Il sacerdote con Francesco Deliziosi e Giuseppe Castronovo ieri sera alla libreria "Tantestorie" di Palermo
Don Cosimo Scordato hai detto un giorno che la politica in Sicilia è drogata. Cosa avrebbe detto Don Pino Puglisi oggi?
“Penso che avrebbe detto la stessa cosa. Nel senso che la politica pensa ad altro, pensa a riprodurre se stessa non a scendere in strada e mettersi a accanto alle persone, viverne i problemi e cercare di risolvere insieme con loro”. È sempre in strada Don Cosimo Scordato, accanto alle persone e ai cittadini di Palermo. Anche ieri lo era, davanti alla libreria “Tantestorie” assieme al titolare Giuseppe Castronovo e Francesco Deliziosi, caporedattore de “Il Giornale di Sicilia” nonché autore dei libri “Pino Puglisi. Il prete che fece tremare la mafia con un sorriso” e “Don Pino Puglisi. Se ognuno fa qualcosa si può fare molto”.
Che tipo di libro sono?
Sono scritti che permettono di conoscere la persona di Don Pino Puglisi “molto da vicino”: il parroco di Brancaccio era nato da “una famiglia modesta e andava avanti per quello che poteva, interessato alla pedagogia e alle scienze umane”.
Non è stato dipinto come un superuomo; l’autore non ha “mistificato nessuno” così da poter tenere Don Puglisi “gomito a gomito. Se no lo vedremo distante”.
Sono due libri che parlano di un uomo che “era quello che diceva ed era quello che faceva” ha detto Don Scordato, credibile e non solo credente, “mai vittima del fatalismo e ha sempre dato un segnale di speranza” ha ribadito invece l’autore dei libri Francesco Deliziosi. “A distanza di trent’anni dobbiamo fare anche un bilancio, interrogarci sulle cose concrete che lui faceva e vedere anche il cammino che è stato fatto. Una volta arrivato a Brancaccio fece dei gesti veramente dirompenti: arrivarono da lui i rappresentanti del comitato per le feste di San Gaetano e lui li mise alla porta dicendo che non ci sono i soldi per i fuochi d’artificio. Ci sono famiglie di sette persone che vivono in una stanza; dobbiamo pensare alle persone che muoiono di fame. Dietro al comitato c’era ben altro” poiché in quelle occasioni si girava anche casa per casa per chiedere dei soldi. "Alla fine era quasi una estorsione" che cavalcava l'onda di una "festa che di religioso aveva ben poco".
Gli obbiettivi di Don Puglisi erano altri, e molto più alti: "Il suo chiodo fisso era educare i giovani", ha detto il caporedattore de 'Il Giornale di Sicilia', ma era anche realista: "Non ci dobbiamo illudere di poter cambiare Brancaccio" però "non per questo ci si deve arrendere, dobbiamo dare un segno. Siamo ancora in tempo a cambiare i bambini e i ragazzi".
Da sinistra: Giuseppe Castronovo, Cosimo Scordato e Francesco Deliziosi
Deliziosi ha raccontato ad ANTIMAFIADuemila di aver conosciuto “don Pino come insegnante di religione e poi questa conoscenza è andata avanti per quindici anni perché con mia moglie abbiamo frequentato Brancaccio nei tre anni in cui lui era parroco. Ho sentito quindi il bisogno di coprire un debito perché lui era morto anche noi parrocchiani e in qualche modo farlo anche conoscere meglio. Uno dei libri è la biografia e l’altra è la raccolta degli scritti che servono proprio ad andare ad approfondire ed andare oltre gli stereotipi. Per fare un esempio, Don Pino ebbe delle intuizioni profetiche durante gli anni di Brancaccio che oggi soltanto la chiesa comincia a mettere all’ordine del giorno. Esempio è quello degli ‘inchini’, Don Pino cambia subito alla prima pasqua (quella del ’91) il percorso della processione, evitando di passare sotto i balconi dei boss del quartiere (Graviano). Cambia percorso portando la croce di Cristo nei vicoli e nei tuguri. Dopo tanti anni la Chiesa siciliana ha messo all’ordine del giorno questo problema e in molte diocesi compresa Palermo i percorsi delle processioni vengono in qualche modo concordati con la questura. Proprio per evitare di fare certe strade e fermate davanti ai balconi. Questo come tanti altri sono gesti profetici che rendono Don Pino Puglisi ancora attuale e una presenza feconda non solo per la Chiesa ma per tutta la società civile”.
È difficile tuttavia non pensare che la stessa Chiesa (soprattutto i suoi vertici) di cui don Puglisi faceva parte aveva forti legami con la mafia. Pensiamo allo Ior e alla ventennale gestione a dire poco discussa del cardinale statunitense Paul Casimir Marcinkus (dal 1971 al 1989), che ebbe il suo apice nello scandalo della loggia P2 e nel crac del Banco Ambrosiano del 1982. E poi ancora i rapporti con il banchiere Michele Sindona, in rapporti con Giulio Andreotti e Papa Paolo VI, che riciclava il denaro della mafia nella banca del Vaticano e nel Banco Ambrosiano.
Ma dalla Chiesa, il 9 maggio 1993, si levò un grido. In quel giorno, nella Valle dei Templi, Giovanni Paolo II sferrò un duro attacco a Cosa Nostra.
Forse, ed è totalmente legittimo pensarlo, l'omicidio di Don Puglisi era un messaggio che si voleva lanciare contro la Chiesa Cattolica e alla sua ferma presa di posizione contro la mafia.
Un pensiero che viene ulteriormente rafforzato dalle parole di Deliziosi: "La Chiesa ha fatto negli anni passi da gigante anche grazie al sangue di Puglisi. Pensate che soltanto nel 1994, cioè un anno dopo l’omicidio di Puglisi, per la prima volta in un documento della Chiesa siciliana leggiamo la frase che la mafia e il Vangelo sono incompatibili. Abbiamo dovuto aspettare a un anno dopo la morte che la Chiesa arrivasse ad un documento del genere. Oggi sono passati tanti anni e sia Papa Giovanni Paolo II e sia Benedetto XVI e da ultimo Papa Francesco non hanno più usato termini ambigui. Anzi senza compromessi hanno condannato la mafia. Papa Francesco nel 2018 quando è venuto a Palermo ha dato esplicitamente non si può essere mafiosi e cristiani. Questo è un altro segno dell’eredità di Puglisi e con il suo sacrificio e il suo impegno in qualche modo ha favorito questa presa di posizione, questa maturazione da parte della Chiesa nei confronti del fenomeno mafioso”.
Don Puglisi ha lasciato questo e molto altro: un nuovo modo per fare comunità e costruire un nuovo "altro mondo", per usare le parole di Don Cosimo Scordato.
“Dobbiamo ricreare tutto da capo. Non soltanto nei nostri orticelli ma pensando che ogni parrocchia e ogni luogo di incontro deve trasformarsi in una esperienza di comunità, in una forza viva, che sprigiona energia nuova, alternativa, creativa di altro”.
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