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Della vicenda di Khaled nessun membro dell’attuale governo ha manifestato alcuna preoccupazione. Da Palazzo Chigi o dalla Farnesina non sono uscite note di condanna alle autorità israeliane o di solidarietà alla famiglia del giovane studente italo-palestinese. Un atteggiamento inadeguato e completamente opposto rispetto a quello giustamente avuto con il giovane Patrick Zaky, anch’egli studente universitario e anch’egli detenuto senza un regolare processo. A differenza di Patrick, però, Khaled è a tutti gli effetti cittadino italiano. E come tale, il suo Paese, l’Italia, ha il dovere e l’urgenza di tutelare i suoi diritti e la sua incolumità”.

A parlare è Zaher Darwish, presidente dell’Ass. “Voci nel silenzio” che rappresenta la comunità palestinese di Palermo, intervenuto durante il presidio indetto lo scorso sabato 16 settembre dinnanzi alla prefettura del capoluogo siciliano per chiedere la liberazione di Khaled El Qaisi. Il giovane studente universitario de “La Sapienza” che si trova da giorni prigioniero delle autorità israeliane, senza la formulazione di nessuna accusa ed in assenza delle più elementari regole di diritto civile e di giustizia.

Tante le sigle che hanno risposto positivamente all’appello manifestando davanti la prefettura palermitana. Dal Sunia, di cui lo stesso Zaher è rappresentante, alla Cgil; dal comitato “No Muos” a “Non Una Di Meno”; da “Officina del Popolo” a USB. Insomma, una larga fetta di società civile di Palermo che ha voluto mettere i propri corpi in difesa di Khaled.

In virtù della sua carica - ha continuato Darwish -, espressione diretta del governo, chiediamo alla premier di mobilitarsi quanto prima affinché il nostro Paese agisca per chiedere alle autorità israeliane la scarcerazione immediata del nostro concittadino”.

Quella di Khaled non è una vicenda isolata. L’appello alla mobilitazione, infatti, abbracciava le istanze delle migliaia di palestinesi che si trovano in detenzione amministrativa. “La vicenda di Khaled riguarda altri cittadini italo-palestinesi o più semplicemente palestinesi, che qualora siano attivi per rivendicare il proprio diritto a tornare in patria o a creare il proprio Stato rischiano delle conseguenze. Io in questo momento, così com’è avvenuto per Khaled, rischio di essere tacciato come terrorista o ‘persona che attenta alla sicurezza dello Stato di Israele’ - ha continuato il palestinese Zaher Darwish -. E questo può capitare anche a voi che mi ascoltate qualora decidiate un giorno di recarvi in Palestina, perché se ritenete che il popolo palestinese ha diritto a creare il proprio Stato e ha diritto a lottare verrete considerati come ‘attentatori dello Stato di Israele’”.
khaled vignetta fogliazza
Il tema è certamente la liberazione di un cittadino italiano, ma questa lotta non è la lotta del popolo palestinese e basta. È la lotta dei popoli”, ha detto Adham Darawsha, anche lui cittadino palermitano di origine palestinese, già assessore alla cultura di Palermo. Una situazione drammatica aggravata dal fatto che “il governo italiano è ancora in ‘vacanza’ perché no ha fatto nulla”. Uno Stato immobile, dunque, che “fa paura”, ha sottolineato il dottor Darawsha. “Questo immobilismo va contro la Costituzione italiana. Si sta verificando una vera e propria erosione dei diritti dei cittadini italiani ed è una questione che fa riflettere - ha continuato -. Negli anni ci siamo tutti battuti per la liberazione di persone incarcerate senza processo. Ed è giusto che sia così. Ma non si capisce perché se si tratta di un palestinese il mondo si ferma”. Se dovessimo adottare il metro di misura dello Stato di Israele (ovvero che chi si esprime a favore della Palestina viene tacciato come terrorista, ndr), ha aggiunto, “allora anche il presidente Sandro Pertini era un terrorista”.

Ciò che sta succedendo in Palestina per troppi anni è stato inabissato. E non è un caso - ha detto Rosario Rappa della Cgil Palermo -. Stiamo assistendo ad un processo più complessivo di spostamento a destra. Israele non è mai stata la patria del socialismo, ma oggi più che mai al governo c’è un fascista. Così come in Italia abbiamo i neofascisti al governo. E il soggetto sovraordinatore si chiama Stati Uniti d’America. Dunque, il motivo per cui nessuno interviene è dovuto al fatto che siamo subalterni agli Usa che stanno governando questi processi. Quindi dobbiamo ribellarci a questo sistema”. “Dobbiamo farci carico non solo di dare solidarietà al popolo palestinese e ai palestinesi che vivono a Palermo e in Italia, perché la solidarietà così serve a poco. Quando un palestinese o un italo-palestinese parla si espone pesantemente. E credo che ognuno di noi debba fare un atto forte esponendosi per nome e per conto del popolo palestinese - ha continuato Rappa -. Dobbiamo introdurre una serie di iniziative che riaprano i riflettori. Costruiamole assieme partendo dal caso Khaled per dare una risposta ai 5000 detenuti in Palestina di cui 1200 come Khaled. Se faremo una campagna di questo tipo assieme allora faremo qualcosa di concreto”.

Per comprendere l’immobilismo denunciato dalla piazza, Elio Teresi, dell’associazione Radio Aut ha ricordato che Israele è uno dei migliori partner bellici dell’Italia, e viceversa. Infatti, “Israele è uno dei più importanti fornitori di armamenti non solo per il mondo ma anche per l’Italia. C’è un rapporto di cooperazione: noi lavoriamo in Israele e il governo israeliano fornisce strumentazione utile al governo italiano”.

La Palestina rappresenta tutte le lotte in un solo territorio - ha detto Federica Madonia di Non Una Di Meno Palermo -. Il governo sionista di Israele viene considerato l’unica democrazia del Medio Oriente solo perché ha un potere economico internazionale e crea dipendenze economiche con tecnologia e armamenti”. E ancora: “La Palestina, oltre al sopruso capitalista, per noi rappresenta anche un sopruso dal punto di vista sociale perché viene sfruttato tutto il tema della ‘queerness’ per avallare l’idea che Israele è un Paese democratico. E il Pride è un altro dei temi e degli esempi di come la lotta per la liberazione dei e delle palestinesi è una lotta che riguarda tutte e tutti noi”.

Al termine del presidio una delegazione di manifestanti è entrata in prefettura e sono stati ricevuti da una funzionaria alla quale hanno rilasciato l’appello con l’impegno che da Palermo quest’ultimo arrivi all’attenzione del ministro degli affari Esteri Antonio Tajani e della premier Giorgia Meloni. Impegno che, anche se momentaneamente solo a parole, è stato assunto.

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