal Parlamento un 'intoccabile', al pari di un monarca.
Basti pensare al Savoiagate, l'inchiesta cominciata il 16 giugno 2006, arrivata ai mass media quando l'allora pm di Potenza Henry John Woodcock chiese e ottenne l'arresto di Vittorio Emanuele di Savoia (indagine poi chiusa con l'assoluzione).
In concomitanza con le indagini, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano chiese al CSM il fascicolo personale di Woodcock. Se è vero che sono le circostanze a dare un senso alle azioni, allora siamo autorizzati a pensare che quello fu il primo tassello di una più ampia operazione di discredito, isolamento morale e intimidazione nei confronti di quei magistrati che, nell'esercizio delle loro funzioni, hanno esercitato in maniera indipendente l'azione penale senza distinzione di 'casta'.
Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano
Il caso più eclatante avvenne il 16 luglio del 2012 quando Napolitano sollevò un conflitto di attribuzione senza precedenti contro la procura di Palermo che, nell'ambito dell'indagine Trattativa Stato - Mafia condotta in quel momento dai pm Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene (successivamente subentrarono Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia, ndr) intercettò il capo dello Stato al telefono con l'allora ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, al tempo indagato dai magistrati della procura di Palermo per falsa testimonianza dopo la sua deposizione al processo per la mancata cattura di Bernardo Provenzano a Mezzojuso nel 1995 (Mancino è stato poi assolto nell'ambito del processo Trattativa, ndr).
Il suo interlocutore al Quirinale preferito era il consigliere giuridico Loris D’Ambrosio.
Quelle chiamate tra il capo dello Stato e l’indagato sulla trattativa Stato-mafia rimasero incise sulle bobine della Dia. La notizia dell’esistenza di quelle intercettazioni finì sui giornali e la reazione del Colle non si fece attendere.
Sin da subito la Procura di Palermo, trascinata nel mentre davanti alla Corte Costituzionale, ha chiarito che quelle intercettazioni, indirette e casuali, erano state ritenute non rilevanti ai fini del procedimento e come tali non utilizzabili ma il Colle ne chiese comunque la distruzione scavalcando il binario ordinario indicato dal codice di procedura penale (art.269, 2° comma del c.p.p).
Così, il 22 Aprile 2013, dopo la sua rielezione al Quirinale, Giorgio Napolitano ottenne la distruzione di tutte le conversazioni.
Ma perché tanto accanimento nei confronti dei pm di Palermo? Cosa c’era in quelle bobine da scatenare una reazione tanto spropositata?
Non avrebbe fatto meglio, un Capo dello Stato che non aveva nulla da nascondere, a far ascoltare quei nastri?
Domande che rimarranno, come molte altre, prive di risposta.
Giorgio Napolitano e Nicola Mancino
Le amnesie di Napolitano al processo trattativa
Dopo appena un anno, nel 2013, il Presidente della Corte d'assise di Palermo Alfredo Montalto ammise la testimonianza di Giorgio Napolitano nel processo nonostante il tentativo dello stesso di non essere interrogato.
L'udienza quirinalizia ebbe luogo il 28 ottobre 2014.
I pubblici ministeri che condussero l’interrogatorio, Vittorio Teresi e Nino Di Matteo, chiesero al Capo dello Stato alcune questioni risalenti all’estate del ’93. “Fu chiaro subito – aveva detto il Presidente riferendosi ai giorni che seguirono la bomba a Roma del 28 luglio ‘93 – che quello era un ulteriore anello di una strategia unitaria volta a mettere lo Stato in una condizione di aut aut”.
Parole che dimostrano proprio l'importanza di quella deposizione.
Napolitano ebbe più fortuna nel processo Borsellino quater (il quarto processo sulla strage di via d'Amelio), chiedendo ed ottenendo di non essere sentito.
Anche quello fu un segnale di silenzio e di omertà di Stato.
Successivamente ci sono anche altri episodi dove l'ingerenza del Capo dello Stato si è fatta sentire con tutto il proprio peso. Interventi non richiesti su referendum legislativi in materia di intercettazioni, o su inchieste particolari che ancora oggi non hanno una verità.
Il caso in questione è quello sulla morte dell'urologo Attilio Manca.
Sono i giudici di Viterbo ad aver dichiarato pubblicamente l’interessamento alla vicenda da parte dell’ex presidente: “Io sono arrivato a Viterbo nel bel mezzo di questa faccenda – aveva spiegato l’allora Procuratore capo di Viterbo, Alberto Pazienti - La prima cosa che ho trovato sulla mia scrivania è stata la richiesta da parte della segreteria del Gabinetto del Capo dello Stato, che voleva chiarimenti in merito a questa vicenda. Io sollecitato dal Capo dello Stato mi sono guardato tutto il fascicolo e poi ne ho discusso con lui”. Ad oggi, nessuno conosce il perché dell’interessamento di Napolitano verso un caso sconosciuto all’opinione pubblica di un ragazzo liquidato come “drogato suicida”. E che cosa si sono detti il procuratore e il capo dello Stato? Domande lecite, ma cadute nel vuoto.
Il neo-procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri
Gratteri alla giustizia? Il 'no' di "Re Giorgio"
Altro episodio per il quale Napolitano verrà ricordato è lo 'stop' del 2014 a Nicola Gratteri, allora procuratore aggiunto di Reggio Calabria, al dicastero della Giustizia. Quando Matteo Renzi scese dal Colle il nuovo guardasigilli divenne l’ex ministro Pd all’Ambiente Andrea Orlando, fama di “garantista”, noto per aver chiesto l’abolizione dell’ergastolo e la non obbligatorietà dell’azione penale. Eppure l’entourage del premier aveva assicurato l’incarico al magistrato, per telefono, ribadendogli che avrebbe avuto "carta bianca".
I giornali sollevarono perplessità sulla reale motivazione dello stop a un magistrato che non solo ha coordinato le più importanti indagini contro la ‘Ndrangheta degli ultimi anni, ma è anche autore di una serie di proposte per rendere più duro ed efficiente il contrasto a tutte le mafie. Proposte finite anche in un rapporto di 400 pagine consegnato al governo Letta. Non solo. Dato il peso internazionale della ‘Ndrangheta, Gratteri è diventato un punto di riferimento fondamentale, per la polizia federale tedesca come per l’Fbi. La sua nomina al governo avrebbe lanciato il segnale di una vera svolta dell’Italia, spesso messa all’indice per il suo lassismo nella lotta alla criminalità e alla corruzione.
Con il suo diktat Napolitano ha ribadito la posizione della sua presidenza. Che non è certamente quella finalizzata al rafforzamento della giustizia e della lotta alla mafia. Per non parlare della verità sulle stragi, una questione troppo spinosa per il presidente della Repubblica.
Vi sono anche altre cose che sarebbe bene ricordare: ad esempio la sua accondiscendenza con Silvio Berlusconi.
Nel 2008 firmò senza sollevare obiezioni il lodo Alfano sull’immunità delle alte cariche dello Stato (la Corte Costituzionale lo boccerà); nel 2009 firmò la legge sullo scudo fiscale senza rinviarla alle Camere e Di Pietro lo accusa di viltà; nel 2010 il decreto del governo per riammettere alle regionali della Lombardia e del Lazio le liste del Polo delle Libertà escluse per mancanza dei requisiti di legge; nel 2010 promulgò la legge sul legittimo impedimento del capo del governo e dei ministri, contestata dai pm di Milano e ritenuta parzialmente incostituzionale dalla Suprema Corte. Ovviamente si leggeranno nei prossimi giorni molti commenti lusinghieri nei confronti di Napolitano ma questi fatti non possiamo dimenticarli.
Il palazzo del Quirinale
Foto © Imagoeconomica
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