Nei giorni scorsi si sono svolti alcuni summit del Brics, l’alleanza politica ed economica tra Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. A richiamare l’attenzione mediatica internazionale - meno che in Italia (salvo eccezioni) - è stato l’allargamento del Brics che ha inglobato per la prima volta anche Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Emirati Arabi e Arabia Saudita. Inoltre, hanno presentato domanda di adesione anche Algeria, Bangladesh, Bahrein, Bielorussia, Bolivia, Venezuela, Vietnam, Honduras, Indonesia, Kazakistan, Cuba, Kuwait, Nigeria, Palestina, Senegal, Thailandia.
“Scoppiata la guerra, l’Unione europea aveva assicurato che la Russia fosse isolata e che nessun Paese del mondo avrebbe voluto avere a che fare con questo Stato “paria” - ha scritto questa mattina il docente di Sociologia del terrorismo internazionale Alessandro Orsini nelle colonne de Il Fatto Quotidiano -. Il mandato d’arresto della Corte penale internazionale contro Putin è stato utilizzato per rafforzare questa rappresentazione collettiva. Per mesi, i media hanno sostenuto addirittura che la Cina avesse scaricato la Russia. E poi è arrivata la realtà. Una lista impressionante di Paesi desidera avere a che fare con Putin, come dimostra l’allargamento del Brics”.
“Xi Jinping si è legato strettamente a Putin, con cui ha pure condotto un’esercitazione militare in Sudafrica, poiché concepisce la guerra in Ucraina come il primo tempo della guerra per Taiwan - ha aggiunto -. La guerra attuale in Ucraina è per impedire al blocco occidentale di avvicinarsi ulteriormente alla Russia, mentre la guerra potenziale per Taiwan è per allontanarlo dalla Cina. Entrambe le guerre, quella attuale e quella potenziale, hanno la radice nella proiezione del blocco occidentale o imperialismo liberale. Quanto al Niger, i rivoltosi anti-occidentali che hanno assaltato l’ambasciata francese gridavano: ‘Viva Putin, viva la Russia, abbasso la Francia’”. È dunque un “mito” quello dell’isolamento del numero uno del Cremlino, suggerisce Orsini. Una rappresentazione distorta figlia dall’eurocentrismo. “La guerra in Ucraina ha reso attualissima la teoria postcoloniale di Edward Said, Homi Bhabha e Gayatri Chakravorty Spivak - ha scritto -. Questi studiosi hanno insegnato che l’Europa trasforma ciò che pensa degli altri in ciò che gli altri sono. La Russia non è ciò che pensa l’Europa, così come l’Africa, l’India e l’America Latina, non erano ciò che i colonizzatori pensavano di loro. I capi dell’Unione europea pensavano che la Russia fosse uno Stato di cartone con un esercito di sbandati che, invece, è agguerrito e organizzato; pensavano che la Russia sarebbe andata in bancarotta, ma il suo Pil cresce più di Germania e Inghilterra; pensavano che avrebbe perso la battaglia più importante a Bakhmut che, invece, ha vinto. Pensavano che la controffensiva ucraina avrebbe spazzato via i russi che, invece, sono inamovibili. L’Unione europea pensa che Putin abbia perso la guerra che, invece, sta vincendo. Lo dimostra il fatto che, dopo tre mesi di controffensiva con tutte le armi della Nato, gli ucraini siano avanzati verso il Mar d’Azov di soli dieci km, conquistando il villaggio di Robotino, mentre i russi corrono a prendersi Kupiansk con sbriciolamenti vari. Erede del colonialismo, l’Unione europea non può che avere una mentalità coloniale piena di pregiudizi verso le altre civiltà ritenute inferiori in tutti gli ambiti sociali”. Un’idea, dunque, molto distante dalla realtà e, soprattutto, obsoleta dal punto di vista geopolitico.
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